Esistono due tipi di persone al mondo: chi ammette di guardare i film di Jason Statham per il puro piacere di vedere un uomo calvo britannico picchiare gente per due ore, e chi mente. “A Working Man” non fa nulla per nascondere questa verità universale, anzi, la abbraccia completamente. Questa seconda collaborazione tra Statham e il regista David Ayer (dopo “The Beekeeper“) è come ordinare una pizza margherita in una pizzeria che conosci bene: sai esattamente cosa arriverà sul tuo tavolo, niente sorprese, niente delusioni, ma neanche grandi entusiasmi.
L’accento “Statham” e un eroe da colletto blu
La premessa è semplice come un pugno in faccia: Levon Cade (Statham) è un tranquillo capocantiere che lavora per Joe Garcia (Michael Peña), un imprenditore edile dalla natura empatica. Quando la figlia di Joe, Jenny (Arianna Rivas), viene rapita da trafficanti di esseri umani al soldo di un mafioso russo, Levon decide di intervenire. Non per i soldi che Joe gli offre, ma per una questione di principio: aveva promesso a Jenny che l’avrebbe sempre protetta, e un uomo come Levon mantiene la parola data.
Naturalmente, Levon ha un passato militare misterioso (mostrato in un montaggio animato che include, non sto scherzando, un camion betoniera la cui cisterna è a forma di granata) e una figlia, Merry (Isla Gie), di cui spera di ottenere la custodia dal suocero. Questa dimensione paterna è un ulteriore motivazione per salvare Jenny e riportarla dal padre.
Il marchio di fabbrica Statham
Ciò che rende un film di Statham riconoscibile non è solo il protagonista con il suo immancabile accento britannico (che non si preoccupa mai di cambiare, sia che interpreti un americano, un italiano o un marziano), ma una serie di elementi che sono ormai il suo marchio di fabbrica. In “A Working Man”, seguendo il metodo “John Wick” di costruzione del mondo criminale, i mafiosi russi hanno le loro leggi segrete, reti potenti e complessi meccanismi interni – come un servizio di pulizia sempre pronto per lo smaltimento dei cadaveri.
Ma a chi importa davvero della trama? In un film di Statham, lui è la trama. Certo, Levon va alla ricerca di Jenny, tortura qualcuno qui, fa un po’ di spionaggio là, ma quando trova il suo bersaglio, un viziato playboy russo di nome Dimi (Maximilian Osinski), non c’è alcuna tensione narrativa nella sceneggiatura standard adattata dal romanzo “Levon’s Case” di Chuck Dixon da Sylvester Stallone e Ayer. È semplicemente un veicolo per permettere a Statham di infliggere danni sullo schermo.
La geografica fantastica di Chicago
Se c’è un aspetto veramente comico di “A Working Man” è la sua ambientazione a Chicago, che Ayer sembra non aver mai visitato o studiato su Google Maps. Il film presenta più inserti dello skyline della città che battute di dialogo, ma allo stesso tempo manca completamente di un senso di luogo.
La geografia della città è così assurda che Levon sembra possedere un dispositivo di teletrasporto: in una scena si trova in un quartiere residenziale, in quella successiva nel cuore del centro, e subito dopo nei boschi di Joliet. È magia cinematografica che ricorda un altro film d’azione ambientato a Chicago, “Next of Kin”, ma con meno coerenza.
Violenza al ritmo di Dropkick Murphys
Nonostante i suoi difetti, Statham non delude quando si tratta dell’azione. Levon trasforma una stanza in un albergo economico nella sua base operativa. Tortura un cattivo russo in una lussuosa villa e si infiltra in un roadhouse in mezzo al nulla, dove si scatena una rissa al ritmo di “The Boys are Back” dei Dropkick Murphys. Quando Levon ha finito di spaccare crani e rompere gomiti, Dutch (Chidi Ajufo), il capo del roadhouse, gli stringe la mano e con tutto il fiato esclama: “Guarda quei mattoni! Non sei un poliziotto. Sei un lavoratore“.
Questa battuta ridicola non serve solo a strappare un applauso. Allude anche al pubblico target del film. Sempre meno pellicole sono ambientate nel Midwest americano, e ancora meno presentano quello che potrebbe essere definito un “eroe colletto blu”. E sebbene non ci siano esattamente temi politici profondi qui, è significativo vedere Statham, ironicamente un britannico, là fuori a interpretare un “americano” lavoratore più grande della vita che combatte contro le influenze russe.
Il verdetto finale
“A Working Man” è esattamente ciò che ci si aspetta da un film di Statham: azione, violenza, battute secche e una trama che serve solo come pretesto. Il film non pretende di essere altro, e in questo sta la sua onestà. Ayer capisce perfettamente perché le persone guardano i film di Statham e consegna esattamente quello che il pubblico si aspetta.
Anche quando c’è una luna comicamente grande che sembra strappata da un film di Méliès che mina qualsiasi dramma emotivo durante il raid culminante in un bordello, non importa. Perché se “The Meg”, “Wrath of Man” o “The Beekeeper” hanno dimostrato qualcosa, è che non importa quanto assurdo o esagerato sia il film. Niente può fermare Statham.
E tu, sei un fan dell’inossidabile Jason Statham o preferisci action star più versatili? Pensi che la formula Statham sia ormai troppo prevedibile o è proprio questa prevedibilità che la rende così confortante? Condividi nei commenti la tua scena d’azione preferita di Statham e raccontaci se andrai a vedere “A Working Man” nonostante (o proprio per) tutto ciò che abbiamo detto!
La Recensione
A Working Man
"A Working Man", la nuova collaborazione tra Jason Statham e il regista David Ayer, è esattamente ciò che ti aspetti: un action movie con una trama prevedibile, scene di combattimento brutali e un protagonista che non ha bisogno di recitare per essere credibile. Nonostante i difetti evidenti nella regia, nella geografia impossibile di Chicago e in una sceneggiatura che serve solo a connettere una scena d'azione all'altra, il film funziona per ciò che promette: vedere Statham picchiare cattivi russi per 116 minuti. Un prodotto che non delude i fan ma che non conquisterà i cultori del cinema.
PRO
- Se vuoi vedere Statham rompere braccia a ritmo di Dropkick Murphys
- È esattamente ciò che promette di essere, senza pretese
CONTRO
- La geografia di Chicago è talmente insensata da sembrare un portale dimensionale
- La trama è così prevedibile che potresti scriverla tu durante i titoli di testa