A 86 anni, Pupi Avati continua a sorprendere con una delle opere più bizzarre e affascinanti della sua lunga carriera. L’orto americano è un thriller gotico italiano che mescola noir morboso, assurdità surreale e una buona dose di follia narrativa che potrebbe essere genio puro o il delirio di un maestro che ha deciso di non avere più filtri. Il risultato? Un film che ha diviso critica e pubblico al Festival di Venezia ma che merita assolutamente di essere visto.
Da La casa dalle finestre che ridono a Iowa: il viaggio impossibile di Avati
Il regista di La casa dalle finestre che ridono (1976) e Zeder (1983) torna alle atmosfere gotiche con un film che è deliberatamente anacronistico e romanzesco. Girato in bianco e nero, L’orto americano ci porta dall’Italia del dopoguerra fino all’Iowa, per poi riportarci indietro in una storia contorta che ruota attorno alla ricerca di una donna scomparsa.
Il protagonista Lui (Filippo Scotti) è un solitario pensieroso che si trasferisce dall’Italia agli Stati Uniti per scrivere un libro. Nella sua improbabile nuova casa nei sobborghi dell’Iowa, fa presto amicizia con la vicina Flora (Rita Tushingham), una donna anziana che incontra dopo averla sentita urlare dalla porta accanto.
L’amore a prima vista che cambia tutto
Flora è in lutto per la perdita della figlia minore Barbara (Mildred Gustafsson), un’infermiera dell’esercito scomparsa durante la guerra. Da allora è diventata ossessionata dal scoprire cosa sia successo, arrivando a risentirsi della figlia maggiore Arianna (Morena Gentile), che percepisce come una rivale immeritevole della memoria di Barbara.
Per coincidenza, Lui aveva incontrato Barbara in persona, in un breve ma memorabile incontro che lo aveva fatto innamorare a prima vista. Dopo aver scambiato un paio di frasi educate in un negozio di barbiere, Barbara se n’era andata spensierata mentre Lui piangeva in silenzio, cambiato per sempre dall’esperienza. (Nel caso non l’avessi già intuito, questa storia non è radicata nel realismo.)
Il Mostro di Firenze arriva in Iowa
Ossessionato dalle immagini della bellissima Barbara, Lui decide di investigare sulla sua scomparsa. Preoccupante dettaglio: il suo periodo in Italia si sovrapponeva con un serial killer famigerato che uccise e mutilò diverse giovani donne – una storyline ispirata al vero “Mostro di Firenze”, i cui crimini potresti riconoscere dalla saga di Hannibal.
L’investigazione caotica di Lui incorpora indizi allucinatori e messaggi letterari codificati, guidandolo verso alcuni momenti deliziosamente grotteschi nel secondo atto. La performance di Filippo Scotti è un fattore cruciale qui, costantemente curiosa e sensibile mentre il tono del film oscilla tra intensità florida e crime drama eccentrico.
Il bianco e nero che non imita il passato
Ho visto diversi film moderni in bianco e nero che cercano di ricreare un’estetica vintage, più recentemente il deludente Mank di David Fincher. Avati non tenta completamente questo tipo di pastiche, eppure a volte sembra davvero di guardare un film di un’altra era – in parte a causa della premessa decisamente poco femminista del noir di L’orto americano.
A quanto pare, questo film ha ricevuto una reception piuttosto negativa dopo la prima al Festival di Venezia, ma io mi sono trovato travolto dalla sua atmosfera onirica e dalla trama sorprendentemente strana.
I difetti che diventano personalità
Nonostante i suoi difetti – più ovviamente un paio di cattivi attori nel cast di supporto, uno dei quali è doppiato in modo goffo e distraente – L’orto americano ha troppa personalità per essere liquidato. Si crogiola nella sua colonna sonora melodrammatica di metà secolo (così tanto theremin!), è pieno di personaggi idiosincratici e immagini memorabili, con Lui come protagonista affascinantemente naif per una storia così cupa.
L’orto americano è meglio goduto se abbandoni la convinzione che i personaggi e le loro motivazioni debbano avere senso razionale. Un film che viene in mente qui è il noir del 1944 Laura, la cui femme fatale titolare è già morta all’inizio della storia.
Il confronto con Laura e l’amore impossibile
Il detective protagonista riesce a innamorarsi di lei mentre investiga sul suo omicidio, pur non avendola mai incontrata in vita. Ci si aspetta che accettiamo una romance dove metà della coppia è abbastanza instabile da innamorarsi di una donna morta, e l’altra è così affascinante da poter apparentemente sedurre qualcuno dall’oltretomba.
La Barbara di L’orto americano è ancora più enigmatica e il suo corteggiatore spesso sembra distaccato dalla realtà, al punto che la loro connessione porta accenni di soprannaturale.
Il cinema di Avati che sfida le categorie
Uno dei film più insoliti che ho visto quest’anno, L’orto americano è determinato a evitare di essere catalogato in un mood o genere. È strano e inquietante e occasionalmente ridicolo, catturando la cupezza del noir primitivo senza sembrare un’imitazione palese.
Se sei aperto ad alcune scelte narrative imprevedibili che si appoggiano più all’atmosfera e all’emozione che alla logica, ne vale la pena. È il tipo di film che divide nettamente il pubblico: o lo ami per la sua audacia visionaria, o lo detesti per la sua incoerenza narrativa.
Il verdetto: follia controllata
L’orto americano è la dimostrazione che Pupi Avati a 86 anni non ha perso né la voglia di sperimentare né la capacità di sorprendere. È un film che non dovrebbe funzionare – troppo lento, troppo strano, troppo slegato dalla logica narrativa – eppure in qualche modo riesce a creare la sua atmosfera ipnotica.
Non è per tutti, ma per chi cerca cinema d’autore che osa ancora rompere le regole, è un’esperienza unica. È il tipo di film che ti fa riflettere su cosa significhi davvero raccontare una storia al cinema.
Sei pronto per un viaggio nell’Iowa onirico di Pupi Avati, o preferisci restare nei territori più sicuri del cinema narrativo tradizionale? Dimmi nei commenti se pensi che i registi anziani debbano continuare a sperimentare o se dovrebbero attenersi ai generi che conoscono meglio!
La Recensione
L'orto Americano
Pupi Avati a 86 anni firma un thriller gotico surreale che mescola noir morboso e assurdità onirica. Filippo Scotti eccellente in una storia d'amore impossibile tra Italia e Iowa (stato agricolo Americano). Cinema d'autore che sfida logica narrativa tradizionale con risultati polarizzanti ma indimenticabili.
PRO
- Cinema d'autore puro che dimostra come Avati sappia ancora sorprendere dopo decenni di carriera
- Filippo Scotti magnetico in una performance sensibile che tiene insieme una narrazione frammentaria
- Atmosfera onirica unica che mescola noir classico con elementi surreali in modo originale
CONTRO
- Narrazione incoerente che privilegia atmosfera ed emozione rispetto alla logica narrativa tradizionale
- Cast di supporto debole con alcuni attori sottotono che distolgono dall'immersione cinematografica