Quando pensi di aver bisogno di una pausa dalla quotidianità, immagini una fuga rilassante, magari in una località sciistica da sogno.
E invece, con Åremorden – Gli omicidi di Åre, Netflix ti strappa il desiderio di svago e lo sostituisce con un mistero intricato, avvolto nel gelido abbraccio del nordico noir. Io, che mi definisco un appassionato di cinema (anche se a volte mi capita di confondere il montaggio con il caffè del mattino), sono rimasto sorpreso – e, devo ammetterlo, piacevolmente smarrito – da questo adattamento televisivo basato sui romanzi di Viveca Sten.
Trama tra neve e segreti
La storia si apre con l’immagine mozzafiato di Åre, una pittoresca cittadina di montagna incastonata tra le pendici innevate e le acque scintillanti del Lago Åresjön (Svezia). Un’atmosfera che sembra quasi dipinta, sebbene ben sapessi che, come in ogni buon thriller nordico, le apparenze ingannano.
Proprio durante una festa adolescenziale – un brindisi a Lucia con qualche birretta in mano – la giovane Amanda (interpretata da Freddie Moston-Jacob) compie un gesto apparentemente innocuo: chiama suo padre per un passaggio a casa. Ma il destino, o meglio il cattivo tempismo, colpisce subito. Il padre, Harald (Henrik Norlén), è troppo impegnato a tradire la moglie con la collega Mira (Siham Shurafa) per rispondere alla chiamata. E così, in un colpo di scena che sa di satira sociale, quella telefonata diventa l’ultimo segnale di vita della ragazza.
La madre, Lena (Sofia Ledarp), si sveglia con l’angoscia che cresce ad ogni minuto e presto la piccola comunità si ritrova immersa in un’indagine che mette sotto la lente ogni singolo abitante del paese. L’ispettore locale Daniel Lindskog (Kardo Razzazi) si dà subito da fare, organizzando cordoni di perlustrazione con cani e, diciamocelo, un po’ di quella tensione palpabile che solo il nordico noir sa regalare.
L’arrivo di Hanna: dalla grande città alla neve
Proprio quando ti sembra che la storia non possa essere più surreale, arriva Hanna Ahlander (Carla Sehn), un’agente di polizia di Stoccolma che aveva in programma una meritata pausa nella villa di sua sorella, in questo idilliaco rifugio alpino.
Ma il richiamo dell’indagine – alimentato da una valanga di notifiche Amber Alert sul suo smartphone – la trascina in una spirale investigativa ben lontana dai cliché della vacanza tranquilla.
La scelta di Hanna di abbandonare la sua unità specializzata in violenza domestica per unirsi agli investigatori locali non è solo un espediente narrativo; è la firma inconfondibile del genere, dove il passato tormentato del protagonista si fonde con l’oscura trama che si dipana sotto una coltre di neve e sospetti.
E qui, cari lettori, il gioco dei sospetti comincia a prendere piede: ogni personaggio, dal misterioso portiere degli impianti di risalita agli amici e insegnanti della scomparsa Amanda, viene presentato come potenziale colpevole.
Insomma, in Åremorden ogni volto è una maschera e ogni sorriso potrebbe celare un segreto letale. Ironico, vero? Proprio come una barretta di cioccolato in un film noir: dolce all’apparenza, ma con un ripieno amaro.
Tecnica e sceneggiatura: un’ambientazione che fa da protagonista
Dal punto di vista tecnico, la serie si distingue per l’accurata cura delle inquadrature e del montaggio. Le riprese paesaggistiche – con Åre che si svela in tutta la sua bellezza glaciale – sono degne di un dipinto impressionista. La fotografia, con luci e ombre calibrate per esaltare quell’atmosfera inquietante tipica del Nordic Noir, ti fa quasi dimenticare, per un attimo, che sei seduto sul divano di casa tua, al caldo, con una coperta addosso.
E poi c’è il ritmo narrativo: la serie si sviluppa in cinque episodi che, a differenza di certi thriller troppo “affrettati”, sanno dosare la suspense in modo quasi chirurgico.
Sì, lo ammetto – i primi minuti possono apparire brevi e frammentati – ma si tratta di un espediente narrativo ben calibrato, frutto dell’adattamento dei primi due romanzi della serie, “Hidden in Snow” e “Hidden in Shadows”.
