Milano in autunno profuma di brodo, burro e zafferano. Cioè, almeno nella mia testa è così: entri in un locale e ti arriva quel sentore caldo che ti fa pensare subito al risotto giallo. In questa puntata di Foodish del 7 ottobre 2025 ho seguito la sfida al “miglior risotto allo zafferano di Milano”, con Joe Bastianich affiancato da Giorgio Mastrotta come ospite. Quattro cucine, quattro modi diversi di raccontare lo stesso piatto. E io, taccuino in mano, mi sono fatto un’idea precisa di com’è andata e di cosa aspettarsi se vorrete provarli davvero.
Come funziona la puntata
Il format è semplice: si va nei locali, si assaggia lo stesso piatto secondo la visione dello chef, si commenta e si vota. Stavolta si parla solo di risotto allo zafferano, ma le interpretazioni sono tutto fuorché monotone. C’è chi cerca la purezza della tradizione, chi azzarda la contaminazione, chi lavora sulle consistenze. I voti? Incrociati, ovviamente. E non sempre prevedibili.
Daria apre le danze con il risotto di La Bettolina (16 punti)
Si parte da “Daria”, che porta in gara il risotto di La Bettolina. La linea è chiara: fedeltà alla ricetta classica e una gremolada ben percepibile. Il piatto è “vicino alla tradizione”, come dicono in puntata, e a me questa cosa piace subito perché il risotto alla milanese vive di dettagli millimetrici: tostatura, brodo, mantecatura, pistilli o polvere, burro e formaggio dosati con intelligenza. Quando dici “gremolada”, per me è un richiamo dritto alla città: prezzemolo, aglio, scorza di limone, quella freschezza che pulisce e rilancia.
Il risultato convince i giudici: totale 16 punti. Non è una scelta che spacca il pubblico, ma è la comfort zone di chi ama il riso giallo “come si deve”, senza fronzoli. Io questo approccio lo capisco benissimo: il risotto che racconta la mano dello chef senza urlare, lo riconosci dal cucchiaio che scivola con la giusta onda e dall’aroma che arriva dritto al naso, pulito.
La Società fa volare lo zafferano con la spuma (7 + 7 = 14)
Secondo passaggio: La Società. Qui l’idea è giocare sulla spuma allo zafferano. Stesso ingrediente, due piani diversi: il risotto alla base e, sopra, un elemento aeroso che amplifica il profumo e cambia la percezione in bocca. È una mossa da cucina contemporanea: alleggerire, dare volume, rendere più dinamico ogni cucchiaio.
Sui voti, parità perfetta: 7 di Bastianich e 7 di Mastrotta, totale 14. Capisco il perché: la spuma è intrigante, porta il naso a cercare il giallo ancora prima del palato, però rischia di “allontanare” un po’ la masticabilità del Carnaroli, che è una delle gioie del risotto. Sta tutto nell’equilibrio: se la spuma accompagna, bene; se copre, no. Io sono team consistenza: mi piace sentire il chicco che tiene, con la cremosità che lo abbraccia senza soffocarlo. Qui l’idea è buona, il gesto è chiaro, il piatto rimane elegante. E quel 14 lo leggo come: interessante, ma non ancora memorabile.
L’Alchimia accende la scintilla Milano–Tokyo: anguilla, brace, affumicatura e teriyaki (17 punti)
Terzo locale in gara: L’Alchimia. E qui si alza il volume della creatività, senza buttare via la bussola. In puntata lo dicono subito: oltre allo zafferano mettono l’anguilla, cotta alla brace e poi affumicata, con una salsa teriyaki (scrivetela come volete: “teriyaki”, “teriaki”… il senso è quello). È un risotto “per questa volta”, una virata di puntata che non necessariamente è sempre in carta così, ma il messaggio è forte e limpido: la Milano del riso che incontra un Giappone di sapori scuri e laccati.
Joe sottolinea che il riso è ricco. E ha ragione: l’anguilla, con la sua parte grassa e succulenta, porta profondità. Poi aggiunge che la teriyaki è un po’ “easy” come lettura, pur essendo una bella idea. La sua perplessità è quando la salsa tende a mischiarsi troppo con il condimento del riso: il rischio è perdere definizione. Sono d’accordo: il confine tra “armonizzare” e “impastare” è sottile. Però – e qui parlo da goloso curioso – quando l’anguilla è grigliata bene e l’affumicatura è gentile, succede la magia: il giallo trova un’ombra balsamica che lo rende tridimensionale.
I voti parlano chiaro: 8 di Joe, 9 di Giorgio, totale 17. È il piatto che accende la discussione, che divide gli integralisti del “solo zafferano e brodo” dagli esploratori. Io, lo ammetto, qui mi sono divertito: il viaggio Milano–Tokyo funziona quando l’anguilla è trattata con mano leggera e la teriyaki rimane una pennellata, non un secchio.
Bistro Aimo e Nadia vince con la tradizione intelligente: zafferano sardo, carnaroli classico, brodo di gallina, mantecatura al midollo (10 + 9 = 19)
Il quarto locale è Bistro Aimo e Nadia, tra San Vittore e Conciliazione. Qui si respira tradizione, ma non intesa come “replica scolastica”: è quel modo di lavorare la ricetta che la rispetta e la lucidizza. In puntata si parla di zafferano sardo, riso Carnaroli classico e brodo di gallina. Il tocco che fa discutere è la mantecatura con burro al midollo: scelta milanesissima, che aggiunge spinta umami e una sensualità al cucchiaio che, se dosata bene, ti resta addosso.
