Quando ho letto la notizia, non volevo crederci. Gene Hackman, il grandissimo attore che per anni ci ha regalato interpretazioni memorabili, e sua moglie, la pianista Betsy Arakawa, sono stati trovati morti nella loro abitazione vicino Santa Fe, in New Mexico. Pensavo fosse l’ennesima bufala circolata sui social. Ma poi ho visto i siti autorevoli confermare il tutto, e mi sono reso conto che non c’era niente di falso.
È una storia che fa venire i brividi, perché parliamo di uno dei volti più iconici della Hollywood degli anni ’70 e ’80. Hackman, 95 anni, era in pensione da un po’, e viveva con la moglie in questa comunità residenziale chiamata Santa Fe Summit. All’arrivo delle autorità, sono stati trovati morti sia lui che Betsy, 63 anni, e pure uno dei loro cani. Come se non bastasse, questa tragedia è avvolta in un velo di mistero, anche se, al momento, lo sceriffo della contea Adan Mendoza ha detto che non sembrano esserci segni di omicidio.
Vieni, facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire che cosa è successo, raccontandoci la storia in modo semplice, come se parlassimo tra amici.
L’improvvisa scoperta in una casa tranquilla
È mercoledì pomeriggio, e una pattuglia dello sceriffo riceve la chiamata di un vicino preoccupato: nessuno rispondeva al telefono, la coppia non si faceva vedere, c’era un silenzio sospetto. Intorno alle 13.45, arrivano sul posto per un “welfare check,” cioè un controllo di sicurezza su persone anziane. Entrano nella proprietà, e lì trovano un quadro inquietante.
Gene Hackman e Betsy Arakawa giacevano senza vita. Uno dei cani era morto anche lui, mentre altri due invece erano vivi. Sembrava una scena strana, perché non c’erano segni evidenti di violenza. Lo sceriffo Mendoza, parlando con la stampa locale, ha usato parole pacate: “Non c’è alcuna minaccia immediata alla comunità,” ha detto. Però, per il protocollo, rimane aperta un’indagine.
Perché si sospetta qualcosa?
Non è stato trovato alcun indizio di effrazione o di colluttazione, niente di eclatante. Ma quando muoiono due persone insieme nello stesso luogo, la polizia, per prassi, apre un fascicolo per capire se c’entra un avvelenamento o un suicidio-omicidio. Anche se, in questo caso, mancano finora prove di un gesto estremo o di un’aggressione. Bisogna aspettare i risultati dell’autopsia.
Nel frattempo, la morte è stata giudicata “sospetta a sufficienza” da giustificare un mandato di perquisizione. Gli inquirenti aspettano di poter entrare in casa con il pieno via libera legale e verificare ogni dettaglio.
Una vita straordinaria: dall’esercito alla star di Hollywood
Adesso, forse ci conviene ricordare perché Gene Hackman era tanto amato. Un volto che, se sei un appassionato di cinema, non puoi non conoscere. Famoso per film come “The French Connection”, “The Conversation”, “Superman” (nel ruolo di Lex Luthor!) e “Un tranquillo weekend di paura”—ah no, scusa, lì c’era Burt Reynolds, ma Hackman in quegli anni stava girando thriller e pellicole di grande spessore, tra cui “Mississippi Burning” e “Quella sporca dozzina” (ancora un cameo, un ruolo secondario, ma si faceva notare).
In realtà, la sua carriera si è impennata tardi. Gene era nato nel 1930, aveva fatto il marine da ragazzino, e solo dopo i trent’anni si è buttato seriamente nella recitazione. Il suo primo ruolo di spicco è stato in “Bonnie and Clyde” (1967) con Warren Beatty, dove interpretava Buck Barrow. Da lì, si è guadagnato la sua prima nomination all’Oscar. Poi, con “Il braccio violento della legge” (The French Connection, 1971) ha letteralmente spaccato: interpretava l’irascibile poliziotto Jimmy “Popeye” Doyle, e con quello ha vinto il suo primo Oscar come miglior attore.
Il successo negli anni ’70 e ’80
Dopo quella statuetta, il suo nome è diventato sinonimo di “attore potente, capace di ruoli intensi”. Ha fatto scelte coraggiose: in “La conversazione” (1974) di Francis Ford Coppola è un paranoico esperto di sorveglianza, un personaggio cupo e malinconico. Poi lo troviamo nei panni di Lex Luthor in “Superman” del 1978, dimostrando che sapeva anche fare ruoli leggeri e ironici, con quell’aria da malvagio un po’ svampito.
Negli anni ’80 continua a lavorare a un ritmo incredibile: interpreta lo stesso Lex Luthor nei sequel di “Superman,” compare in “Hoosiers” (1986) e “Mississippi Burning” (1988), dove prende un’altra nomination all’Oscar. Sembra che non si fermi mai.
Ma la vera forza di Hackman è stata la capacità di mescolare commedia e dramma, anti-eroi e ruoli di personaggi bonari. Tipo in “Young Frankenstein” di Mel Brooks, dove fa un cameo esilarante. Certo, le cose piccole ma luminose che spuntano nella carriera di un grande attore.
