Nell’immaginario collettivo cinematografico, John Wayne rappresenta l’epitome dell’eroe indistruttibile, il cowboy che non conosce paura né dolore, sempre pronto a rialzarsi dopo ogni caduta. Ma dietro la leggenda del “Duca” si nasconde una realtà ben diversa: quella di un attore che ha sacrificato letteralmente il proprio corpo sull’altare del cinema, pagando un prezzo altissimo per mantenere vivo il mito del western americano.
Il 1969 fu un anno cruciale per Wayne: da una parte il trionfo di “Il Grinta” che gli valse l’unico Oscar della carriera interpretando il maresciallo Rooster Cogburn, dall’altra “I due invincibili” (“The Undefeated”), un film pressoché dimenticato che gli procurò un infortunio permanente alla spalla che lo tormentò per tutti gli ultimi dieci anni di vita.
La cronologia degli eventi è fondamentale per comprendere l’ironia del destino: Wayne girò prima “Il Grinta” e solo successivamente “I due invincibili”, il che significa che riuscì a consegnare la sua performance da Oscar senza essere handicappato dall’infortunio. Se fosse andata diversamente, forse non avremmo mai visto quella memorabile interpretazione che rivitalizzò la carriera di un attore che, a 62 anni, rischiava seriamente l’irrilevanza cinematografica.
Per il pubblico italiano, cresciuto con i western all’italiana e grande ammiratore del cinema di genere americano, la figura di John Wayne rappresenta un’icona intramontabile che ha ispirato generazioni di registi e attori nostrani, da Sergio Leone a Franco Nero. Scoprire le sofferenze fisiche dietro quelle performance eroiche aggiunge una dimensione umana e tragica al mito del cowboy perfetto.
Il set maledetto di “I due invincibili”
“I due invincibili” era un progetto ambizioso diretto da Andrew V. McLaglen, ambientato durante l’era della Guerra Civile americana. Wayne interpretava il colonnello unionista John Henry Thomas al fianco di Rock Hudson nel ruolo del colonnello confederato James Langdon. La trama vedeva i due ex nemici unire le forze insieme ai Cherokee per sconfiggere banditi messicani e rivoluzionari.
Le riprese dovevano iniziare in Texas nell’autunno del 1968, ma furono rimandate per permettere a Wayne di completare “Il Grinta”. Quando finalmente iniziarono nel febbraio 1969, il Duca non immaginava quello che lo aspettava. La produzione si rivelò un incubo fisico per l’attore, già provato da decenni di cinema d’azione e dai primi segnali di quella che sarebbe diventata una battaglia lunga contro il cancro.
La confusione delle fonti sull’esatto momento dell’infortunio dimostra quanto fosse comune per Wayne farsi male sul set. Secondo l’American Film Institute, un articolo del Daily Variety del febbraio 1969 riportava che Wayne era caduto in un ristorante a Guaymas, in Messico, rompendosi due costole. Tuttavia, la biografia “Duke” di Ronald L. Davis colloca questo incidente nel 1973, durante le riprese di “The Train Robbers”.
La caduta che cambiò tutto
Quello che è certo è che Wayne confermò personalmente di essersi infortunato durante “I due invincibili” nella sua controversa intervista a Playboy del 1971. Quando il giornalista Richard Warren Lewis gli chiese della sua tendenza a cadere dai cavalli “in modo poco professionale”, Wayne chiarì: “Al diavolo, nel mio mestiere sono caduto da un sacco di cavalli. Sono caduto anche apposta in ‘Il Grinta’. Ma quella caduta in ‘I due invincibili’ è stata irritante perché mi sono lacerato alcuni legamenti alla spalla. Non ho più il pieno uso di un braccio, e mi fa sembrare un idiota quando salgo su un cavallo”.
