Quando i Paramore hanno aderito alla campagna “No Music For Genocide” la scorsa settimana, sembrava una presa di posizione netta e definitiva. La band aveva rimosso il proprio catalogo dalle piattaforme di streaming in Israele, insieme alle opere soliste di Hayley Williams, partecipando a un boicottaggio culturale che conta ormai decine di artisti internazionali. Poi, qualche giorno dopo, sorpresa: la musica è ricomparsa. I fan hanno iniziato a chiedersi cosa stesse succedendo, e sui social è partito un coro di delusione e domande. Silenzio radio dalla band, almeno inizialmente. Fino a quando Hayley Williams ha deciso di rompere gli indugi e spiegare personalmente cosa stava accadendo dietro le quinte.
La campagna “No Music For Genocide” è un’iniziativa di boicottaggio culturale che invita artisti e detentori di diritti a ritirare la propria musica dalle piattaforme di streaming israeliane in risposta a quello che viene definito genocidio in corso a Gaza. Una mossa forte, politica, che divide l’opinione pubblica ma che sta raccogliendo adesioni significative nel panorama musicale internazionale. I Paramore si erano uniti alla causa senza proclami pubblici: il loro catalogo era semplicemente scomparso dai servizi di streaming in Israele, un gesto eloquente che non aveva bisogno di comunicati stampa. O almeno così sembrava. Perché quando la musica è ricomparsa online pochi giorni dopo, i fan hanno iniziato a sentirsi presi in giro. Un utente su X (ex Twitter) ha pubblicato un lungo post accusando la band di incoerenza e silenzio strategico, chiedendo una posizione chiara su una questione che non può essere ignorata da chi si definisce “una band politica”.
La risposta di Hayley Williams: trasparenza e frustrazione
Hayley ha risposto direttamente su Instagram Stories, e la sua spiegazione svela le difficoltà pratiche di un boicottaggio che coinvolge major discografiche e contratti complessi. “Stavo aspettando la conferma che tutti gli album pubblicati con Atlantic fossero effettivamente rimossi”, ha scritto la frontwoman, sottolineando come parlare prematuramente avrebbe solo generato più confusione. Il problema? Non è chiaro perché quegli album siano tornati disponibili dopo essere stati geobloccati con successo. Williams ha ammesso di essersi chiesta se quegli album sotto contratto con Atlantic potessero effettivamente far parte del boicottaggio, ma ha assicurato che il suo team sta lavorando senza sosta per risolvere la questione.
La parte più interessante della dichiarazione riguarda la posizione personale di Hayley: “Posso essere portavoce solo per me stessa in questo momento”, ha scritto, lasciando intendere che la band come entità collettiva potrebbe avere dinamiche decisionali più complesse. Ma ha anche ribadito con forza la sua convinzione che i boicottaggi funzionino e che più artisti possibile dovrebbero partecipare a questa iniziativa. Un messaggio chiaro, anche se mediato dalle difficoltà burocratiche dell’industria discografica.
Una fanbase che chiede coerenza
Quello che colpisce è il ringraziamento finale di Williams ai fan: “È davvero bello sapere che chi supporta i Paramore non supporta il genocidio” ed è disposto a fare domande scomode, anche quando quelle domande riguardano la band stessa. È raro vedere un artista di questo calibro ringraziare pubblicamente chi lo mette sotto pressione, ma è anche la dimostrazione di quanto la fanbase dei Paramore sia politicamente consapevole e non disposta a chiudere un occhio su questioni così importanti.
I Paramore non sono nuovi all’attivismo per la causa palestinese. A maggio 2024 avevano lanciato un appello per donazioni a sostegno degli aiuti umanitari a Gaza, durante l’intensificarsi delle operazioni militari israeliane a Rafah. Avevano già supportato Save the Children e Medici Senza Frontiere, e lo scorso settembre avevano collaborato con la stilista Bug Girl per una linea di merchandising a beneficio di Medical Aid for Palestinians. Insomma, la coerenza c’è, anche se stavolta la macchina burocratica ha rallentato l’effettiva realizzazione del boicottaggio.
Un movimento in crescita
I Paramore si uniscono a una lista impressionante di artisti che hanno geobloccato la propria musica in Israele: Fontaines D.C., Amyl & The Sniffers, Kneecap, Rina Sawayama, Primal Scream, Japanese Breakfast, King Krule e molti altri. Ma c’è anche chi va oltre: i Massive Attack, coinvolti nella campagna No Music For Genocide, hanno chiesto alla loro etichetta UMG di rimuovere la musica non solo dalle piattaforme israeliane, ma da Spotify in generale. Il motivo? Il CEO di Spotify, Daniel Ek, avrebbe investito cifre considerevoli in un’azienda che produce droni militari e tecnologia per aerei da combattimento. Anche King Gizzard & The Lizard Wizard, Xiu Xiu e Deerhoof hanno aderito al boicottaggio di Spotify per lo stesso motivo.
E tu, cosa ne pensi? Credi che i boicottaggi culturali possano davvero fare la differenza o sono gesti simbolici senza impatto reale? Raccontacelo nei commenti.