Joe riconosce grande tecnica e ingredienti dosati al punto giusto. Giorgio si sbilancia e dà 10. Joe si ferma a 9. Totale 19 e vittoria netta. Io applaudo, perché questo è il tipo di “classico vivo” che adoro: non è l’inerzia del “si è sempre fatto così”, ma la consapevolezza di quanto vale ogni singolo gesto. La mantecatura, qui, non è semplice cremosità: è un modo per dare spina dorsale al riso, far sì che il chicco rimanga protagonista, vestito di giallo e di lucentezza, non affogato.
Piccola nota personale, fuori dal programma: io da Bistro Aimo e Nadia ho mangiato un risotto davvero buono. Preciso senza essere rigido, profumato ma non invadente. Detto ciò, confesso anche un mio “debole”: il risotto allo zafferano del Ratanà resta il mio preferito in città. Avrò i miei motivi (forse è quel modo in cui la cremosità si aggancia al chicco, forse è il profumo), ma qui parliamo della puntata, quindi torno in carreggiata.
La classifica finale e cosa racconta di Milano
Mettiamo in fila i numeri:
- Bistro Aimo e Nadia: 10 di Giorgio + 9 di Joe = 19
- L’Alchimia: 9 + 8 = 17
- Daria/La Bettolina: 16
- La Società: 7 + 7 = 14
Questa graduatoria, al netto delle preferenze personali, secondo me descrive bene le anime del risotto milanese oggi.
La vetta premia il classicismo intelligente: il riso giallo fatto “come si deve”, con attenzione maniacale alle micro-scelte (brodo, tostatura, zafferano, mantecatura) e quel colpo di reni del midollo a rendere il tutto più profondo. Subito dietro c’è il coraggio controllato: l’anguilla e la teriyaki di L’Alchimia non sono un vezzo, ma una chiave di lettura contemporanea, non sempre perfetta ma capace di lasciare il segno. Sul gradino tre, Daria/La Bettolina ci ricorda che la tradizione è un gesto di cura, non una gabbia. E La Società, con la spuma, propone una tecnica moderna che profuma il piatto e lo rende scenografico, anche se non a tutti farà battere il cuore.
Cosa cerco io in un risotto allo zafferano
Ve lo dico in prima persona, chiaro e tondo. Quando affronto un risotto giallo cerco quattro cose:
- Naso pulito e profondo: lo zafferano deve arrivare nitido, non coperto da burro o formaggio. Quando metti il cucchiaio vicino, deve già raccontarti la storia del piatto.
- Chicco vivo: al dente, non crudo. Che tenga la masticazione e rilasci amido giusto per fare onda, non colla.
- Mantecatura lucida: cremosa, all’italiana, con un filo di brillantezza. Niente paste da spalmare, niente brodi allungati che lasciano il riso slegato.
- Finale pulito: dopo tre-quattro cucchiai, non devi avere fatica a proseguire. Il risotto perfetto ti invita al “un altro cucchiaio e poi smetto”. E non smetti.
Alla luce di questo, capisco il successo di Bistro Aimo e Nadia nella puntata: c’è tutto quello che serve. Capisco anche il fascino dell’esperimento di L’Alchimia: quando l’anguilla è centrata, il risotto diventa un romanzo breve con colpo di scena. La Società mi incuriosisce sulla parte aromatica: la spuma ti prende per mano e ti porta sul profumo prima ancora del gusto. E Daria/La Bettolina è quel ritorno all’essenziale che, quando è fatto bene, è balsamo per i milanesi di pancia.
Se volete provarli: qualche dritta da maniaco del risotto
Niente liste infinite, solo poche cose che a me fanno la differenza:
- Prenotate e parlate: dite che vi interessa il risotto e chiedete se è previsto quel giorno. Sembra banale, ma il riso è vivo: tempi, brodi, turni di servizio contano.
- Chicco e brodo: non abbiate paura di chiedere quale riso usano e che brodo hanno scelto. Non è una prova d’esame: è curiosità intelligente, spesso lo staff è felice di raccontarlo.
- Quantità e ritmo: meglio un piatto giusto che una porzione esagerata lasciata a metà. E mangiatelo quando arriva: il risotto non aspetta, cambia al minuto.
- Abbinamento: bianco secco con spalla acida o, se amate la tradizione, anche una birra pulita può funzionare. L’importante è non coprire lo zafferano.
Conclusioni
Questa puntata di Foodish mi ha ricordato una verità semplice: il risotto allo zafferano è un linguaggio. C’è chi lo parla in dialetto stretto, chi lo ibrida con un’altra lingua, chi lo recita su un palco con giochi di texture. Bistro Aimo e Nadia vince perché fa suonare tutte le corde giuste insieme, senza stonature. L’Alchimia resta nella testa per quella nota di brace e affumicatura che dà carattere. Daria/La Bettolina fa pace con la tradizione e la rimette al centro. La Società prova a far volare il profumo con la spuma e, anche se non conquista tutti, ci ricorda che il riso giallo può ancora sorprendere.
Io? Sto già pensando al prossimo giro. Perché a Milano il risotto non è solo un piatto: è un rito. E ogni volta, se trovi la mano giusta, quel giallo ti sembra la prima volta.




