C’era una volta una fiaba. Una fiaba semplice, eterna, dove il bene trionfava, il male veniva punito, e l’amore – udite udite – era romantico, non problematico. Poi è arrivata la Disney del 2020 in poi, e tutto è cambiato. Le fiabe, oggi, non sono più racconti senza tempo. Sono diventate laboratori sociopolitici, dove ogni personaggio è un simbolo, ogni dialogo una dichiarazione ideologica, e ogni finale… una lezione morale.
Dopo aver visto cosa hanno fatto con Biancaneve, sinceramente non mi meraviglierei di vedere una Cenerentola nera, omosessuale e con la fata madrina gender fluid. Ma qui non stiamo più parlando di inclusività. Qui siamo nel campo del revisionismo forzato, della propaganda in CG e dell’annientamento sistematico delle fiabe.
Biancaneve come campanello d’allarme
L’adattamento di Biancaneve è stato il primo segnale serio che qualcosa stesse andando fuori controllo. I nani? Spariti. O meglio, sostituiti da “creature magiche” per evitare di offendere qualcuno. La protagonista? Una versione finto-femminista, infastidita dal concetto stesso di “principe”.
E poi i dialoghi, riscritti come se fossero usciti da un TED Talk. Risultato? Un voto su IMDb da brividi: 2,3/10. E non è solo colpa dei “troll”. È che la gente si è stufata di vedersi rovinare l’infanzia in nome di un’agenda.
La Cenerentola che (temiamo) potrebbe arrivare
Facciamo un gioco, dai. Immagina la prossima Cenerentola Disney:
- È nera, perché la diversità etnica deve essere sempre visibile, anche se la storia si svolge in un regno immaginario ispirato all’Europa del ‘700.
- È omosessuale, perché l’amore eterosessuale è ormai percepito come “troppo classico”.
- Vive con due matrigne, perché serve rappresentare anche le famiglie non tradizionali.
- Non vuole andare al ballo per trovare l’amore, ma per esprimere sé stessa attraverso la danza interpretativa.
- Alla fine, non sposa nessuno, ma apre una start-up sostenibile nel campo dell’empowerment femminile.
- La Fata Madrina? Un attivista queer non-binario con i capelli fucsia e i pronomi “they/them”, ovviamente.
Ti sembra una parodia? Forse. Ma dopo Biancaneve, La Sirenetta, Peter Pan & Wendy, e il remake in arrivo di Lilo & Stitch con casting controversi, non è poi così lontano dalla realtà.
Il problema non è la diversità, ma l’imposizione
Sia chiaro: nessuno ha problemi con la rappresentazione. Il mondo è cambiato, e il cinema ha il dovere di riflettere anche le nuove sensibilità. Ma c’è una bella differenza tra includere e stravolgere.
Quando prendi una fiaba con elementi iconici, amati da generazioni, e li rimpiazzi uno a uno per adattarli a una narrativa “corretta”, non stai più raccontando una storia. Stai facendo propaganda.
E questo il pubblico lo percepisce. Perché il cinema, prima di educare, deve emozionare. E queste fiabe rieducative, invece, non emozionano nessuno. Ti guardano dall’alto e ti spiegano come dovresti pensare.
Ma una fiaba non ha bisogno di spiegare. Ti entra nel cuore con la sua semplicità. Con la sua magia. Non con le lezioni di sociologia.
La cinematografia è davvero tutta così?
Purtroppo, il virus del “woke per forza” ha contagiato anche buona parte della produzione cinematografica e seriale in generale. Basta guardare le ultime stagioni di saghe storiche o reboot di classici. Tutti parlano in modo identico, tutti hanno lo stesso messaggio da dare, tutti sono “svegli”, ma nessuno è interessante.
Il rischio? La noia. L’omologazione. E, peggio ancora, la perdita di credibilità.
Perché se ogni protagonista è una supereroina, ogni antagonista un maschio bianco eterosessuale, e ogni storia un inno alla decostruzione di ruoli tradizionali… alla fine diventa tutto uguale.
La vera inclusività? Scrivere nuove storie
Sai qual è la soluzione? Non riscrivere Cenerentola. Scrivi una nuova fiaba. Una protagonista nera, lesbica, vegana, trans, asessuata, non binaria o quel che vuoi – ma con una nuova storia, un nuovo mondo, un nuovo mito.
Così sì che sarebbe un passo avanti. Così sì che sarebbe arte. E non solo content marketing.
L’arte non è una campagna social
Una cosa che molti executive di Hollywood sembrano dimenticare è che l’arte non è un sondaggio su Twitter. Non deve accontentare tutti. Non deve fare contenti tutti i gruppi d’interesse, ogni volta. Deve avere il coraggio di raccontare qualcosa di vero, di sentito. Anche se scomodo. Anche se non allineato.
E invece oggi si fa il casting come se fosse un bilancio aziendale: tot percentuale di diversity, tot gender, tot inclusione. Ma chi scrive i personaggi? Chi scrive le emozioni? Chi scrive il senso della storia?
Conclusione: Cenerentola è l’ultima fiaba da difendere
Le fiabe non sono solo storie per bambini. Sono fondamenta culturali, archetipi, simboli.
Raccontano ciò che siamo stati. E ci insegnano a sognare ciò che potremmo essere.
Stravolgerle in nome del presente significa perdere il contatto con ciò che le rende eterne.
E se la Disney continuerà su questa strada, presto non ci sarà più bisogno di critici. Ci penseranno i bambini stessi, annoiati a morte, a decretare il fallimento.
Perché nessuno vuole una Cenerentola che fa attivismo. La vogliamo con la scarpina. E col cuore.
E tu? Sei anche tu stanco di vedere le fiabe trasformate in lezioni di morale woke? Scrivilo nei commenti. Voglio sentire la tua voce.