Il mondo della musica è stato scosso da una decisione che nessuno si aspettava. Carol Kaye, la leggendaria bassista della Wrecking Crew e una delle musiciste di sessione più influenti nella storia del pop, ha pubblicamente rifiutato l’induzione nella Rock & Roll Hall of Fame del 2025. In un post su Facebook che ha fatto il giro del web, la musicista che ha suonato su innumerevoli hit degli anni ’60 e ’70 ha spiegato che il riconoscimento “non riflette lo spirito di squadra” che ha caratterizzato la sua carriera come session musician.
La decisione di Kaye arriva proprio quando stava per ricevere l’Award for Musical Excellence, un premio che riconosce l’importanza dei musicisti di supporto, insieme a Thom Bell e Nicky Hopkins. Ma per lei, evidentemente, la filosofia della Hall of Fame è incompatibile con la realtà del lavoro di studio che ha definito la sua carriera. “Sei sempre parte di un TEAM, non un artista solista”, ha scritto nel suo post, sottolineando come negli anni ’60 ci fossero sempre 350-400 session musicians che lavoravano a Hollywood sotto l’AFM Local 47.
Il caso di Carol Kaye apre una riflessione profonda sul modo in cui l’industria musicale celebra i suoi eroi. La Wrecking Crew, questo gruppo informale di musicisti di sessione, ha letteralmente costruito il sound di un’intera epoca, suonando per artisti come i Beach Boys, Phil Spector, Simon & Garfunkel e centinaia di altri. Eppure, per decenni, il loro contributo è rimasto nell’ombra, nascosto dietro i nomi delle star che hanno reso famose le loro performance. Il rifiuto di Kaye non è solo una questione personale: è una dichiarazione di principio che mette in discussione l’intera struttura del riconoscimento musicale.
La carriera straordinaria di una pioniera
Carol Kaye non è una musicista qualunque. La sua storia è quella di una jazz guitarist degli anni ’50 che per caso si è ritrovata a rivoluzionare il ruolo del basso nella musica pop. Tutto è iniziato nel 1957 quando il produttore Bumps Blackwell l’ha accidentalmente chiamata per una sessione di registrazione. Da chitarrista jazz esperta, ha iniziato a lavorare con artisti come Sam Cooke.
Il momento cruciale arriva a metà del 1963, quando qualcuno non si presenta a una sessione e lei viene messa al Fender Precision Bass. “Non avevo mai suonato il basso in vita mia”, confessa nel post, “ma essendo una chitarrista di registrazione esperta, era facile vedere che i 3 bassisti assunti per suonare ‘dum-de-dum’ nelle date di registrazione non ce la facevano”. Da quel momento, ha inventato linee di basso che hanno definito il sound di un’epoca intera.
Il rifiuto di un nome che non le appartiene
Una delle critiche più taglienti di Kaye riguarda proprio il termine “Wrecking Crew”. “Non sono mai stata una ‘wrecker'”, scrive, “quello è un nome terribile e offensivo”. La musicista sottolinea come questo termine non rifletta la realtà del lavoro di studio degli anni ’60, dove i session musicians erano semplicemente chiamati così: session musicians.
Questa distinzione non è solo semantica. Il nome “Wrecking Crew”, reso popolare dal documentario di Denny Tedesco (che Kaye menziona criticamente nel suo post), ha creato una narrativa che secondo lei non corrisponde alla verità storica. Per Kaye, i session musicians erano artigiani che lavoravano in team, non “demolitori” che distruggevano qualcosa.
Il valore del lavoro di squadra nell’era d’oro delle registrazioni
Il cuore della protesta di Kaye riguarda la filosofia del riconoscimento individuale. “Come musicista jazz, inventi ogni nota che suoni”, spiega, sottolineando come il lavoro di studio richiedesse creatività e improvvisazione continue. I session musicians dell’epoca non erano semplici esecutori: erano co-creatori che contribuivano attivamente al processo creativo.
La Wrecking Crew utilizzava molti musicisti jazz e veterani delle big band anche nelle sessioni rock e pop, portando un livello di sofisticazione armonica e ritmica che ha elevato la qualità della musica popolare. Questo approccio collaborativo è quello che Kaye sente non essere riconosciuto dalla Hall of Fame.
Non è la prima a dire no
Carol Kaye si unisce a una lista illustre di artisti che hanno rifiutato l’induzione nella Rock & Roll Hall of Fame. I Sex Pistols dissero no in modo caratteristicamente provocatorio, Axl Rose rifiutò l’induzione dei Guns N’ Roses, e anche Dolly Parton inizialmente declinò (anche se poi cambiò idea). Ogni rifiuto ha le sue ragioni, ma quello di Kaye ha una valenza particolare perché tocca il tema del riconoscimento dei musicisti “invisibili”.
Una lezione di integrità artistica
Il gesto di Carol Kaye è un reminder potente del fatto che l’arte è spesso un lavoro di squadra, soprattutto nel mondo delle registrazioni. La sua decisione di rinunciare a un riconoscimento così prestigioso per rimanere fedele ai suoi principi è un esempio di integrità artistica che dovrebbe far riflettere tutta l’industria.
“Mi rifiuto di essere parte di un processo che è qualcos’altro piuttosto che quello in cui credo”, conclude il suo post. “Tutti noi ci divertivamo a lavorare gli uni con gli altri“. È forse questa la lezione più importante: che la musica, al suo meglio, è sempre stata una questione di comunità e collaborazione.
Tu cosa ne pensi della decisione di Carol Kaye? Credi che abbia ragione a rifiutare un riconoscimento che non riflette la natura collaborativa del suo lavoro, o pensi che dovrebbe accettare l’onore per rappresentare tutti i session musicians dimenticati? Scrivilo nei commenti e dimmi se secondo te la Rock & Roll Hall of Fame dovrebbe ripensare il modo in cui celebra i musicisti!