Ti sei mai chiesto che cosa rende il rap così potente, così capace di smuovere le coscienze e al tempo stesso di far ballare le folle? Il segreto sta nell’equilibrio tra tecnica, carisma e autenticità. E se in questo momento dovessimo indicare qualcuno che incarna al massimo livello questi tre aspetti, quel qualcuno sarebbe Jake La Furia. Con il suo nuovo album Fame – disponibile su tutte le piattaforme digitali – Jake dimostra che la scena urban italiana non è mai stata così viva, così decisa a raccontare, provocare, riflettere.
Pensaci: siamo in un periodo storico in cui la libertà d’espressione è al centro di mille discussioni, le istituzioni fanno a gara per dirci cosa è giusto o sbagliato, e la politica viene sbeffeggiata in ogni talk show. Eppure, c’è ancora voglia di dire le cose come stanno, di far emergere verità scomode e di ricordare che la censura non dovrebbe entrare nei versi di chi si esprime attraverso il flow e le rime. Jake La Furia incarna perfettamente questo desiderio di libertà: non a caso, lui e i rapper della nuova generazione riescono a farsi sentire in un contesto – il mainstream – che un tempo guardava a questo genere con sospetto.
Raggiungo idealmente Jake per un’intervista immaginaria ma fondata sui suoi pensieri reali, raccolti in una recente conversazione con la testata Open. Ci troviamo di fronte a un artista che ha attraversato la storia del rap italiano: dal progetto Club Dogo – condiviso con Gué e Don Joe – all’esperienza da giudice a X Factor, passando per una popolarità trasversale che coinvolge anche chi non mastica la cultura hip hop. E nel suo nuovo album, Jake non risparmia stoccate, riflessioni sociali e inviti a una presa di coscienza collettiva.
Perché questa presa di posizione così forte? Che senso ha parlarne proprio ora? Ti lascio scoprire tutto tra le righe di questo articolo, in cui percorreremo la sua storia, gli aneddoti più succosi e le dichiarazioni più audaci. Preparati a un viaggio tra beat incisivi, rime affilate e una critica sociale che non si è mai vista così diretta.
Jake La Furia, Emis Killa e il ritiro da Sanremo
Prima di tutto, devi sapere che in questi giorni Jake La Furia è stato inevitabilmente collegato a un fatto di cronaca che riguarda Emis Killa, suo partner artistico nel disco 17. Emis Killa si è ritirato dal Festival di Sanremo dopo aver appreso dai giornali di essere indagato per associazione a delinquere nell’ambito dell’inchiesta Doppia Curva, legata agli affari criminali del mondo ultrà interista e milanista. La vicenda è stata cavalcata da politici e opinionisti di turno, tra cui Maurizio Gasparri, che non ha esitato a commentare in modo piuttosto sarcastico l’allontanamento di Emis Killa dal Festival.
Jake La Furia risponde a tono, definendo Gasparri una sorta di caricatura da commedia dell’arte:
«Gasparri è una macchietta come il dottor Balanzone, capito? […] Già questa cosa qui dovrebbe far riflettere l’onorevole»
Questo scambio ci fa capire subito quanto Jake tenga a difendere la dignità dei rapper e del movimento urban, spesso presi di mira da chi vorrebbe etichettarli come cattivi maestri o cattivi esempi. Che ne pensi tu? È giusto che la politica si impicci così tanto delle scelte artistiche?
L’evoluzione di Sanremo e l’urban
Negli ultimi anni, il Festival di Sanremo ha aperto le sue porte a un gran numero di artisti rap, trap e urban. Un cambiamento epocale, se consideri che qualche decennio fa – quando era condotto da personaggi come Pippo Baudo – Sanremo era visto come la roccaforte della melodia italiana, lontanissima dai campionatori e dallo slang di strada. Eppure, Jake La Furia vede un clima tutto sommato positivo, anche se non privo di ipocrisie:
«Sanremo negli ultimi anni è diventato un posto assolutamente frequentabile anche per quanto riguarda la musica urban […] al contrario del Sanremo di quando ero piccolo, che era un po’ meno blasonato…»
Al tempo stesso, però, si percepisce il rischio che la kermesse possa “ammorbidire” il rap per renderlo più accettabile. Un esempio concreto è quanto dichiarato da Carlo Conti in passato, quando rassicurò i giornalisti preoccupati per un eccesso di presenze rap, dicendo in pratica che aveva vagliato i testi per assicurarsi che fossero “positivi”. Jake, di fronte a questo atteggiamento, non può che alzare la voce:
«Non solo ti riempi il festival di rapper perché i rapper ti fanno la classifica, ma vuoi avere pure l’arroganza di scegliere cosa devono dire. Questa cosa qua per me è veramente pessima per la musica rap»
La coscienza sociale in “Fame”
Arriviamo al cuore pulsante di Fame, il nuovo album di Jake La Furia. Il titolo non è casuale: “Fame” è anche il suo primo nome d’arte, usato all’inizio della carriera prima della nascita dei Club Dogo. Ma oltre al richiamo alle origini, Fame rappresenta l’urgenza di parlare di temi sociali, di scuotere gli animi e di ricordare a tutti che il mondo sta cambiando in modo imprevedibile.
