Ti dico subito una cosa: guardare Monster: La storia di Ed Gein non è stata un’esperienza semplice. Questa terza stagione della serie antologica di Ryan Murphy e Ian Brennan, arrivata su Netflix il 3 ottobre, è probabilmente la più disturbante del ciclo. E lo dico da appassionato di true crime che pensava di aver visto tutto dopo Dahmer e la storia dei fratelli Menendez.
Con Charlie Hunnam nei panni del famigerato “macellaio di Plainfield”, la serie prova ad andare oltre i titoli sensazionalistici per offrirti un ritratto psicologico di come un uomo sia diventato un mostro. La domanda che ti lascia addosso è scomoda: i mostri nascono o vengono creati?
L’uomo dietro l’incubo: chi era davvero Ed Gein
Se non conosci la storia di Ed Gein, sappi che sei di fronte a uno dei serial killer più influenti della cultura popolare americana. Questo contadino del Wisconsin degli anni ’50, all’apparenza mite e cordiale, nascondeva nella sua fattoria fatiscente una casa degli orrori che ha ridefinito completamente il concetto di terrore.
Omicida, profanatore di tombe, necrofilo: Gein ha fatto cose talmente raccapriccianti che quando la polizia entrò nella sua casa nel 1957, alcuni agenti vomitarono sulla scena del crimine. Ma la cosa più inquietante? La sua storia ha ispirato alcuni dei personaggi più iconici dell’horror: Norman Bates di Psycho, Leatherface di Non aprite quella porta, perfino Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti.
La serie non si limita a raccontarti i crimini. Va più a fondo, scavando nell’infanzia di Eddie, nell’isolamento totale in cui è cresciuto, e soprattutto nel rapporto soffocante con la madre Augusta, interpretata magistralmente da Laurie Metcalf.
Charlie Hunnam: una trasformazione che disturba
Parliamoci chiaro: Charlie Hunnam in questa serie scompare completamente. Quello che vedi sullo schermo non è più l’attore britannico di Sons of Anarchy, ma un uomo fragile, disturbato, profondamente inquietante. Hunnam ha raccontato che dopo le riprese è andato alla tomba di Ed Gein per dirgli addio, perché interpretare questo personaggio gli aveva richiesto di andare in luoghi mentali davvero oscuri.
E si vede, credimi. La sua performance cattura sia la fragilità di Eddie che la sua natura minacciosa, con un realismo che disturba profondamente. Non è facile rendere credibile un personaggio così complesso senza cadere nella caricatura, ma Hunnam ci riesce perfettamente. È probabilmente la migliore interpretazione della sua carriera, un lavoro che ti fa dimenticare completamente l’attore per lasciarti faccia a faccia con il mostro.
Accanto a lui, Laurie Metcalf è una Augusta Gein opprimente e religiosa fino al fanatismo. Il rapporto madre-figlio che ci viene mostrato è tanto centrale quanto devastante: capisci che Eddie non è nato mostro, è stato modellato da una madre dominatrice che lo ha cresciuto nell’isolamento più totale, riempiendogli la testa di paure e ossessioni morbose.
L’atmosfera: il Wisconsin diventa protagonista
Devo ammettere che la produzione ha fatto un lavoro straordinario. La fattoria di Gein diventa quasi un personaggio a sé stante: quella casa fatiscente, con i suoi segreti nascosti tra le pareti, ti entra sotto la pelle. La ricostruzione del Wisconsin rurale degli anni ’50 è convincente, dalla nebbia che avvolge i campi ghiacciati ai dettagli della vita di provincia.
Il ritmo della serie è lento e deliberato, costruisce la tensione senza affidarsi solo allo shock. Ryan Murphy, che spesso viene accusato di essere troppo sensazionalistico, qui mostra una certa moderazione… anche se non sempre. Ma arriviamo a questo tra poco.
Quando la serie funziona: riflessione culturale
Una delle cose più interessanti di questa stagione è il meta-commento sulla cultura dell’horror. La serie non si limita a raccontare Ed Gein, ma riflette su come i suoi crimini siano penetrati nell’immaginario collettivo, plasmando decenni di storytelling horror. C’è persino Tom Hollander nei panni di Alfred Hitchcock, a rappresentare quel ponte tra crimini reali e finzione cinematografica.
