Prima di scrivere la recensione del film L’abbaglio, ci tenevamo ad analizzare questo importante contesto storico.
L’Unità d’Italia e la spedizione dei Mille, pur rappresentando momenti fondamentali nella storia nazionale, hanno avuto conseguenze complesse e, in molti casi, negative per il Sud Italia. Queste ripercussioni sono state oggetto di ampio dibattito storico e politico, dando origine alla cosiddetta “questione meridionale”.
1. Conflitto sociale e repressione
Dopo l’unificazione, molte comunità meridionali si sentirono tradite dalle promesse di riforme e miglioramenti. La delusione portò alla diffusione del brigantaggio, un fenomeno di resistenza armata che coinvolse ex soldati borbonici, contadini e banditi. La risposta del nuovo Stato fu una repressione militare severa, con episodi di violenza e deportazioni, come quelle nel Forte di Fenestrelle, sebbene il numero esatto delle vittime sia oggetto di dibattito tra gli storici.
2. Politiche fiscali e doganali penalizzanti
L’estensione del sistema fiscale piemontese al Sud comportò un aumento significativo delle tasse, gravando su una popolazione già in difficoltà economica. Inoltre, l’adozione di politiche doganali protezionistiche favorì l’industria del Nord a scapito dell’economia meridionale, prevalentemente agricola, rendendo difficile la competitività dei prodotti del Sud.
3. Mancata riforma agraria e consolidamento del latifondo
Nonostante le aspettative di una redistribuzione delle terre, la riforma agraria non fu attuata. Al contrario, la vendita dei beni ecclesiastici e demaniali rafforzò il potere dei latifondisti, consolidando una struttura sociale semifeudale e aumentando le disuguaglianze.
4. Disparità negli investimenti pubblici
Studi successivi hanno evidenziato una distribuzione iniqua della spesa pubblica, con investimenti significativamente maggiori nel Nord rispetto al Sud. Questo squilibrio ha contribuito ad accentuare il divario economico e sociale tra le due aree del paese.
5. Emigrazione massiccia
Le difficili condizioni economiche e sociali spinsero molti meridionali a emigrare, soprattutto verso le Americhe, in cerca di migliori opportunità. Questo fenomeno ebbe un impatto demografico e culturale significativo sulle regioni del Sud.
6. Interpretazioni revisionistiche
Alcuni autori, come Nicola Zitara e Pino Aprile, sostengono che l’Unità d’Italia abbia trasformato il Sud in una “colonia interna”, sfruttata per favorire lo sviluppo del Nord. Queste tesi, sebbene controverse, hanno alimentato il dibattito sulla questione meridionale e sulle responsabilità storiche.
Quindi, mentre l’Unità d’Italia rappresentò un passo importante verso la costruzione dello Stato nazionale, le modalità con cui fu realizzata e le politiche adottate nel periodo postunitario hanno avuto conseguenze negative per il Sud, contribuendo a creare e perpetuare un divario che ancora oggi rappresenta una sfida per l’Italia.
E ora riprendiamo con la recensione del film.
Quante volte ti è capitato di trovarti a una festa dove nessuno sa se sta celebrando un matrimonio o un funerale? Ecco, “L’abbaglio” è esattamente quella festa: tutti gli invitati sono vestiti bene, c’è del buon cibo, ma nessuno ha capito quale sia l’occasione. Roberto Andò, reduce dal successo di “La stranezza”, ha deciso di riunire nuovamente il trio formato da Ficarra, Picone e Toni Servillo, ma stavolta sembra aver dimenticato di spiegare loro (e a se stesso) che tipo di film stessero girando.
Disertori garibaldini: una premessa sprecata
La trama, sulla carta, prometteva bene: Domenico Tricò e Rosario Spitale (Ficarra e Picone) sono due siciliani che, partiti dal Veneto con la Spedizione dei Mille, decidono di disertare, preferendo la fuga alla gloriosa battaglia garibaldina. Un’idea brillante che poteva trasformarsi in una satira pungente sul mito risorgimentale o in una commedia sulla vigliaccheria e le piccole miserie umane. Invece, il film si perde in un vagabondaggio narrativo che rispecchia quello dei suoi protagonisti.
Domenico sogna di tornare dalla famiglia, che probabilmente lo ha già dimenticato, mentre entrambi cercano di reinventarsi e ricostruirsi una vita lontano dal conflitto. Suona familiare? È praticamente “Fratello, dove sei?” dei fratelli Coen, ma senza la coerenza stilistica e la chiarezza di intenti di quel capolavoro.
Un triangolo che non funziona
Se in “La stranezza” l’instabile bizzarria di tono riusciva a creare un universo pirandelliano sempre in bilico tra dramma e commedia, qui il delicato equilibrio crolla completamente. Il gioco a tre tra i protagonisti si disperde tra bombardamenti, fughe e momenti di smarrimento che non riescono mai a trovare una coerenza interna.
Toni Servillo, con il suo volto eternamente turbato, sembra appartenere a un altro film rispetto alla coppia comica siciliana. È come se Andò avesse girato due pellicole diverse e poi le avesse montate insieme sperando che nessuno se ne accorgesse. Il problema è che ce ne accorgiamo eccome, e lo squilibrio è così evidente da diventare quasi l’unico vero protagonista del film.
