American Primeval, disponibile su Netflix, prometteva una rilettura realistica e brutale del mito del West americano. Con la firma di Mark L. Smith, co-sceneggiatore di Revenant – Redivivo, e la regia di Peter Berg, già noto per Friday Night Lights, la serie sembrava avere le carte in regola per essere un evento imperdibile. Ma non tutte le promesse vengono mantenute, e dopo un inizio che cattura l’attenzione, la narrazione si sgretola in un mix di cliché, toni cupi e personaggi che non riescono mai a brillare davvero.
Quando il realismo diventa un esercizio di stile
Non c’è dubbio che la serie ambisca a mostrare la crudeltà del West in tutta la sua spietata realtà. La fotografia spoglia e i toni desaturati, uniti a inquadrature inclinate quasi a voler sottolineare il caos morale ed emotivo, creano un’atmosfera opprimente. Tuttavia, questo sforzo visivo rischia di trasformarsi in una lezione di stile fine a se stessa. Le scene sembrano gridare “Guardate quanto siamo realistici!” ma finiscono per sembrare forzate. Non c’è spazio per la bellezza naturale, nemmeno per quei paesaggi che potrebbero dare un senso di respiro. È un West senza respiro, senza vita, senza anima.
Due trame, molti problemi
La storia si sviluppa su due binari principali: da un lato abbiamo Sara Rowell (interpretata da Betty Gilpin) e il suo viaggio attraverso un territorio ostile con il figlio Devin, mentre dall’altro seguiamo Jacob Pratt (Dane DeHaan) nella sua disperata ricerca di vendetta e redenzione. Le due trame si intersecano, ma mai in modo davvero soddisfacente. Il problema non è la complessità, ma la mancanza di profondità emotiva: nessuna delle due storie riesce a coinvolgere a pieno lo spettatore. Sara è una madre coraggiosa, ma i suoi dialoghi e le sue scelte spesso sembrano essere scritte per portare avanti la trama piuttosto che rivelare qualcosa di autentico sul suo personaggio. Jacob, d’altra parte, si perde in un arco narrativo che tenta di essere epico ma risulta semplicemente prolisso.
Personaggi che non lasciano il segno
Taylor Kitsch, nei panni del taciturno Isaac, è l’ennesimo uomo di poche parole con un passato tormentato. Un cliché? Decisamente sì. Nonostante l’impegno dell’attore, il suo personaggio non riesce mai a diventare memorabile. Allo stesso modo, Betty Gilpin fatica a emergere come una figura centrale: il suo personaggio è scritto in modo da renderla forte e vulnerabile, ma il risultato è una serie di scelte narrative che appaiono incoerenti.
Se c’è una nota positiva, è la performance di Dane DeHaan. Il suo Jacob, un uomo di fede consumato dalla vendetta, è uno dei pochi personaggi a trasmettere un senso di urgenza e complessità. Le scene con Kim Coates, che interpreta il leader mormone Brigham Young, aggiungono un tocco di intensità, ma arrivano troppo tardi per salvare la serie.
Azione spettacolare o solo confusa?
Le sequenze d’azione sono un altro punto debole. Anche qui, il desiderio di realismo si traduce in combattimenti e sparatorie che sembrano mancare di energia. C’è brutalità, ma manca la coreografia memorabile che ci si aspetta da una produzione di questo calibro. Le scene di scontri tra coloni, nativi e soldati sembrano più che altro un esercizio tecnico piuttosto che momenti di vera tensione drammatica.
Un esempio emblematico è una scena in cui Isaac utilizza una rudimentale imbracatura per scalare una parete: dovrebbe essere un momento mozzafiato, ma risulta solo incredibile in senso negativo. È come se la serie volesse mescolare Revenant – Redivivo con The Fugitive, ma senza il pathos del primo né il ritmo incalzante del secondo.
Una lezione storica mancata
Uno degli obiettivi dichiarati di American Primeval era quello di de-romanticizzare il mito del West americano, mostrando la brutalità e le tensioni tra coloni, nativi americani e autorità governative. Tuttavia, il messaggio si perde in una narrazione che evita di prendere posizioni chiare. L’idea che “tutti sono colpevoli” diventa una scusa per non approfondire le dinamiche culturali e politiche dell’epoca. Questo approccio lascia lo spettatore con la sensazione di aver assistito a una rappresentazione superficiale di eventi complessi.
Momenti che funzionano, ma troppo pochi
La serie non è priva di qualità. Alcune interazioni tra i personaggi, in particolare quelle tra i veterani Shea Whigham e Kim Coates, offrono sprazzi di dramma autentico. E la colonna sonora, firmata dagli Explosions in the Sky, regala una profondità emotiva che purtroppo manca nel resto della produzione. Ma questi momenti sono troppo rari per salvare una serie che sembra più preoccupata di sembrare importante piuttosto che esserlo davvero.
Perché non mi ha convinto
Guardare American Primeval è stato un po’ come tentare di seguire una lunga maratona senza sapere dove si sta andando. All’inizio c’è stato un barlume di interesse: i personaggi sembravano promettenti, le ambientazioni erano intriganti. Ma man mano che la storia si dipanava, ho perso il filo. E non è stato solo colpa mia. La narrazione confusa e i dialoghi spesso ridondanti hanno reso difficile mantenere l’attenzione. Mi sono ritrovato più volte a controllare il tempo rimanente e a chiedermi: “Perché dovrebbe importarmi?”
Conclusione: vale la pena guardarla?
Se sei un appassionato di storie del West e hai una tolleranza elevata per i ritmi lenti e i personaggi stereotipati, American Primeval potrebbe avere qualcosa da offrirti. Ma per il pubblico generale, è difficile consigliarla. Con sei episodi che sembrano interminabili, la serie non riesce a trovare la sua identità. Forse, in mani diverse, questa storia avrebbe potuto brillare. Ma così com’è, è un’occasione mancata.
E voi, avete visto American Primeval? Pensate che sia riuscita a catturare lo spirito del West o siete d’accordo con me nel definirla una delusione? Scrivete nei commenti le vostre impressioni: sono curioso di sapere cosa ne pensate!
La Recensione
American Primeval
Crudo e ambizioso, American Primeval fallisce nel coinvolgere: ritmo lento, cliché noiosi e personaggi privi di spessore lo rendono dimenticabile.
PRO
- La serie offre una rappresentazione visivamente cruda e autentica della brutalità del West, con momenti di tensione ben orchestrati.
CONTRO
- Il ritmo è lento e i personaggi risultano stereotipati, privi di profondità emotiva.
- La trama manca di originalità, riducendosi a un susseguirsi di cliché già visti in altre produzioni western.