La dinamica dell’incidente è documentata in un altro articolo del Daily Variety: durante una scena girata a Baton Rouge, Louisiana, la cinghia della sella di Wayne si è allentata mentre cavalcava, causando la caduta e la lussazione della spalla (anche se Wayne specificò che si trattava di legamenti lacerati). Nonostante il dolore, l’attore fu portato in ospedale ma tornò sul set lo stesso giorno per continuare a girare una scena con Rock Hudson.
La filosofia del dolore secondo il Duca
La moglie di Wayne, Pilar Pallete, spiegò al Los Angeles Times la mentalità del marito: “Non era un piagnone. Sapeva sopportare il dolore”. Una filosofia di vita che rispecchiava perfettamente il suo personaggio cinematografico, dove la linea tra John Wayne attore e John Wayne persona era spesso impercettibile.
Il contesto fisico dell’infortunio rende tutto ancora più drammatico. Nel 1969 Wayne aveva già 62 anni e alle spalle quasi cinque decenni di cinema d’azione. Era stato diagnosticato con il cancro ai polmoni nel 1964, malattia che aveva sconfitto solo per soccombere al cancro allo stomaco nel 1979. Il suo corpo era già una mappa di cicatrici e traumi accumulati in decenni di set pericolosi.
La resistenza fisica dimostrata da Wayne era leggendaria anche tra i colleghi. Continuare a lavorare con legamenti lacerati alla spalla, tornando sul set lo stesso giorno dell’incidente, dimostra una dedizione professionale che oggi sarebbe considerata incosciente ma che allora rappresentava il normale standard di comportamento per una star del suo calibre.
L’eredità di un’epoca cinematografica irripetibile
“I due invincibili” rappresenta l’ultimo western del periodo d’oro del genere, girato in un’epoca in cui le production companies non avevano ancora sviluppato i moderni protocolli di sicurezza. Gli attori erano sostanzialmente dei gladiatori moderni, disposti a rischiare la vita per regalare emozioni autentiche al pubblico.
La metodologia produttiva degli anni Sessanta privilegiava l’autenticità rispetto alla sicurezza: Wayne faceva realmente le sue acrobazie, montava veramente a cavallo, cadeva davvero. Non esistevano le moderne tecniche di post-produzione digitale che oggi permettono di creare azione spettacolare senza mettere a rischio gli interpreti.
Il prezzo pagato da Wayne per mantenere viva la credibilità del suo personaggio fu altissimo: una spalla compromessa per sempre che influenzò ogni sua performance successiva. Chi guarda attentamente i suoi ultimi film può notare come l’attore compensi la limitata mobilità del braccio con movimenti studiati e posture alternative.
Le ombre di una leggenda controversa
La stessa intervista di Playboy del 1971 in cui Wayne raccontava dell’infortunio conteneva anche dichiarazioni che oggi consideriamo inaccettabili, inclusa la famigerata frase “Credo nella supremazia bianca” e commenti offensivi verso i nativi americani. Queste posizioni dimostrano come la figura di Wayne sia complessa e controversa, un prodotto del suo tempo che non può essere valutato solo attraverso la lente delle sue performance cinematografiche.
Il lascito artistico dell’attore rimane comunque indiscutibile: oltre 170 film in cinquant’anni di carriera, un Oscar, tre nomination e lo status di icona culturale globale. Ma la sua eredità è macchiata dalle posizioni politiche e razziali che espresse pubblicamente, creando una dicotomia tra l’eroe cinematografico e l’uomo reale.
La lezione moderna che possiamo trarre dalla storia dell’infortunio di Wayne riguarda l’evoluzione dell’industria cinematografica verso standard di sicurezza sempre più rigorosi. Oggi nessun attore sarebbe costretto a continuare a lavorare con un infortunio serio, e le assicurazioni delle produzioni garantiscono cure mediche adeguate.