Il cinema di guerra secondo Andò: un abbaglio tecnico
A metà strada tra road movie, cinema bellico e tragicommedia, “L’abbaglio” risulta essere, in più di un momento, un film indeciso sui panni da vestire e le estetiche alle quali aderire. È come se il regista avesse aperto il guardaroba del cinema italiano e avesse indossato tutti i vestiti contemporaneamente, creando un look confuso e incoerente.
Particolarmente problematica è la realizzazione tecnica delle scene d’azione. Il viaggio per mare e la sparatoria nella boscaglia sono esempi perfetti di come non gestire l’effettistica in un film del 2025. In un’epoca in cui anche produzioni a basso budget riescono a creare sequenze belliche credibili, vedere queste scene in un film con ambizioni d’autore lascia sinceramente perplessi.
La risata soffocata dal dramma
La vera tragedia di “L’abbaglio” è che la risata è sempre dietro l’angolo, ma Andò, temendone forse la portata, la mette continuamente a tacere con il dramma. È come se ogni volta che Ficarra e Picone stessero per regalarci uno dei loro momenti di brillantezza comica, il regista decidesse improvvisamente di ricordarci che stiamo guardando un film “serio”.
Il risultato è un dramma fragile e inconcludente che soffoca il potenziale comico senza riuscire a costruire un’alternativa emotivamente coinvolgente. In questo senso, la guerra non ha giocato solo un brutto scherzo ai protagonisti, ma anche al cinema di Andò. Ad eccezione delle carte, che come dice il film stesso, svelano tutto, sempre: l’illusione di qualcosa che poteva essere e che di fatto non è stato.
Un cast sprecato in cerca d’autore
Il cast è stellare, non c’è dubbio. Oltre al trio principale, troviamo nomi del calibro di Tommaso Ragno, Giulia Andò, Pascal Greggory, Leonardo Maltese e molti altri. Ma è come avere una Ferrari e usarla solo per andare a fare la spesa: uno spreco di potenziale che lascia l’amaro in bocca.
Ficarra e Picone, quando lasciati liberi di essere se stessi, dimostrano ancora una volta il loro talento comico e la loro capacità di dare profondità a personaggi apparentemente semplici. I loro disertori siciliani strappano le uniche risate autentiche del film, facendoci rimpiangere ciò che avrebbe potuto essere se Andò avesse avuto più fiducia nella commedia.
Toni Servillo, dal canto suo, sembra un po’ spaesato, come se anche lui non avesse ben chiaro quale fosse la direzione del film. Il suo talento è indiscutibile, ma qui sembra quasi in conflitto con il tono generale dell’opera, contribuendo ulteriormente allo squilibrio complessivo.
Il verdetto finale: tra confusione e opportunità mancate
Con una durata di 131 minuti, “L’abbaglio” risulta essere non solo confuso ma anche eccessivamente lungo. È come una barzelletta raccontata male che poi viene anche spiegata: perde l’effetto comico e diventa solo un esercizio tedioso.
Il film di Andò non è un disastro totale, ci sono momenti in cui si intravede ciò che avrebbe potuto essere: una commedia intelligente sulla diserzione e sulla ricerca di identità nell’Italia risorgimentale. Ma questi lampi di brillantezza vengono sistematicamente soffocati da un’indecisione di fondo sulla natura stessa dell’opera.
In definitiva, “L’abbaglio” è proprio quello che il titolo suggerisce: un’illusione di qualcosa che poteva essere e che di fatto non è stato. La beffa è che, nonostante tutte le sue ambizioni autoriali, finisce per essere un film che non sa bene cosa vuole essere e, di conseguenza, non riesce a essere nulla di memorabile.
E tu, hai visto “L’abbaglio”? Pensi che il trio Ficarra, Picone e Servillo meriti un’altra chance dopo questo passo falso, o credi che sia meglio che ognuno torni al proprio territorio? Condividi la tua opinione nei commenti e facci sapere se, nonostante tutto, hai trovato qualcosa da salvare in questa confusa avventura risorgimentale!
La Recensione
L'abbaglio
"L'abbaglio" segna il ritorno di Roberto Andò dietro la macchina da presa dopo il successo de "La stranezza", riunendo nuovamente il trio Ficarra, Picone e Servillo. Questa volta, però, il delicato equilibrio tra commedia e dramma crolla sotto il peso di un'indecisione di fondo. I due comici siciliani interpretano disertori in fuga dalla Spedizione dei Mille, ma il film oscilla continuamente tra road movie, cinema bellico e tragicommedia senza trovare una propria identità. Il risultato è un'opera tecnicamente fragile che soffoca le risate con un dramma inconcludente, sprecando il potenziale di una premessa interessante.
PRO
- La premessa dei disertori garibaldini è originale e potenzialmente esilarante
CONTRO
- Indecisione costante tra commedia e dramma che finisce per non essere né l'uno né l'altro
- Effetti speciali discutibili (le scene in mare e le sparatorie lasciano parecchio a desiderare)
- 131 minuti che sembrano molti di più a causa dello squilibrio tonale