Boots parte dalle memorie di Greg Cope White e le rielabora in una fiction che segue Cameron Cope (Miles Heizer, “Tredici”). Siamo nel 1990. Cameron, diciottenne timido e spaesato, si arruola nei Marines insieme al migliore amico Ray (Liam Oh) puntando sul sistema a coppie – due reclute affiancate fino alla fine dell’addestramento. L’idea più interessante è il dialogo continuo tra Cameron e la sua voce interiore: una versione di sé più libera, ironica e incoraggiante, che contrasta con quello che il mondo vede – un ragazzo che teme di non essere all’altezza e che finge per sopravvivere in un ambiente che pretende uniformità.
Nel plotone spiccano i gemelli John e Cody (Blake Burt e Brandon Tyler Moore), il sensibile Eduardo (Jonathan Nieves) che pensa alla fidanzata rimasta a casa, e Hicks (Angus O’Brien), ligio alle regole fino all’eccesso. Tra gli adulti brillano Vera Farmiga nei panni di Barbara, madre fredda e lontana, e Max Parker come sergente Robert Sullivan, istruttore severo e lucidissimo. La serie mette in scena l’addestramento di base con corse infinite, urla, umiliazioni e gerarchia. Lo scopo è piegare l’individuo per ricostruirlo secondo il modello del Corpo.
Cosa funziona davvero
Quando Boots guarda alle famiglie e alle origini dei ragazzi, trova sostanza. Molte reclute vengono da case vuote, rabbiose o stanche: non stupisce che cerchino appartenenza in un’istituzione che promette un posto preciso e regole chiare. Vera Farmiga è impeccabile: tagliente, poi vulnerabile, sempre credibile. Miles Heizer rende bene il braccio di ferro tra paura e autoaccettazione. Max Parker dà all’istruttore una presenza controllata che non scivola nella caricatura. L’idea del doppio Cameron funziona come chiave narrativa – ci porta dentro un’identità che prova a respirare in un contesto che chiede di trattenere il fiato.
Dove la serie perde strada
La messa a fuoco si allarga troppo e Cameron, che dovrebbe essere il centro, diventa spesso una voce tra tante. L’umorismo che affiora in certi momenti resta timido, quando avrebbe potuto alleggerire senza sminuire. Il tono è prudente: la serie evita gli estremi e resta in un’area di comfort che toglie spessore ai conflitti. Questo equilibrio arriva anche dal percorso produttivo – l’ultimo progetto di Norman Lear come produttore esecutivo nel 2024 – e si sente un’aria da dramma misurato che non spinge mai fino in fondo. La rappresentazione dell’omofobia e delle dinamiche manipolatorie nei contesti militari è sfiorata, non scandagliata. Il risultato è una storia ordinata, spesso interessante, ma raramente incisiva.
Il regalino woke della settimana
Diciamolo chiaro: Boots è il regalino woke di Netflix della settimana. Ero quasi stupito di non trovarlo nel catalogo – poi è arrivato, puntuale. L’attenzione all’identità LGBT+ è giusta e necessaria. Qui, però, si avverte a tratti la volontà di sponsorizzare il tema più che di affrontarlo fino alle sue conseguenze. La serie preferisce una inclusione rassicurante a un confronto durissimo con le contraddizioni del sistema. È un limite, perché i materiali per un racconto più coraggioso ci sono: atti di bullismo, solitudini, silenzi. Restano appoggiati sul tavolo, senza la spinta decisiva.
Verdetto
Otto episodi scorrevoli, cast solido, un’idea formale pulita. Boots si lascia guardare, soprattutto quando entra nelle ferite delle origini e quando Cameron parla con la sua parte più sincera. Ma la sensazione finale è quella di un coming-of-age con poco peso specifico: temi importanti, esecuzione corretta, rischio limitato. Se cerchi un’analisi dura della vita militare per chi vive un’identità non conforme, potresti rimanere con la sensazione che manchi qualcosa. Se vuoi un dramma accessibile, con interpretazioni notevoli e qualche intuizione felice, la visione è piacevole.
La Recensione
Boots
Boots racconta ragazzi in cerca di un posto nel mondo dentro i Marines, un ambiente che tende ad appiattire le differenze. Funziona quando entra nelle famiglie e nella frattura interiore di Cameron, dove trova emozione e verità. Perde forza quando si disperde in troppi personaggi e smorza i conflitti. La rappresentazione è presente, ma l’approfondimento resta prudente. Si guarda con piacere, ma potresti rimanere con la sensazione che manchi qualcosa.
PRO
- Prove attoriali forti con Vera Farmiga, Miles Heizer e Max Parker che reggono molte scene
- Un racconto sull’identità personale che si muove dentro regole ferree senza diventare cupissimo
CONTRO
- Si prende troppo sul serio e smussa i conflitti, azzerando la tensione che servirebbe
- Il protagonista perde centralità e l’arco narrativo si diluisce nella coralità
- L’umorismo resta accennato e non bilancia mai la durezza dell’addestramento
- L’approccio alla rappresentazione è prudente e il finale lascia la sensazione che manchi qualcosa




