Oggi ti parlo di Il Gattopardo, l’adattamento in serie di Netflix che mi ha lasciato un sapore amaro. Da sempre c’è stata l’aspettativa di rivivere quella magia che il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e il film di Luchino Visconti hanno saputo regalare alla cultura italiana. Invece, questa versione si perde in una modernizzazione forzata che stravolge il senso profondo della storia.
La trama e l’intento narrativo
La serie segue le vicende di Fabrizio di Salina, principe siciliano, e della sua famiglia alle prese con la trasformazione dell’Italia. L’intento, teoricamente, è raccontare il passaggio da una realtà divisa a una nazione unita, con tutte le contraddizioni e le resistenze tipiche di un sistema in crisi. La narrazione è ambientata in una Sicilia in fermento, tra lo sbarco a Marsala e una politica che cambia volto, ma l’essenza storica e sociale del romanzo si perde in una retata di scene d’amore e drammi sentimentali.
Netflix ha deciso di puntare tutto su un racconto “in costume” in chiave moderna, cercando di attirare un pubblico giovane con atmosfere che ricordano titoli come la saga di Bridgerton. Il risultato è un’opera che sembra voler trasformare una storia complessa in una semplice narrazione di relazioni amorose, sacrificando la profondità e la ricchezza dei personaggi.
L’adattamento moderno: fra romanticismo e superficialità
La sceneggiatura e la direzione
La scelta di modernizzare il racconto si rivela un’operazione azzardata. La sceneggiatura, scritta in modo da enfatizzare le scene romantiche e i drammi sentimentali, ignora molti degli aspetti storici e sociali che hanno reso Il Gattopardo un classico. In sei episodi da circa un’ora, si tenta di dare spazio a relazioni complicate e amori non corrisposti, ma il risultato è un racconto frammentato, che non riesce a dare un senso coerente alla trasformazione della Sicilia e dell’Italia intera.
La direzione di Tom Shankland si perde in ripetizioni e cliché: la modernizzazione si traduce in una narrazione che sembra volersi rivolgere a un pubblico che preferisce il sensazionalismo al contenuto sostanziale. Le scene che dovrebbero esaltare la bellezza e la complessità del romanzo diventano momenti superficiali, in cui il dialogo tra il vecchio e il nuovo si dissolve in una retorica banale.
La focalizzazione sui personaggi femminili
Il punto focale della serie è il personaggio di Concetta, interpretata da Benedetta Porcaroli, che vive un’agonia amorosa e una contrapposizione diretta con la figura di Angelica, interpretata da Deva Cassel. La scelta di dare così tanto spazio a queste dinamiche sentimentali, a discapito di una narrazione più storicamente radicata, impoverisce il racconto. Concetta appare come un’icona di sofferenza d’amore, ma la sua storia viene raccontata in modo superficiale, senza approfondire le sue sfumature psicologiche. Anche il protagonista, il principe Fabrizio, resta un personaggio in ombra, valorizzato solo negli ultimi due episodi, come se si volesse rimandare il momento clou fino a quando ormai il pubblico ha perso l’attenzione.
Aspetti storici e ambientazione: la Sicilia dimenticata
Uno degli elementi che rendeva il romanzo e il film di Visconti così potenti era la presenza della Sicilia, un territorio ricco di storia e cultura. Qui, invece, la Sicilia viene quasi trascurata. Le immagini, pur cercando di richiamare il lusso e la decadenza del passato, non riescono a trasmettere quel senso di appartenenza e di lotta interiore che caratterizzava il vecchio mondo siciliano.
Netflix si affanna a costruire un’atmosfera glamour e moderna, ma dimentica di dare spazio ai contrasti, alle contraddizioni sociali e politiche che il racconto originale aveva in abbondanza. L’aspetto geografico, che avrebbe potuto essere un personaggio a sé stante, rimane in secondo piano, quasi come se si volesse evitare di affrontare temi troppo complessi per un pubblico ormai abituato a trame semplificate.
La recitazione e il cast
Il cast riunisce volti noti come Kim Rossi Stuart, Deva Cassel, Saul Nanni e Benedetta Porcaroli. Non si può negare che ci sia talento, ma anche qui la scelta dei personaggi e il modo in cui vengono caratterizzati risultano deludenti. I ruoli, in particolare quello del principe di Salina, non vengono approfonditi come meriterebbero. L’interpretazione è spesso superficiale, priva della profondità che si aspettano i fan di una storia così complessa.
Le relazioni tra i personaggi appaiono forzate e prive di quella naturalezza che rendeva il film di Visconti un capolavoro. Ogni personaggio sembra recitare una parte preconfezionata, senza quella scintilla di originalità e spontaneità che, in un buon adattamento, fa la differenza. La chimica tra gli attori non compensa una sceneggiatura che non osa andare oltre i soliti cliché.
