Attenzione: questo brano fa male. “Mio Padre” di Fabri Fibra, dodicesima traccia dell’album “Mentre Los Angeles Brucia” del 20 giugno 2025, rappresenta probabilmente la confessione più cruda e dolorosa mai registrata dal rapper marchigiano. Prodotto da Marz (ITA) e Zef, questo pezzo non è solo una canzone: è una seduta di terapia pubblica che mette a nudo ferite familiari mai rimarginate, traumi generazionali e la maledizione di perpetuare cicli di dolore.
Come evidenziato dai commenti dei fan (“Un pugno allo stomaco”, “Non era mai entrato così nel dettaglio nel rapporto con suo padre”), Fabri Fibra compie qui un atto di coraggio artistico senza precedenti nella sua carriera. Il brano si inserisce in una trilogia familiare che include “Ringrazio” (dedicato alla madre) e “Nessun Aiuto” (al fratello Nesli), ma qui la penna di Fabrizio Tarducci raggiunge livelli di sincerità brutale che vanno oltre il rap confessionale tradizionale.
Il grido primordiale dell’abbandono
“Fanculo papà, quel giorno è giunto, papà / Per colpa tua sono cresciuto insicuro, papà” – l’incipit è uno schiaffo emotivo immediato. Non c’è build-up, non c’è introduzione: Fabri va dritto al punto con una violenza verbale che è anche liberazione terapeutica. La ripetizione di “papà” diventa ossessiva, come se stesse chiamando qualcuno che non può più rispondere.
“E ora dovrei restare muto perché non sei più qua / Come una forma di rispetto e sentirmi in difetto” – questi versi sfidano il tabù sociale del rispetto post-mortem. Fabri rifiuta l’ipocrisia di dover tacere solo perché il padre è morto, rivendicando il diritto di dire la verità anche quando scomoda.
Il ritratto dell’assenza emotiva
“Eri terrorizzato dai soldi, non parlavi d’altro / Solo discorsi sulle bollette a cena e a pranzo / A dimostrare un po’ d’affetto ti costava tanto?” – questo passaggio dipinge il ritratto di una paternità disfunzionale focalizzata solo su problemi economici. L’incapacità di mostrare affetto viene descritta come uno sforzo (“ti costava tanto”), suggerendo che il padre fosse emotivamente povero quanto economicamente.
“Fanculo papà, che sparivi per giorni, è la solita storia / Mamma in casa da sola che tornavo da scuola” – l’assenza fisica si aggiunge a quella emotiva, creando un pattern di abbandono che ha segnato l’infanzia del rapper. L’immagine della madre sola in casa mentre lui torna da scuola è devastante nella sua semplicità.
La violenza domestica come normalità
“In casa c’era la guerra / Tu che poi lanciavi il tavolo, il piatto, la sedia / In famiglia era una merda, tu una mezza sega” – Fabri non usa metafore: descrive la violenza domestica con cruda precisione. La casa diventa campo di battaglia, dove oggetti volano e la famiglia si disintegra. La definizione del padre come “mezza sega” è spietata quanto necessaria.
“Penseranno: ‘Sono un pazzo’, cazzo me ne frega / Mai un giorno di tregua, almeno fino adesso” – qui emerge la consapevolezza dell’artista riguardo alle possibili reazioni del pubblico, ma il “cazzo me ne frega” ribadisce la priorità della verità rispetto al giudizio sociale.
Il ritornello dell’esorcismo
“Fanculo papà / Ti sogno morto senza alcuna pietà / E non lo vedi che qualcosa non va?” – il ritornello è un esorcismo verbale dove la morte desiderata (o accettata) del padre si mescola con la consapevolezza che qualcosa in lui, Fabri, si è rotto irreparabilmente. La ripetizione diventa mantra di liberazione.
Le conseguenze generazionali
“Dentro me so di essere fottuto / Sarà che non parlo con nessuno / Passo dentro periodi di buio / Colpa della infanzia che ho avuto” – la seconda strofa esplora le conseguenze psicologiche a lungo termine. L’isolamento sociale, la depressione, l’incapacità relazionale: tutto viene ricondotto al trauma familiare originario.
“Quando vedo una famiglia felice che sorride / Gli auguro le peggio sfighe” – questa confessione è devastante nella sua onestà: il dolore personale si trasforma in invidia distruttiva verso chi ha avuto quello che gli è stato negato.
I meccanismi di fuga distruttivi
“Per non pensare ai miei problemi mi son fatto mille fighe / Mi son fatto mille righe” – Fabri elenca senza pudore i suoi meccanismi di fuga: sesso compulsivo e droghe come anestetici per un dolore che non si placa. È hip-hop confessionale allo stato puro.
“Eppure continuo a sentirmi a un passo dalla fine / Sto delirando oppure no? Chi lo può dire” – l’ideazione suicidaria viene espressa con una lucidità che spaventa, mentre la domanda sulla propria sanità mentale rivela una autoanalisi spietata.
