Adolescence è una miniserie Netflix che non si limita a raccontare un crudo caso di omicidio tra adolescenti, ma ti catapulta nel vortice emotivo di una famiglia e di un’intera comunità spezzata dal dolore. Non è una storia da manuale: è una raffica di emozioni, con colpi di scena che ti tolgono il fiato e momenti di verità cruda che fanno riflettere sul peso delle scelte e dei comportamenti dei giovani di oggi. Io l’ho trovata intensa e disturbante, e mi ha lasciato un segno profondo.
Una storia che scava nella psiche dei giovani
La miniserie apre con un’immagine da incubo: una casa suburbana tranquilla, interrotta all’improvviso da un gruppo di poliziotti britannici armati fino ai denti. In una scena ininterrotta – sì, tutto in una sola ripresa – vediamo un 13enne, Jamie Miller (interpretato da Owen Cooper), strappato dal suo letto mentre i genitori, Eddie (Stephen Graham) e Mandy (Christine Tremarco), restano paralizzati dalla confusione. Jamie è accusato di aver ucciso una compagna di classe, Katie, e questo evento scuote l’intera comunità, stravolgendo la vita di una famiglia medio-borghese.
Quello che colpisce subito è la modalità con cui la regia si fa teatro in tempo reale. Ogni episodio copre esattamente un’ora della vita dei protagonisti, e la tecnica del “one-shot” rende l’esperienza immersiva e, al contempo, spietata. Non c’è spazio per titubanze: ti ritrovi a vivere, insieme a loro, l’angoscia di ogni momento.
Un racconto di orrori moderni
Adolescence non è solo un giallo psicologico; è un’immersione nelle contraddizioni della gioventù odierna. La miniserie non si concentra tanto sulla domanda “Chi ha ucciso Katie?” quanto su “Cosa c’è dietro quel gesto?” Gli sceneggiatori Graham e Thorne e il regista Philip Barantini mettono in luce un mondo in cui i giovani si autodistruggono, dove il bullismo, sia online che dal vivo, e l’influenza tossica dei social plasmano mentalità contorte e pericolose.
Il fulcro della narrazione è il giovane Jamie, che si trova a dover fare i conti con una realtà troppo dura per la sua età. L’ambientazione è spoglia e cruda, e le immagini della polizia, del centro di detenzione giovanile e persino della scuola – descritta con un linguaggio quasi letterale, con commenti che strizzano l’occhio al lato più disgustoso della realtà (come quando si sente dire che l’aria sa di “vomito, cavolo e masturbazione”) – creano un’atmosfera oppressiva, quasi claustrofobica.
La tecnica del “one-shot”: un’esperienza immersiva
Uno degli aspetti più innovativi di Adolescence è la scelta di girare ogni episodio in un’unica ripresa continua. Questa tecnica, che ricorda il teatro dal vivo, ti costringe a vivere ogni istante senza interruzioni. Non c’è editing che ti aiuti a saltare da una scena all’altra; sei lì, in tempo reale, a sentire la tensione che sale e a confrontarti con i silenzi carichi di significato.
Questo approccio dà alla miniserie un’immediatezza che la rende davvero avvincente, nonostante qualche eccesso di dialoghi espliciti volti a “spiegare” cosa sia accaduto fuori campo. A volte, il flusso continuo delle informazioni rallenta il ritmo e ti fa desiderare che la narrazione lasci più spazio all’immaginazione. Ma, alla fine, il vantaggio di questa tecnica sta proprio nel farti sentire parte integrante del dramma.
Personaggi: una riflessione sulla gioventù e la famiglia
I personaggi sono il cuore pulsante di Adolescence. Eddie, il padre, è un uomo che, nel tentativo di proteggere il figlio e comprendere l’inaspettato comportamento di Jamie, si ritrova a fare i conti con le proprie paure e delusioni. Mandy, la madre, rappresenta l’incapacità di trovare un punto fermo in un mondo in cui anche la famiglia, considerata il nucleo della sicurezza, si sgretola sotto il peso di un crimine che sembra appartenere a un’altra dimensione.
