Quando ti chiedono quali tre parole ti definiscono e rispondi “molto”, “molto” e “annoiato”, beh, hai già detto tutto. È esattamente così che mi sono sentito dopo aver visto Steve, il nuovo film di Tim Mielants con Cillian Murphy, appena arrivato su Netflix il 3 ottobre. E non è un complimento.
Diciamolo subito: ho faticato a rimanere coinvolto. Questo film, tratto dal libro “Shy” di Max Porter (che curiosamente ha cambiato protagonista e titolo nell’adattamento), prometteva molto ma alla fine consegna un’opera frustrante, che si perde nella sua stessa ricerca di intensità emotiva.
La trama: 24 ore caotiche nella vita di un uomo stanco
Steve è il direttore di Stanton Wood, un collegio per ragazzi problematici che la società ha scartato. Ama profondamente questi ragazzi, in particolare Shy (Jay Lycurgo), un ragazzo che ha imparato cosa significa il rimorso troppo presto. In una delle poche scene davvero toccanti del film, sentiamo Shy parlare al telefono con sua madre, che praticamente lo ripudia. Ha finito le seconde possibilità da dargli.
Il colpo di scena? Stanton Wood chiuderà tra sei mesi. E Shy non ha letteralmente nessun posto dove andare. Qui il film dovrebbe farci sentire rabbia, paura, empatia per questi ragazzi dimenticati. Dovrebbe, appunto.
Il problema principale: un film che non sa chi vuole essere
Ed eccoci al cuore del problema. Il libro si chiamava “Shy” e presumibilmente raccontava la storia di questo ragazzo. Il film si chiama Steve e… beh, hai capito. Probabilmente per via di avere nel casting una star come Murphy, il focus si è spostato completamente. E questo spostamento costa caro alla narrazione.
Non arriviamo mai davvero a conoscere Shy o gli altri ragazzi. Il regista ci dice quanto siano speciali, quanto Steve li ami, ma non ce lo mostra abbastanza. Shy diventa una figura quasi simbolica, un ragazzo di cui dovremmo preoccuparci più per dovere che per reale coinvolgimento emotivo. Jay Lycurgo fa un buon lavoro con quel poco che gli viene dato, ma non è sufficiente.
Invece seguiamo le 24 ore caotiche di Steve, che sprofonda nella frustrazione e nell’abuso di sostanze, tirando fuori il vino delle feste dalla cantina. Ah, piccolo dettaglio: tutto questo succede proprio il giorno in cui una troupe documentaristica arriva a Stanton Wood per filmare la vita nel collegio. Perché ovviamente doveva succedere tutto insieme.
Troppo stile, poca sostanza
Mielants si lascia andare a scelte registiche sempre più esibizioniste. Droni, inquadrature elaborate, sequenze in piano sequenza… tutto sembra progettato per ricordarti costantemente che stai guardando un film. Quando invece quello di cui questa storia aveva bisogno era esattamente il contrario: più radicamento, più semplicità, più autenticità.
C’è una scena che riassume perfettamente il problema del film. I ragazzi vedono la troupe attraverso le finestre e, da adolescenti pieni di testosterone quali sono, iniziano a fare gesti osceni verso le telecamere, simulando atti sessuali contro i vetri. È tutto performativo. È fatto per ottenere una reazione, non significa nulla di profondo. E questa è esattamente la sensazione che lascia gran parte del film: un’opera che vuole provocare emozioni invece di guadagnarsele con pazienza e cura.
L’unica vera stella: Cillian Murphy
Eppure, in mezzo a tutto questo caos, c’è Cillian Murphy. E mio dio, quanto è bravo quest’uomo. È incredibile quanto riesca a trovare sfumature e profondità anche quando tutto intorno a lui sembra progettato per essere melodrammatico e sopra le righe.
Murphy è uno di quegli attori rari che sono più efficaci nel silenzio che con un monologo. Riesce a trasmettere la tempesta interiore di Steve – il rimorso, l’impazienza, la stanchezza esistenziale – con una qualità nervosa e instabile che è semplicemente magnetica. Guardi lui e ti chiedi: ha fatto abbastanza per salvare Stanton Wood? C’è qualcos’altro che potrebbe fare? Non può semplicemente bere qualcosa e dormire un po’?
La verità è brutale: con un attore meno talentuoso nel ruolo principale, questo film sarebbe un disastro totale. Murphy lo salva, creandogli un’isola di genuinità in mezzo a un oceano di melodramma.
Il cast di supporto: sprecato
Tracey Ullman ed Emily Watson fanno del loro meglio con ruoli clamorosamente sottoscritti. Sono attrici di talento in parti che sembrano abbozzate, personaggi che meriterebbero molto più spazio e profondità. È uno spreco di risorse attoriali che rende ancora più frustrante l’esperienza complessiva.
Un near-miss frustrante
Non fraintendermi: Steve non è un film terribile. È semplicemente un’occasione mancata, un near-miss frustrante come lo definisce giustamente Brian Tallerico nella sua recensione originale. Mielants e Murphy avevano già collaborato l’anno scorso nell’eccellente “Small Things Like These”, un film che sapeva trovare profondità nella sottile osservazione. Qui invece tutto è aggressivo, urlato, performativo.
Il film vuole che tu senta qualcosa, ma non si prende il tempo per farti entrare davvero in quella realtà. Rimani dall’altra parte del vetro, come quegli studenti che fanno gesti osceni alla telecamera. Guardi, ma non partecipi veramente. E questo è il problema più grande di tutti.
Il verdetto finale
Steve è un film che vive interamente sulla performance straordinaria di Cillian Murphy. Senza di lui, crollerebbe completamente. Con lui, rimane comunque un’opera problematica, che non riesce a bilanciare le sue ambizioni con la capacità di raccontare una storia emotivamente autentica.
Se sei un fan sfegatato di Murphy, probabilmente lo guarderai comunque e troverai cose da apprezzare nella sua interpretazione. Ma preparati a una visione che più che coinvolgerti ti lascerà con una sensazione di “poteva essere molto di più”. Proprio come Steve stesso: molto, molto stanco.
La Recensione
Steve
Steve è un dramma di Tim Mielants con Cillian Murphy nei panni del direttore di un collegio per ragazzi problematici durante 24 ore caotiche in cui la struttura sta per chiudere. Tratto dal libro "Shy" di Max Porter, il film sposta il focus dal ragazzo protagonista del romanzo al personaggio adulto, perdendo profondità emotiva nel processo. Nonostante una performance straordinaria di Murphy, il film soffre di scelte registiche eccessivamente esibizioniste, personaggi secondari sottosviluppati e un'intensità emotiva performativa che non riesce a guadagnarsi il coinvolgimento dello spettatore. Un'occasione mancata che spreca un cast di talento.
PRO
- Cillian Murphy offre una performance magistrale che da sola vale il prezzo del biglietto con sfumature incredibili
- La premessa sulla chiusura di un collegio per ragazzi problematici è potente e socialmente rilevante
CONTRO
- Il film non riesce a farti entrare emotivamente nella storia mantenendoti sempre dall'altra parte del vetro
- I personaggi secondari incluso il ragazzo Shy rimangono sottosviluppati e poco più che simbolici
- Le scelte registiche esibizioniste con droni e sequenze elaborate distraggono invece di servire la narrazione