Il prezzo umano del mito cinematografico
L’infortunio di Wayne su “I due invincibili” rappresenta simbolicamente il prezzo umano pagato per costruire e mantenere i miti cinematografici. Dietro ogni performance eroica si nascondevano spesso dolore reale, sacrifici fisici e compromessi sulla qualità della vita che il pubblico non vedeva né immaginava.
La spalla compromessa di John Wayne diventa così una metafora della fragilità nascosta dietro le icone più apparentemente indistruttibili del cinema. Un reminder che anche gli eroi più grandi dello schermo erano, in fondo, esseri umani vulnerabili che pagavano di persona per regalare sogni e avventure al pubblico di tutto il mondo.
Il destino beffardo volle che “I due invincibili” rimanesse un film dimenticato, relegato ai margini della filmografia di Wayne, mentre l’infortunio subito durante le sue riprese accompagnò l’attore fino all’ultimo giorno di vita. Un promemoria costante di come, nel mondo del cinema, gloria e sofferenza siano spesso indissolubilmente legate.
Il rapporto con Rock Hudson e l’ironia della storia
Durante le riprese di “I due invincibili“, si sviluppò un’interessante dinamica tra i due protagonisti. Secondo la biografia di Rock Hudson “All that Heaven Allows” di Mark Griffin, Wayne inizialmente tentò di “dirigere” Hudson, suggerendogli continuamente cosa fare davanti alla macchina da presa. Quando Hudson iniziò a ricambiare il favore, Wayne gli puntò il dito contro dicendo “Mi piaci”. I suggerimenti cessarono e i due diventarono frequenti compagni di scacchi e bridge.
L’ironia della situazione è che mentre Wayne si procurava un infortunio permanente che lo avrebbe tormentato per dieci anni, stava costruendo un’amicizia con un collega che sarebbe diventato uno dei suoi partner più apprezzati. Un esempio di come il cinema sappia creare legami umani autentici anche nelle situazioni più difficili.
La distribuzione italiana del film avvenne il 27 novembre 1969, pochi mesi dopo l’uscita americana, con il titolo “I due invincibili”. Secondo il critico cinematografico Morandini, il film era “un po’ letargico nel ritmo e prolisso nella narrazione, ravvivato da qualche sequenza d’azione e dalla coppia Hudson-Wayne”.
L’ultimo western di un’era che finiva
“I due invincibili” rappresenta simbolicamente la fine di un’epoca del cinema western, quella in cui gli attori rischiavano letteralmente la vita per interpretare i loro personaggi. Il film fu girato in un momento di transizione per Hollywood, quando i vecchi metodi produttivi stavano cedendo il passo a nuove tecnologie e maggiore attenzione alla sicurezza.
La performance di Wayne nel film, pur compromessa dall’infortunio alla spalla, mantiene tutta la sua forza carismatica. L’attore riuscì a nascondere il dolore e la limitata mobilità del braccio, dimostrando ancora una volta quella professionalità che lo aveva reso una leggenda del cinema mondiale.
Il successo commerciale limitato di “I due invincibili” rispetto a “Il Grinta” dimostra come il pubblico premiasse le storie più innovative rispetto alle formule consolidate. Mentre “Il Grinta” reinventava il personaggio di Wayne in chiave più moderna, “I due invincibili” rimaneva ancorato ai canoni tradizionali del western classico.
La storia dell’infortunio di John Wayne durante le riprese di “I due invincibili” ci ricorda che dietro ogni grande performance cinematografica si nascondono spesso sacrifici personali invisibili al pubblico, ma che contribuiscono a creare quella autenticità emotiva che rende eterni certi interpreti e certi film.
E tu cosa ne pensi del sacrificio fisico degli attori per il cinema? Credi che la ricerca dell’autenticità giustifichi i rischi che correvano le star del passato, o preferisci l’approccio moderno che privilegia la sicurezza? Raccontaci nei commenti se pensi che il cinema di oggi abbia perso qualcosa in termini di credibilità rispetto a quello dell’epoca di John Wayne.