Il padre che non sorrideva mai
“Mio padre è morto, non l’ho mai visto sorridere” – questa frase racchiude un dolore immenso in poche parole. Non solo il padre è morto fisicamente, ma era già morto emotivamente da sempre. L’assenza del sorriso paterno diventa simbolo di un’incapacità totale di gioia condivisa.
“Fanculo, come se della sua vita non avesse avuto tutto” – qui Fabri esprime frustrazione verso un padre che, pur avendo potenzialmente tutto, non è riuscito a essere felice né a rendere felici i suoi figli.
Il loop temporale del trauma
“Eppure sono qui che ancora ne parlo / Come se fossi incastrato nel passato, un ostaggio” – la consapevolezza del loop traumatico è dolorosa: sa di essere prigioniero del passato, ma non riesce a liberarsene. Il termine “ostaggio” è perfetto per descrivere chi è tenuto prigioniero da eventi che non controlla.
“Che potevo diventare padre anch’io, c’hai pensato?” – questa domanda finale è terrificante: cosa sarebbe successo se Fabri fosse diventato padre? Avrebbe perpetuato il ciclo di dolore? È il riconoscimento che il trauma si trasmette di generazione in generazione se non viene elaborato.
Un atto di coraggio artistico
“Questa qui la dedico a mio padre, tempo sprecato” – la dedica finale è amara: anche questo brano, che dovrebbe essere liberatorio, viene percepito come ennesimo tempo sprecato a pensare a chi non lo meritava.
Dal punto di vista produttivo, Marz (ITA) e Zef hanno creato un accompagnamento sonoro che non distrae dal testo, permettendo alla voce di Fabri di portare tutto il peso emotivo del brano senza interferenze.
“Mio Padre” rappresenta un momento di verità assoluta nel rap italiano, dove Fabri Fibra dimostra che l’arte può essere strumento di elaborazione del dolore anche quando questo dolore non trova risoluzione. È un brano che parla a chiunque abbia vissuto traumi familiari, che si sia sentito “ostaggio del passato”, che abbia scoperto quanto sia difficile spezzare cicli generazionali di sofferenza.
E tu, hai mai sentito il peso di essere “ostaggio del passato” a causa di relazioni familiari tossiche? Credi che parlarne pubblicamente, come fa Fabri, possa essere davvero liberatorio? Condividi nei commenti (con rispetto per chi ha vissuto situazioni simili) se anche tu hai mai dovuto fare i conti con l’eredità di un genitore che “non ha mai sorriso” – siamo curiosi di sapere come si affronta il peso delle ferite familiari.
Il testo di Mio Padre di Fabri Fibra
[Strofa 1]
Fanculo papà, quel giorno è giunto, papà
Per colpa tua sono cresciuto insicuro, papà
E ora dovrei restare muto perché non sei più qua
Come una forma di rispetto e sentirmi in difetto
Fanculo papà, insomma, che cazzo
Eri terrorizzato dai soldi, non parlavi d’altro
Solo discorsi sulle bollette a cena e a pranzo
A dimostrare un po’ d’affetto ti costava tanto?
Fanculo papà, che sparivi per giorni, è la solita storia
Mamma in casa da sola che tornavo da scuola
In casa c’era la guerra
Tu che poi lanciavi il tavolo, il piatto, la sedia
In famiglia era una merda, tu una mezza sega
Penseranno: “Sono un pazzo”, cazzo me ne frega
Mai un giorno di tregua, almeno fino adesso
Stringo in mano la penna, è uscito questo pezzo
[Ritornello]
Fanculo papà
(Fanculo papà, te lo ripeto, vaffanculo papà)
Ti sogno morto senza alcuna pietà
(Senza alcuna pietà, ti sogno morto senza alcuna pietà)
E non lo vedi che qualcosa non va?
(E non lo vedi che qualcosa non va? Non lo vedi che qualcosa non va?)
Fanculo papà
(Sono fottuto papà)
Ah
(Fanculo papà)
[Strofa 2]
Dentro me so di essere fottuto
Sarà che non parlo con nessuno
Passo dentro periodi di buio
Colpa della infanzia che ho avuto
Quando vedo una famiglia felice che sorride (Che sorride)
Gli auguro le peggio sfighe
Per non pensare ai miei problemi mi son fatto mille fighe
Mi son fatto mille righe
Eppure continuo a sentirmi a un passo dalla fine (Dalla fine)
Sto delirando oppure no? Chi lo può dire
Mio padre è morto, non l’ho mai visto sorridere
Fanculo, come se della sua vita non avesse avuto tutto
Eppure sono qui che ancora ne parlo
Come se fossi incastrato nel passato, un ostaggio
Che potevo diventare padre anch’io, c’hai pensato?
Questa qui la dedico a mio padre, tempo sprecato
[Ritornello]
Fanculo papà
(Fanculo papà, te lo ripeto, vaffanculo papà)
Ti sogno morto senza alcuna pietà
(Senza alcuna pietà, ti sogno morto senza alcuna pietà)
E non lo vedi che qualcosa non va?
(E non lo vedi che qualcosa non va? Non lo vedi che qualcosa non va?)
Fanculo papà
(Sono fottuto papà)
(Fanculo papà)