La struttura a tre parti del primo episodio funziona come un trampolino per immergersi in una narrazione fluida e, soprattutto, bingeable.
Netflix, dai, ha fatto centro con la funzione “riproduci episodio successivo”!
Recitazione: un connubio tra naturalezza e tormento interiore
Devo fare un plauso agli interpreti, che sanno benissimo come dare vita a personaggi complessi e imperfetti. Carla Sehn, nel ruolo di Hanna, ci regala una performance ricca di sfumature: l’agente stoccolma, tormentata dai fantasmi del suo passato e da un cuore spezzato, si confronta con la dura realtà di un’indagine che minaccia di travolgerla.
Dall’altro lato, Kardo Razzazi nei panni del detective Daniel Lindskog porta in scena una naturalezza disarmante, quasi come se stesse facendo una passeggiata in un parco – ma in un parco innevato pieno di sospetti!
La loro dinamica è un perfetto equilibrio tra il rigore metodico del caso e l’imprevedibilità delle relazioni umane, un binomio che rende l’intera narrazione avvincente e, a tratti, anche divertente nella sua tragicomica linearità.
Colpi di scena e ironia: tra segreti e sci di fondo
Ammettiamolo: il bello del Nordic Noir è proprio questa capacità di mettere in scena una serie di colpi di scena che, a tratti, rasentano l’assurdo. Chi avrebbe mai pensato che un semplice invito a una festa potesse innescare una catena di eventi tanto imprevedibili?
E poi, il dettaglio – quasi surreale – del padre di Amanda, Harald, intento in una scena di tradimento degna di un film scandalistico, è un perfetto esempio di come Åremorden non si prenda troppo sul serio pur mantenendo un tono cupo e misterioso.
È come se la serie dicesse: “Ehi, non ci prendiamo troppo sul serio, ma occhio, perché qui ogni dettaglio potrebbe essere il tassello mancante del puzzle”.
L’ironia scorre nelle venature di ogni dialogo, nelle pause drammatiche, e persino negli sguardi dei personaggi. In questo senso, la sceneggiatura è una sorta di valzer tra il serio e il faceto, dove ogni battuta – anche quella più piccola – sembra calcolata per farci sorridere tra una tensione e l’altra.
Certe volte mi sono ritrovato a ridacchiare in punta di piedi, consapevole che, nonostante il tono grave del mistero, c’è una vena di autoironia che permea ogni scena.
Considerazioni finali
In conclusione, Åremorden – Gli omicidi di Åre è una serie che, pur restando fedele ai canoni del Nordic Noir, riesce a sorprendere per la sua capacità di mescolare suspense, ambientazioni spettacolari e personaggi complessi e pieni di sfumature.
La trama – che parte dalla scomparsa di una ragazza in una località turistica da cartolina – si trasforma in un labirinto di sospetti, inganni e segreti, dove ogni personaggio, dalla più insignificante comparsa, potrebbe nascondere la chiave per risolvere il mistero.
Personalmente, ho apprezzato la serie per la sua capacità di mantenere alta la tensione narrativa, senza rinunciare a momenti di ironia e leggerezza. È un po’ come gustare un eccellente whisky svedese: forte, intenso, e con un retrogusto che ti lascia a bocca aperta. Se amate le atmosfere cupe e il ritmo incalzante delle indagini, ma non disdegna una spruzzata di umorismo nero, questa serie è sicuramente da non perdere. Non ho apprezzato il fatto di aver messo forzatamente un gay a metà della serie, che non aggiunge nulla alla narrazione. La classica forzatura woke degli ultimi tempi.
E voi, cosa ne pensate di Åremorden – Gli omicidi di Åre? Avete già preso il vostro passaggio per Åre o siete rimasti a guardare da lontano? Scrivete un commento qui sotto per farmi sapere la vostra opinione!
La Recensione
Åremorden – Gli omicidi di Åre
Åremorden – Gli omicidi di Åre è un Nordic Noir sofisticato, dove la fotografia incanta e le interpretazioni brillano. Un inizio frammentario affievolisce leggermente la tensione, ma la regia ripaga ogni attimo.nn
PRO
- Fotografia mozzafiato
- Suspense costante
- Interpretazioni incisive
CONTRO
- Inizio dispersivo