Le aspettative e la realtà
La mia delusione è totale. Mi aspettavo un’interpretazione moderna che rimanesse fedele allo spirito del romanzo, una rivisitazione che potesse parlare sia ai nostalgici dei grandi classici italiani sia ai giovani che cercano emozioni forti. Quello che ho visto è una serie che sacrifica la profondità per l’estetica, che riduce un’epopea storica a una semplice storia d’amore su Netflix.
L’operazione di “modernizzazione” è mal riuscita. La retorica contemporanea, fatta di facili emozioni e di un’eccessiva attenzione agli aspetti superficiali, si scontra con il peso storico e culturale del racconto originale. La serie manca di coerenza e di una direzione chiara, e questo si nota in ogni scena.
Conclusioni
Il Gattopardo su Netflix è un adattamento che delude su più fronti. La mancanza di una narrazione coerente, la superficialità nella caratterizzazione dei personaggi e la trascuratezza dell’aspetto storico trasformano quella che poteva essere un’opera di grande impatto in una mera rielaborazione sensazionalistica. La serie non riesce a catturare l’essenza del romanzo e del film di Visconti, trasformando una storia ricca di sfumature in una semplice narrazione d’amore e intrighi familiari.
Io non mi sento di consigliare questa versione del Gattopardo. Se ami i grandi classici italiani e ti aspetti una storia che faccia riflettere, questa serie non fa per te. Se invece cerchi qualcosa di leggero, con belle immagini e un ritmo che, per un attimo, ti distrae dalla realtà, potresti darle una chance. Ma, sinceramente, la mia esperienza è stata deludente. Non c’è quel brivido, quella profondità che contraddistingue una grande opera.
La Recensione
Il Gattopardo
Il Gattopardo di Netflix offre un'apparenza moderna e scintillante che maschera una narrazione superficiale, incapace di onorare il peso storico e culturale del capolavoro italiano.
PRO
- Immagini e scenografie lussuose che catturano lo sfarzo visivo
CONTRO
- Trama frammentata e personaggi poco approfonditi
- Adattamento che semplifica e banalizza una storia ricca di significato
Sono al 4 episodio e, per ora, non condivido questa stroncatura, sebbene si debbano fare alcuni appunti critici. Appassionata di storia e letteratura, anche per mestiere, e appassionata anche di cinema e fiction di ogni genere, ritengo che, invece, questa produzione, che non vuole essere solo moderna ma ribaltare la prospettiva, mostrandoci gli eventi, storici e sentimentali (attraverso scene di insieme molto suggestive), soprattutto dal punto di vista di Concetta, eroina tragica invece messa leggermente da parte dal capolavoro di Visconti, e quindi qui per questo più focalizzata sul proprio doloroso sentire. Certo, in Visconti l’ironia e l’altrettanto dolorosa nonchalance di Burt Lancaster/Gattopardo, consapevole di dover accettare l’apparente cambiamento proprio perché non cambierà nulla, chiaramente percepibile nel capolavoro di Tomasi di Lampedusa, viene qui stemperata da una furia quasi erotica forse eccessiva, una fissità degli sguardi un poco forzata, mentre la fantastica interpretazione del goffo e viscontiano Paolo Stoppa/Sedara, qui volge leggermente verso il macchiettistico. Sono peraltro d’accordo con la critica soprattutto per quanto riguarda il personaggio di Angelica: nulla a che vedere con la strepitosa Claudia Cardinale, della quale si riprende l’acconciatura del famoso ballo di fidanzamento (una citazione di omaggio a Visconti e Tirelli ?): qui Angelica è sì troppo moderna, troppo furbetta, troppo evidente nella sua strategia di arrampicatrice. E ancora sulla modernità: certo qui non si arriva alla maniacalità di Visconti, che fa sotterrare per sei mesi le camice rosse affinché non sembrino appena uscite dalla sartoria….cosa che invece qui avviene. Tuttavia la sceneggiatura è curata, soprattutto in alcune frasi che in realtà rivelano un mondo di “fatti e pensieri altri” (sia dal punto di vista storico che privato) e le riprese e la fotografia sono molto belle, curate senza essere leccate, concentrate sulla volontà di raccontarci una Sicilia anche geografico-fisica, dove ai giardini e alle tenute agricole lussureggianti, si contrappone una campagna arsa, brulla, punteggiata solo dai grandi cespugli di fichi d’India (per non parlare degl interni, strepitosi di loro ma molto ben raccontati). Ripeto, sono al quarto episodio: eventualmente mi ricrederò.
Dobbiamo dire la verità… già all’inizio stavamo storcendo il naso per le interpretazioni. Diciamo che non è mai riuscita a manifestarci quel fascino del film di Visconti.