Questo livello di riflessione culturale aggiunge profondità: non stai solo guardando l’ennesima storia di un serial killer, ma stai vedendo come la società mitizza il male, come lo trasforma in intrattenimento. È un’auto-critica coraggiosa, considerando che la serie stessa fa parte di questo meccanismo.
I problemi: equilibrio difficile tra orrore e sensibilità
Ed eccoci al punto dolente. Alcune sequenze sono graficamente intense al limite del tollerabile. Murphy fatica a resistere alla tentazione del sensazionalismo, e ci sono momenti in cui la serie sembra compiacersi dell’orrore che mostra. È un equilibrio difficilissimo da trovare quando racconti crimini reali, e non sempre la serie ci riesce.
Il problema più grave? Le vittime rimangono sullo sfondo. Conosciamo Gein in ogni dettaglio, entriamo nella sua mente disturbata, vediamo la sua sofferenza… ma delle sue vittime sappiamo poco o nulla. Questo squilibrio diminuisce la gravità delle loro sofferenze, rischiando di rendere Gein più interessante delle persone che ha ucciso. È un difetto che la serie condivide con molti prodotti true crime, ma che qui si sente particolarmente.
Il ritmo: quando il lento diventa troppo lento
Gli episodi centrali tendono a stiracchiare la tensione più del necessario. C’è la sensazione che la serie avrebbe potuto raccontare la stessa storia in meno tempo, mantenendo lo stesso impatto emotivo ma con maggiore efficacia narrativa. Alcuni momenti sembrano inseriti più per riempire che per aggiungere valore alla storia.
Il verdetto: disturbante ma necessario?
Monster: La storia di Ed Gein è senza dubbio l’entry più inquietante dell’antologia Netflix. È una serie che ti costringe a fare i conti con domande scomode: cosa crea un mostro? Come influiscono trauma e isolamento sul comportamento umano? E soprattutto, perché la società è così ossessionata dal male?
Hunnam regala una performance che definisce la sua carriera, la produzione è impeccabile, e quando la serie funziona è davvero potente. Ma paga lo scotto di un equilibrio precario tra orrore e sensibilità, con vittime che rimangono troppo in ombra e momenti di eccessivo compiacimento grafico.
Se sei appassionato di true crime e horror psicologico, è una visione coinvolgente seppur disturbante. Ma preparati: questa non è una serie che dimentichi facilmente, nel bene e nel male.
La Recensione
Monster: La storia di Ed Gein
Monster: La storia di Ed Gein è la terza stagione della serie antologica di Ryan Murphy su Netflix, incentrata sul famigerato serial killer del Wisconsin che ispirò icone dell'horror come Psycho e Il silenzio degli innocenti. Charlie Hunnam offre una performance straordinaria che cattura fragilità e minaccia del personaggio, mentre la serie esplora l'isolamento e il rapporto morboso con la madre dominatrice interpretata da Laurie Metcalf. Nonostante la produzione impeccabile e la riflessione culturale sull'ossessione per il true crime, la serie soffre di sequenze eccessivamente grafiche, vittime relegate sullo sfondo e un ritmo che a tratti si trascina. Spesso classici problemi di queste produzioni.
PRO
- Charlie Hunnam offre la performance migliore della sua carriera con una trasformazione inquietante e credibile
- La produzione ricrea magnificamente il Wisconsin degli anni '50 con atmosfere opprimenti e dettagli curati
- La serie offre una riflessione intelligente su come la società mitizza il male trasformandolo in intrattenimento
- L'esplorazione psicologica del rapporto madre-figlio e dell'isolamento aggiunge profondità oltre il sensazionalismo
CONTRO
- Alcune sequenze sono graficamente intense al limite del tollerabile rischiando il sensazionalismo
- Le vittime rimangono troppo sullo sfondo diminuendo la gravità delle loro sofferenze reali
- Il ritmo negli episodi centrali si trascina allungando inutilmente la tensione




