Sono entrato si Netflix con la speranza di vedere un film che, pur nella sua vena comica, trattasse con intelligenza un tema delicato come la maternità surrogata. Dopo la fine del film ho avuto la sensazione di aver visto una sitcom degli anni ’90 allungata a dismisura, con tutti i cliché del caso e l’incapacità totale di maneggiare le sfumature di un argomento così complesso.
“Dove osano le cicogne” è il classico esempio di opportunità sprecata: un cast con potenziale, un tema attuale, ma una sceneggiatura che sembra scritta in una notte insonne dopo una maratona di commedie italiane di vent’anni fa.
Milano patinata e personaggi di cartone
Il film si svolge in una Milano da spot pubblicitario, dove le scuole pubbliche sembrano uscite da un catalogo IKEA e i personaggi si comportano come se fossero costantemente su un palcoscenico. Angelo Pintus interpreta un maestro elementare eccentrico e insicuro, in una scuola dove i bambini sembrano più comici che studenti e l’insegnamento è ridotto a uno sfondo irrilevante.
La moglie, Marta (interpretata da Marta Zoboli), è il classico personaggio femminile nevrotico e paranoico che popola le commedie italiane da decenni. La coppia, chiaramente infelice ma tenuta insieme dalla sceneggiatura, decide di intraprendere la strada della maternità surrogata dopo aver scoperto di non poter avere figli.
L’elefante nella stanza: la maternità surrogata
Ed ecco il problema principale: il film prende un tema estremamente delicato e lo trasforma in una serie di gag prevedibili. Nel contesto italiano, dove la gestazione per altri è stata recentemente dichiarata reato universale (ottobre 2024), il film tratta l’argomento come una “simpatica avventura”.
Il personaggio dell’infermiere corrotto Andrea (Andrea Perroni) è il veicolo di una comicità ingenua, mentre la ragazza che accetta di portare avanti la gravidanza (Beatrice Arnera) proviene da un contesto stereotipato da film di serie B: un garage pieno di ragazzi “tossici” truccati di nero, come se fossimo ancora alle prese con le fiction italiane di inizio millennio.
L’illegalità del metodo di concepimento diventa fonte di battute scontate e situazioni forzatamente comiche, mentre il desiderio di genitorialità è costantemente ridicolizzato, sminuendo l’importanza emotiva e sociale della questione.
Una comicità fuori tempo massimo
Ciò che davvero fa affondare il film è la sua incapacità di trovare il giusto tono comico. Pintus produce continuamente gag, alcune funzionano, molte altre no, tanto che a un certo punto ti ritrovi a desiderare un momento di silenzio in cui il personaggio faccia qualcosa oltre alle battute.
La sceneggiatura, firmata dallo stesso Pintus insieme a Brizzi, sembra più interessata a infilare una battuta dopo l’altra che a costruire personaggi credibili o situazioni genuine. Il risultato è un film che cerca disperatamente di farti ridere, ma che finisce per farti alzare più di un sopracciglio per l’approssimazione con cui tratta temi sensibili.
Tecnicamente inappuntabile, creativamente discutibile
Dal punto di vista tecnico, il film non ha particolari problemi: la regia di Brizzi è pulita, la fotografia è chiara e luminosa, simile a quella di uno spot pubblicitario. Gli attori fanno il possibile con il materiale a disposizione, ma nemmeno la migliore interpretazione potrebbe salvare una sceneggiatura così problematica.
È come se il film cercasse di essere una commedia all’italiana contemporanea, ma con sensibilità e umorismo fermi a vent’anni fa. In un’epoca in cui il pubblico è sempre più attento e consapevole delle complessità sociali, “Dove osano le cicogne” sembra un film fuori tempo massimo.
Il verdetto finale
“Dove osano le cicogne” è una commedia che avrebbe potuto (e dovuto) fare di più. Il tema della maternità surrogata meritava un trattamento più sensibile e sfumato, anche in chiave comica. Invece, ciò che otteniamo è una serie di stereotipi, battute prevedibili e situazioni forzate che lasciano l’amaro in bocca.
Se sei un fan di Pintus, potresti trovare qualche momento di divertimento. Se invece cerchi una commedia italiana che sappia bilanciare risate e riflessione su temi importanti, questo film non è quello che fa per te.
E tu, hai visto “Dove osano le cicogne”? Pensi che sia possibile fare una commedia su temi delicati come la maternità surrogata senza cadere nella banalizzazione? Condividi la tua opinione nei commenti e fammi sapere se concordi con questa recensione o se hai una visione completamente diversa!
La Recensione
Dove osano le cicogne
L'ultima fatica di Fausto Brizzi, "Dove osano le cicogne", vede Angelo Pintus nei panni di un maestro elementare che, insieme alla moglie nevrotica interpretata da Marta Zoboli, intraprende il complicato percorso della maternità surrogata. Nonostante il tema delicato, il film sceglie la strada della commedia leggera e dell'umorismo a tratti infantile, banalizzando una questione sociale complessa. Un film che sembra uscito dai primi anni 2000, con personaggi stereotipati e una comicità che fatica a trovare il giusto equilibrio.
PRO
- Per alcune gag riuscite (poche, ma ci sono)
CONTRO
- Banalizza un tema delicato come la maternità surrogata
- Personaggi stereotipati e poco credibili
- Comicità datata e spesso piatta