Immagina di essere davanti alla tua TV, con un bel vassoio di popcorn in mano, pronto per una maratona di adattamenti de “Il conte di Montecristo”. Hai già visto mille versioni, dal classico con Richard Chamberlain al film con Jim Caviezel. Ora, si profila all’orizzonte l’ennesima rivisitazione con Regé-Jean Page, l’ex duca di Hastings in “Bridgerton”. Se da un lato potresti pensare “Finalmente un nuovo sguardo!”, dall’altro magari ti senti un po’ scettico. Perché? Perché negli ultimi anni, si è diffusa quella che molti chiamano “propaganda woke” o “politicamente corretta a tutti i costi”, e i personaggi di colore – o di altre etnie – vengono spesso inseriti in contesti storici senza una vera motivazione narrativa, creando distorsioni rispetto alle fonti originali. Sì, sto parlando di una tendenza che, almeno per me, sta iniziando a stancare.
Il “Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas è un romanzo colossale, pieno di intrighi, vendette e colpi di scena. Scritto a metà Ottocento, ha già ispirato film, serie e perfino parodie. Edmond Dantès, il protagonista, è un giovane marinaio francese, descritto con un aspetto mediterraneo, carnagione chiara ma non diafana, capelli scuri e un fisico asciutto. La sua trasformazione in conte avviene dopo un periodo di prigionia e sofferenza: quando finalmente mette le mani sul tesoro di Montecristo, diventa un uomo raffinato, colto e misterioso, che si muove nei salotti parigini come un fantasma, con l’unico obiettivo di consumare la propria vendetta.
Ora, Regé-Jean Page non ha certo bisogno di presentazioni: lo abbiamo amato (o odiato) nei panni del duca in “Bridgerton”, dove la produzione Netflix ha scelto di inserire personaggi di colore in un’ambientazione storica, giustificando la scelta con una licenza creativa. Se da un lato ciò ha portato un’aria di novità nel genere, dall’altro ha anche suscitato perplessità in chi preferisce un racconto più fedele al contesto storico. E in questa nuova versione del Conte di Montecristo, alcuni temono di trovarsi di fronte a un’altra operazione di “adattamento woke”, dove il colore della pelle dell’attore viene usato come simbolo di modernità e inclusività, ma senza un vero rispetto per il testo originario.
Come viene descritto Edmond Dantès nei romanzi
Dantès è un ragazzo di circa vent’anni, con tratti somatici che potremmo definire “mediterranei”: pelle chiara ma abbronzata dal sole del mare, capelli scuri, occhi intensi, fisico agile e muscoloso, adatto a un marinaio. Quando si trasforma nel Conte, il suo aspetto diventa ancora più affascinante: vesti lussuose, modi aristocratici e un’aura di mistero. Nel romanzo, la sua identità etnica non è oggetto di grande attenzione, perché è un francese nato e cresciuto a Marsiglia, e tutto il racconto gira attorno alla sua storia di tradimento e vendetta, non al colore della pelle.
Adattamenti cinematografici e televisivi
Nel corso degli anni, abbiamo visto diversi attori interpretare Dantès: Robert Donat, Richard Chamberlain, Gérard Depardieu (anche se era un Edmond un po’ in là con gli anni), Jim Caviezel e perfino Pierre Niney in una recente versione francese. Ognuno ha portato la sua visione, ma nessuno si è discostato troppo dalla descrizione di base: un uomo con tratti somatici europei. Ora, con Regé-Jean Page, la situazione cambia. Certo, un attore di talento può interpretare chiunque, ma è giusto stravolgere il contesto storico per esigenze di inclusività? E, soprattutto, perché si continua a sentire il bisogno di cambiare le carte in tavola?
Perché la propaganda woke può stancare
Diciamocelo: la voglia di rappresentare la diversità è sacrosanta, ma spesso le produzioni televisive e cinematografiche scadono in un forzato “inserimento di minoranze” per strizzare l’occhio a un pubblico più ampio. Questo, a volte, si traduce in distorsioni storiche o in situazioni poco plausibili che fanno storcere il naso a chi cerca un minimo di fedeltà al contesto originale. Nel caso di “Bridgerton”, l’ambientazione era dichiaratamente romantica e “semi-fantastica”, quindi alcuni spettatori hanno accettato l’idea di un cast multi-etnico nella Londra Regency. Ma “Il conte di Montecristo” è un’opera profondamente legata alla Francia del XIX secolo, e uno stravolgimento eccessivo rischia di minare la coerenza storica.
Le critiche e la ricerca di autenticità
In rete, molti appassionati del romanzo di Dumas temono che questa nuova versione possa puntare più sulla spettacolarità e sul messaggio inclusivo che sulla ricchezza del testo originario. Altri, al contrario, sostengono che un grande attore come Regé-Jean Page possa dare nuova linfa a un personaggio già esplorato in lungo e in largo, rendendolo finalmente più accessibile alle giovani generazioni. Il problema è che, dietro la patina di modernità, si nasconde spesso la superficialità di un’operazione di marketing.
Conclusioni e invito all’interazione
In fin dei conti, la domanda è: vuoi un Conte di Montecristo fedele al romanzo, con un attore che rispecchi i tratti somatici descritti da Dumas e un’ambientazione filologicamente accurata, oppure preferisci un adattamento che si prenda libertà narrative e che, nel bene o nel male, si allinei alle tendenze del momento, inclusa l’inclusività a tutti i costi? Personalmente, io mi sono stufato di certe distorsioni storiche e della propaganda woke che sembra voler modificare il passato per farlo aderire alle istanze del presente. Attenzione, non sto dicendo che un attore di colore non possa interpretare ruoli “bianchi”: se la produzione lo giustifica, ben venga. Ma se è solo un pretesto per cavalcare l’onda del politicamente corretto, allora la magia si perde e rimane l’impressione di un’operazione forzata.
E tu, che ne pensi? Ti infastidisce la mancanza di coerenza storica o ritieni che la creatività debba prevalere su tutto? Lascia il tuo commento qui sotto e raccontaci la tua visione di un possibile Conte di Montecristo in salsa contemporanea: preferisci la fedeltà al testo o l’audacia delle nuove riletture?