«Tra i giovani, e comunque tra chi si dovrebbe occupare di cambiare il mondo, non c’è tutta questa fretta di cambiare il mondo. E intanto qua va sempre peggio»
Queste parole colpiscono duro, soprattutto se le contestualizzi in un periodo in cui i movimenti giovanili (come quelli ispirati a Greta Thunberg) sembrano essersi un po’ affievoliti. Jake critica la passività e invita, con la forza del rap, a una presa di posizione. E tu, sei d’accordo che il rap possa “svegliare le coscienze” più dei post sui social o dei meme virali?
Money on My Mind: la schiavitù dei soldi
In Fame c’è un brano particolarmente significativo, intitolato Money on My Mind, che affronta il delicato tema dei soldi e dell’ostentazione tipica del rap mondiale. Jake chiarisce che il vanto di essere “spaccone e aver fatto i soldi” è uno dei capisaldi del genere, eppure mette in guardia dal diventare schiavi della ricchezza:
«Correre continuamente dietro i soldi alla fine diventa un’ossessione che ti rovina la vita»
È un concetto condiviso anche da molti esperti di cultura hip hop, che da tempo analizzano la doppia valenza del denaro: da un lato è simbolo di riscatto sociale, dall’altro può diventare una catena invisibile. Basti pensare alle parole di Chuck D dei Public Enemy, che da sempre sottolinea come il rap debba denunciare non solo le ingiustizie politiche, ma anche la trappola del consumismo.
Censura e autocensura: il rap sotto attacco
Dalla questione dei soldi a quella della libertà d’espressione il passo è breve. Soprattutto in vista di Sanremo, si è parlato di testi “sconvenienti” di alcuni rapper, come Tony Effe, o di canzoni storiche – vedi Bella stronza di Marco Masini – sottoposte a una sorta di moralismo tardivo. E Jake, pur non urlando alla censura, avverte un tentativo di annacquare la musica:
«C’è una voglia di totalitarismo in questo momento […] si pensa che si possa vietare tutto da un momento all’altro»
Ecco perché alcuni rapper preferiscono l’autocensura, temendo ritorsioni o esclusioni. Ma Jake non ci sta, e rivendica la natura “violenta” del rap, un genere che ha sempre incluso testi forti, talvolta provocatori. Certe battaglie – come quelle dei Public Enemy – si portavano avanti con un linguaggio duro, ma pregnante di verità.
Il ruolo del rapper nell’educazione dei giovani
C’è un aspetto che spesso divide il pubblico e gli addetti ai lavori: i rapper dovrebbero moderare i contenuti in funzione dei giovanissimi che li ascoltano? Jake La Furia lo esclude, in modo perentorio:
«Non me lo sono mai posto e mai me lo porrò. Penso che sia sbagliato, la responsabilità di educare chi ascolta non è dell’artista. […] Ma il rap è questo, mica possiamo fare un genere di rap per giovanissimi»
Un pensiero che fa discutere, soprattutto se si considera quanto i ragazzini guardino ai rapper come vere e proprie icone. Eppure, tanti studiosi di sociologia della musica confermerebbero che la responsabilità educativa dovrebbe prima di tutto ricadere sulla famiglia e sulla scuola. Il rapper è un artista, non un maestro.
Concludiamo con la tua voce!
Ora tocca a te. Sei pronto a difendere la natura cruda e vera del rap, o credi che una maggiore moderazione potrebbe far crescere meglio le nuove generazioni? Ti senti più vicino all’idea di un rap sociale e combattivo, o preferiresti che restasse intrattenimento puro? Diccelo nei commenti e facci sapere la tua opinione!