Gli investigatori Luke Bascombe (Ashley Walters) e Misha Frank (Faye Marsay offrono una prospettiva cupa sul sistema giudiziario, mostrando come la realtà sia spesso priva di risposte nette e semplici. E poi c’è Briony Ariston (Erin Doherty), la social worker che si confronta con le conseguenze di una cultura tossica, evidenziando come il modo in cui i giovani percepiscono la sessualità e le relazioni sia stato deturpato da influencer e messaggi distorti.
Owen Cooper, nel ruolo di Jamie, è un vero colpo di genio. La sua capacità di passare dalla vulnerabilità di un bambino terrorizzato alla spavalderia di un adolescente segnato da ideologie tossiche è davvero inquietante. La sua interpretazione ti fa sentire il peso di ogni scelta, di ogni passo falso, lasciandoti con una sensazione di inquietudine che persiste anche dopo la visione.
La scrittura e il dialogo: brutalità e schiettezza
I dialoghi di Adolescence non nascondono nulla. Le conversazioni sono dirette, spesso brutali, e i personaggi non hanno paura di dire quello che pensano, anche se questo significa esplicitare il dolore, la confusione e la rabbia che li tormentano. Questa schiettezza, se da un lato rende omaggio alla realtà spietata del mondo giovanile, dall’altro tende a esporre informazioni in maniera un po’ troppo didascalica. L’info-dumping, come lo chiamano, ti fa pensare che gli autori abbiano il timore di non farti capire appieno il contesto senza spiegazioni esplicite.
Nonostante questo, la forza del dialogo sta nel modo in cui cattura la disperazione e la fragilità di una generazione che si trova a dover navigare in acque insidiose, dove l’adulto ha perso il contatto con il giovane e dove la società, online e offline, esercita una pressione inarrestabile.
Il giudizio finale
Adolescence mi ha colpito per la sua intensità e per la capacità di farti vivere ogni istante come se fossi lì, al centro del dramma. La tecnica del one-shot dona al racconto una freschezza e una immediata immersività che raramente si incontrano nel panorama delle miniserie moderne. I temi affrontati – il bullismo, la mancanza di comunicazione tra generazioni, la tossicità dei social e l’incapacità degli adulti di comprendere i giovani – sono attuali e ti scuotono profondamente.
Tuttavia, non tutto brilla. I dialoghi a tratti troppo espliciti e il ritmo che si rallenta per spiegare ogni dettaglio, fanno sentire la miniserie un po’ forzata, come se cercasse di coprire spazi vuoti con informazioni che appesantiscono la narrazione. La schiettezza dei personaggi, pur essendo un punto di forza, a volte appare come un modo per compensare la mancanza di profondità emotiva.
Non nego che Adolescence sia una visione terrificante e inquietante, capace di farti dubitare di ogni preconcetto sulla gioventù e di mostrarti, in tutta cruda realtà, come la violenza e il dolore siano parte integrante della crescita in un mondo moderno. Io l’ho trovata intensa e coinvolgente, con un impatto emotivo che non ti lascia indifferente, anche se alcune scelte narrative risultano eccessivamente esplicative.
Se cerchi una miniserie che ti metta in ginocchio, che ti faccia riflettere e che ti catturi fin dal primo istante, Adolescence è quella che fa per te. Se invece preferisci una narrazione più soft, senza tutto quel peso emotivo e quella cruda realtà, qui non troverai ciò che cerchi. Personalmente, mi ha colpito per il coraggio di affrontare temi così scomodi, e ti consiglio di darle una chance, con la consapevolezza che ti lascerà con molte domande e, forse, con qualche brivido lungo la schiena.
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La Recensione
Adolescence
Adolescence esplora il dramma dei giovani con intensità brutale e realismo spietato. Una miniserie immersiva e disturbante che sfida la percezione dell’adolescenza in un mondo dominato dalla confusione e dalla violenza.
PRO
- Narrazione in tempo reale che offre un’esperienza immersiva e intensa
- Approfondimento crudo dei temi di bullismo, isolamento e violenza giovanile
CONTRO
- Info-dumping che intacca l’equilibrio della tensione narrativa