C’è una domanda che ogni spettatore si pone nei primi minuti di un film: “Perché dovrei continuare a guardarlo se so già come andrà a finire?”. Nel caso de Il ragazzo dai pantaloni rosa, la risposta è semplice: perché la tragedia di Andrea è la tragedia di tanti altri ragazzi. E questa storia, pur nella sua dolorosa prevedibilità, va ascoltata fino in fondo.
Diretto da Margherita Ferri e tratto dalla vicenda reale di Andrea Spezzacatena, il film mette in scena un dramma adolescenziale che purtroppo conosciamo fin troppo bene. Il bullismo, l’omofobia, la solitudine, la mancanza di ascolto da parte degli adulti, le dinamiche scolastiche tossiche: tutto questo è ancora una piaga enorme nel nostro Paese. E non sta migliorando.
La storia di Andrea, una voce dall’aldilà
Una scelta narrativa forte, ma discutibile
Il film si apre con una frase gelida: “Oggi avrei avuto 27 anni. Avrei avuto.”. Andrea ci parla da morto, in voice-over. Una scelta narrativa d’impatto, che vuole subito farci capire quanto sia seria la faccenda. Peccato che questo espediente rischi di ammorbidire il dramma, trasformando il racconto in una sorta di diario sentimentale.
Andrea è un ragazzo gentile, sensibile, curioso. Uno che si prende cura del fratellino, che ama il cinema, che cerca di capire perché i grandi non si capiscono. Indossa un paio di pantaloni finiti per sbaglio in lavatrice, diventati rosa. E questo basta per trasformarlo nel bersaglio di insulti, umiliazioni, attacchi online e offese omofobe. Su Facebook è stata creata persino una pagina per prenderlo in gira chiamata appunto il ragazzo dai pantaloni rosa. Qualcosa di assurdo.
Bullismo e cyberbullismo: un ritratto (quasi) credibile
Quando la violenza si nasconde dietro una risata
I compagni di scuola di Andrea, guidati dal “vecchio amico” Christian, sono il ritratto del branco. La violenza è subdola, spesso fatta di battute, occhiatacce, foto condivise, gesti piccoli ma devastanti. Il bullismo qui non è la classica rissa da cortile, ma una goccia continua che scava.
Il film riesce a mostrare come la solitudine amplifichi il dolore, e come i social diventino un’arma potentissima nelle mani sbagliate. “La tecnologia ti insegue ovunque”, dice Andrea. E ha ragione.
Una regia elegante, ma troppo trattenuta
La forma vince sulla rabbia
Margherita Ferri costruisce un film visivamente curato. La fotografia è delicata, i movimenti di macchina sono precisi, le inquadrature mettono sempre Andrea al centro. Ma questa eleganza rischia di levigare troppo un tema che invece avrebbe bisogno di più crudezza, più rabbia, più verità.
Le musiche, spesso extradiegetiche, coprono i dialoghi in momenti cruciali. Il rallenti, usato più volte, finisce per diventare manieristico. Sembra quasi che il film abbia paura di disturbare davvero lo spettatore. Ma un film su questo tema deve disturbare.
Il cast: luci e ombre
Samuele Carrino emoziona e pochi altri
Samuele Carrino è bravissimo nel ruolo del protagonista: intenso, misurato, mai sopra le righe. Anche Claudia Pandolfi, nei panni della madre, offre una performance credibile. Merita una menzione speciale anche Andrea Arru, che interpreta Christian Todi, il bullo della scuola. Arru riesce a dare profondità a un personaggio spesso stereotipato, mostrando le sfumature emotive di un ragazzo che, dietro l’aggressività, cela fragilità e insicurezze. La sua interpretazione è intensa, credibile e ben calibrata, e contribuisce in modo importante alla riuscita del film.
Altri personaggi risultano troppo abbozzati: il padre scompare senza spiegazioni, il fratellino sparisce per lunghi tratti, gli amici sembrano usciti da un teen drama americano.
La scuola, poi, è rappresentata in modo poco realistico: sembra più una fiction da pomeriggio su Rai 2 che un contesto scolastico italiano autentico.
Il messaggio: necessario, ma è abbastanza?
Serve più coraggio
“Il ragazzo dai pantaloni rosa” ha il merito di riportare sotto i riflettori una storia vera, dolorosa, che non dovrebbe mai essere dimenticata. Ma lo fa con un linguaggio fin troppo addomesticato. Non basta l’intenzione: serve il coraggio di scuotere.
Il film evita ogni ambiguità, ogni grigio, ogni tensione non esplicitata. Non ci mostra davvero la complessità dell’adolescenza, della violenza verbale, del pregiudizio che si nasconde dietro la “goliardia”. E così facendo, rischia di perdere efficacia proprio presso il pubblico a cui si rivolge.
In Italia il bullismo è ancora un tabù
Servono pene più severe, ma anche cultura
Il film ci ricorda quanto il bullismo e il cyberbullismo siano diffusi nelle scuole italiane. Non è un problema isolato. È ovunque. Dalle città ai paesini, dalle medie al liceo. E sempre più spesso ha radici nella discriminazione: omofobia, razzismo, sessismo.
Servono leggi più dure, certo. Ma servono soprattutto progetti educativi veri, supporto psicologico, formazione per genitori e insegnanti. Serve una rivoluzione culturale.
E serve anche un cinema che abbia il coraggio di dirlo, senza abbellimenti.
Conclusione: utile, ma non incisivo
Il ragazzo dai pantaloni rosa è un film importante, con un messaggio forte. Ma avrebbe potuto essere molto di più. Con più coraggio, più verità, più complessità.
Però se anche solo uno spettatore si interrogherà, se anche solo un bullo si sentirà smascherato, o una vittima un po’ meno sola, allora questo film avrà fatto il suo dovere.
Tu cosa ne pensi? Pensi che il cinema possa aiutare davvero a combattere il bullismo? Hai vissuto o visto situazioni simili a scuola? Raccontacelo nei commenti.
La Recensione
Il ragazzo dai pantaloni rosa
Il film ispirato alla vera storia di Andrea Spezzacatena affronta bullismo e cyberbullismo con sensibilità, ma anche con qualche timidezza di troppo. Un dramma importante, che lascia il segno, ma non affonda abbastanza il colpo.
PRO
- Tema importante: Bullismo e omofobia raccontati con sensibilità.
- Storia vera: La vicenda di Andrea va conosciuta e ricordata.
CONTRO
- Troppo "soft": Non scuote, resta troppo pulito e scolastico.
- Personaggi deboli: i personaggi secondari poco sviluppati e poco credibili.