Il thriller che non voleva essere un thriller
Atrapados – In trappola è l’ennesimo adattamento Netflix firmato Harlan Coben, e già qui qualcuno potrebbe iniziare a sudare freddo. La serie, ambientata in Argentina, promette suspence, intrigo e tematiche scottanti. Ma il risultato? Una miscela disordinata di buone intenzioni, fotografia televisiva e svolte di trama che sembrano uscite da un bignami di serie crime anni ’90.
Trama: giornalismo, segreti e troppe sottotrame
La protagonista è Ema Garay, interpretata da una sempre professionale Soledad Villamil. Ema è una giornalista investigativa che conduce un programma simile a “To Catch a Predator”, ma è anche madre single di Bruno, adolescente problematico. Dopo la morte del marito in un incidente stradale, Ema cerca un equilibrio impossibile tra vita privata e caccia ai predatori sessuali. Finché non si ritrova coinvolta in un caso che la tocca troppo da vicino: una giovane violinista muore dopo una festa, e tutti i sospetti cadono sul figlio di Ema.
Fin qui sembra tutto interessante. Ma l’intreccio diventa un labirinto. Pedofilia, land grabbing, rivalità familiari, giornalismo d’inchiesta, nazisti, social media, trauma generazionale… insomma, manca solo l’apparizione di un UFO e abbiamo bingo.
Troppa carne al fuoco, e nessuna ben cotta
Il problema principale è che la narrazione si diluisce. Coben parte da un tema forte (la manipolazione dei minori) ma lo circonda di troppe sottotrame che confondono e distolgono. Il messaggio centrale si perde in una giungla di cliché, red herring e rivelazioni finali che arrivano stanche e poco impattanti.
Un esempio? La sottotrama sulla proprietà terriera e la corruzione politica avrebbe meritato una serie a parte. Invece viene buttata lì, trattata superficialmente. E il risultato è un miscuglio indigesto, come una torta con 12 strati di gusti che non si parlano tra loro.
Regia e ritmo: Netflix, ma meno
La regia di Miguel Cohan e Hernan Goldfrid non aiuta. Il ritmo è lento, quasi apatico. La fotografia è piatta, lo stile visivo senza identità. Alcune inquadrature sembrano scelte più per necessità logistica che per scelta estetica. Hai presente quei frame da soap pomeridiana? Ecco.
L’assenza di tensione è ciò che sorprende di più. Per una serie che dovrebbe farci trattenere il respiro, qui si sbadiglia più che si trema. E questo nonostante la presenza di attori capaci.
Il cast: Villamil ok, ma è Mike Amigorena a brillare
Soledad Villamil fa del suo meglio con un personaggio scritto a metà. La sua Ema è credibile, sebbene intrappolata in dialoghi spesso didascalici. Alberto Ammann ha poco spazio ma lascia il segno, mentre Juan Minujin riesce a incarnare bene il ruolo del marito ambiguo e freddo.
Ma il vero colpo di scena è Mike Amigorena, perfetto nel ruolo del pedofilo ricco e impunito. Ogni sua scena mette a disagio, e l’attore riesce a trasmettere un senso di pericolo tangibile. Peccato che il resto della serie non sia all’altezza del suo livello.
Tematiche importanti, trattate con troppa fretta
Uno dei punti più frustranti di Atrapados è proprio la sua incapacità di approfondire davvero ciò che conta. I temi ci sono – la sessualizzazione precoce, il disagio adolescenziale, l’influenza tossica dei social – ma vengono abbandonati per inseguire colpi di scena poco efficaci. Il risultato? Una serie che vuole dire tutto ma non dice niente.
La figura della madre giornalista, divisa tra l’etica professionale e la protezione del figlio, avrebbe potuto essere esplorata in modo intimo e potente. Invece, tutto viene sacrificato per il gusto dell’intrigo.
Produzione senza anima
È ormai una costante: gli adattamenti Netflix di Coben sembrano seguire un rigido protocollo di sterilità visiva. Nessun rischio, nessuna identità, solo uno storytelling standardizzato che punta più al binge-watching passivo che alla qualità.
Il paragone con altre serie che trattano temi simili – come Adolescence, miniserie britannica che in quattro episodi riesce a dire molto di più – è impietoso. Là c’è coraggio, qui c’è solo protocollo.
Conclusione: intrappolati… in una serie mediocre
Atrapados – In trappola è un’occasione mancata, l’ennesima. Con un cast solido e spunti narrativi forti, avrebbe potuto essere una serie potente e provocatoria. Invece è una minestra tiepida, servita in piatti troppo grandi per le porzioni che offre.
Il consiglio? Guardala solo se sei un fan sfegatato di Coben… o se vuoi capire come non si scrive un thriller moderno.
E tu? Hai visto la serie? Sei rimasto intrappolato anche tu… o ti sei liberato dopo il primo episodio? Scrivilo nei commenti!
La Recensione
Atrapados - In Trappola
L'adattamento di Harlan Coben sbarca su Netflix e, tra misteri, complotti e scelte discutibili, riesce a lasciare il pubblico diviso (e confuso).
PRO
- Mike Amigorena è terrificante e magnetico: il suo personaggio vale da solo qualche scena.
CONTRO
- Trama confusa e sovraccarica: troppe sottotrame che si mangiano a vicenda.
- Regia piatta e zero tensione: niente ritmo, niente atmosfera, solo noia.
- Temi importanti trattati in modo superficiale: il messaggio si perde tra cliché e colpi di scena telefonati.