Disponibile su Amazon Prime Video | 96 minuti | PG-13 | 2025.
Ho appena finito di guardare l’ultimo film di Lasse Hallström, e devo essere onesta con te: “La mappa che mi porta a te” è uno di quei film che ti accompagnano piacevolmente per un’ora e mezza, ma che svaniscono dalla memoria ancora prima dei titoli di coda. È come quella canzone radiofonica che canticchi sotto la doccia ma di cui non ricordi mai il titolo.
Una storia già vista (ma con paesaggi bellissimi)
Il film, tratto dal romanzo di J.P. Monninger, ci presenta Heather (Madelyn Cline), neolaureata in procinto di diventare banchiera, che incontra il misterioso Jack (KJ Apa) su un treno notturno diretto a Barcellona. Il loro primo legame? Entrambi stanno leggendo “Il sole sorge ancora” di Hemingway. Già qui capisci dove andremo a parare.
Jack è uno di quei personaggi che esistono solo nei film romantici: vagabondo affascinante dalla Nuova Zelanda (almeno Apa può finalmente usare il suo accento naturale), che si unisce al viaggio delle ragazze attraverso la Spagna. C’è Amy (Madison Thompson), l’amica instabile reduce da una rottura, e Connie (Sofia Wylie), la più seria del gruppo con la passione per il cibo.
Dopo qualche disavventura iberica – incluso un tentativo di aggressione sessuale ai danni di Amy – il gruppo si divide. È qui che Heather decide di seguire Jack nella sua missione: visitare ogni luogo descritto nel diario del suo bisnonno, soldato nella Seconda Guerra Mondiale.
Instagram vs. autenticità: il solito dibattito millennial
Quello che segue è un tour fotografico tra Spagna e Portogallo, con Jack che predica costantemente di “vivere il presente” mentre critica l’ossessione moderna per Instagram. Il paradosso? Il film stesso sembra girato appositamente per essere Instagrammabile.
La cinematografia di Elías M. Félix è indubbiamente splendida, ma non basta a salvare dialoghi pseudo-profondi sull’architettura e infinite discussioni sul vivere nel presente versus pianificare il futuro. Roba che hai già sentito mille volte.
Il problema dei soldi (e delle logiche narrative)
C’è una cosa che mi ha dato particolarmente fastidio: questa totale disconnessione dalla realtà economica. In “Prima dell’alba” eravamo consapevoli che Jesse e Céline fossero giovani, stupidi e squattrinati. “Mangia prega ama” si prendeva la briga di spiegare come Julia Roberts potesse permettersi un anno sabbatico in giro per il mondo.
Qui invece abbiamo Heather, figlia di un padre single del Texas che ha “lavorato dai sedici anni” per permetterle gli studi a Boston e un lavoro da banchiera a New York. Eppure lei e Jack continuano a prelevare dai bancomat come se niente fosse, senza mai spiegare da dove arrivino tutti questi soldi.
Il colpo di scena più prevedibile del 2025
Non ti svelo troppo, ma se hai visto almeno tre film romantici nella tua vita, saprai già come va a finire. Malattia terminale + separazione forzata + ricongiungimento magico = lacrime garantite. È la ricetta più trita e ritrita del genere, usata qui senza un briciolo di originalità.
Quando la superficie non basta
“La mappa che mi porta a te” è quel tipo di film che funziona se spegni completamente il cervello e ti godi solo i paesaggi. Hallström ha dimostrato in passato di saper fare molto meglio (ricordi “Chocolat” o “Il sidro delle regole”?), ma qui sembra in modalità pilota automatico.
I personaggi non vanno oltre gli stereotipi di base, le conversazioni suonano come dialoghi di manuale di auto-aiuto, e l’uso della malattia come scorciatoia emotiva è semplicemente pigro da parte degli sceneggiatori.
La Recensione
La mappa che mi porta a te
La mappa che mi porta a te è un film visivamente piacevole ma narrativamente vuoto, che segue pedissequamente le formule del romance cinematografico senza apportare nulla di nuovo al genere. Le interpretazioni sono discrete ma non memorabili, mentre la regia di Hallström appare priva di quella profondità emotiva che caratterizzava i suoi lavori migliori.
PRO
- Cinematografia mozzafiato - I paesaggi di Spagna e Portogallo sono davvero spettacolari
- Comfort viewing perfetto - Ideale per una serata in cui non vuoi pensare troppo
CONTRO
- Trama completamente prevedibile - Zero sorprese dall'inizio alla fine
- Dialoghi superficiali - Conversazioni pseudo-profonde che non dicono nulla di sostanzioso
- Personaggi stereotipati - Nessun protagonista riesce a emergere come figura tridimensionale
- Uso scontato della malattia - La solita scorciatoia narrativa per strappare lacrime facili