L’incontro con Betsy e la seconda vita da scrittore
Però c’è un altro aspetto di Gene Hackman: si è ritirato dal cinema nel 2004, dopo il film “Benvenuti a Mooseport.” Poi, con un colpo di scena degno di una sceneggiatura, si è dato alla scrittura di romanzi storici. Magari lo avrai visto firmare copie del suo romanzo insieme al suo amico Daniel Lenihan. A detta di molti, non era un semplice hobby per ammazzare la noia, bensì un vero talento.
E in tutto questo, la presenza di Betsy Arakawa: musicista classica, pianista di formazione. Betsy l’ha conosciuta in una palestra dove lavorava. Sembra la trama di una commedia romantica: lei, una donna più giovane di trent’anni, lui, un attore già famoso. Si sposano nel 1991 e vanno a vivere a Santa Fe. Di lei non si sa molto, perché è sempre stata molto discreta. Una volta Hackman l’ha definita “un’ottima consigliera di scrittura,” in quanto Betsy leggeva i suoi manoscritti e offriva suggerimenti mirati.
Si erano visti poco in giro negli ultimi anni, ma alcune foto li mostravano sorridenti, con Hackman ancora in buona forma nonostante l’età avanzata. Ecco perché la notizia del loro decesso è stata un fulmine a ciel sereno.
Il giorno del tragico ritrovamento
Le forze dell’ordine, come abbiamo detto, sono entrate nella casa e hanno trovato i corpi. Per ore non hanno voluto divulgare l’identità, e la notizia si è diffusa solo successivamente, quando lo sceriffo Mendoza ha detto che gli “anziani deceduti” erano proprio Hackman e Arakawa.
Certo, il fatto che fosse un uomo sui novant’anni e una donna sessantenne metteva già la pulce nell’orecchio: in quella zona di Santa Fe, Hackman era il nome più celebre con quel profilo. Inizialmente si parlava di “due persone e un cane morti,” mentre altri due cagnolini erano salvi.
Il mondo del cinema ha reagito con shock. Francis Ford Coppola ha postato su Instagram una foto di lui e Hackman sul set de “La conversazione,” parlando di una perdita immensa. Ha definito Gene “un artista grandioso, ispiratore e magnanimo nel suo lavoro e nella sua complessità.” Edgar Wright e George Takei hanno pure reso omaggio, definendolo “il più grande” e “uno dei giganti dello schermo.”
Foul play o cause naturali?
Al momento, i dettagli su come siano morti non sono ancora chiari. Le forze dell’ordine non hanno scartato alcuna ipotesi, ma in un comunicato hanno sottolineato che “non crediamo ci siano state azioni criminali.” Eppure, come sempre avviene in casi con vittime multiple, si attende l’esito delle analisi mediche per capire se c’erano avvelenamenti, fughe di gas, o qualsiasi altra cosa. Potrebbe anche trattarsi di un tragico caso di malore di entrambi, uno dopo l’altro, magari in una stessa notte.
Gene Hackman: l’uomo dietro la leggenda
C’è un aspetto che mi ha sempre colpito di Gene Hackman: la sua umiltà. Nonostante abbia vinto due Oscar (uno per “Il braccio violento della legge,” e un altro come attore non protagonista in “Gli spietati” di Clint Eastwood nel 1992), non si definiva mai una star. Anzi, in un’intervista disse di sentirsi “un operaio del cinema.”
Nato nell’Illinois, entrò nel corpo dei Marines da ragazzino. Dopo una serie di lavoretti, si convinse che la recitazione potesse essere un’opportunità. Studiare al Pasadena Playhouse con Dustin Hoffman, e venire definito “il meno probabile al successo,” doveva essere uno stimolo notevole. Poi la ribalta arrivò piano piano: partecipazioni televisive, piccole parti al cinema, finché Warren Beatty non lo volle in “Lilith” (1964). Tre anni dopo, “Bonnie e Clyde” gli regalò la fama globale.
La Hollywood degli anti-eroi
Soprattutto negli anni ’70, Hackman ha incarnato l’anti-eroe tipico di quel periodo post-Western e post-Hays Code: poliziotti corrotti, detective ossessionati, individui ordinari in situazioni straordinarie. Se ci pensi, “Night Moves” (1975) è un noir dove lui interpreta un investigatore privato tormentato, e “La conversazione” lo vede come un uomo che fa intercettazioni telefoniche e sprofonda in una spirale di paranoia.
In quell’epoca, i grandi registi come William Friedkin, Francis Coppola, Arthur Penn cercavano volti che potessero regalare verità e intensità sullo schermo. Hackman era perfetto: non aveva il fascino patinato di un divo, piuttosto un viso rugoso da “uomo qualunque,” in grado però di bucare lo schermo con la sua interpretazione.
Nel frattempo, sapeva anche essere ironico: Lex Luthor in “Superman” (1978) era un villain giocoso, con quel finto umorismo da cartone animato, eppure lo interpretava con serietà, rendendolo credibile.
Il ritiro e la vita privata
Nel 2004, dopo “Benvenuti a Mooseport,” Hackman dice basta, complice un allarme medico: il cuore non regge più le fatiche dei set. Preferisce dedicarsi alla scrittura e alla tranquillità di Santa Fe. Ogni tanto, nel corso degli anni, spuntava qualche intervista dove diceva di sentirsi felice così, senza grandi rimpianti.
“Voglio fare in modo che mia moglie e la mia famiglia stiano bene,” dichiarò a un certo punto. Era la sua priorità. Il matrimonio con Betsy, di quasi 30 anni più giovane, è durato oltre tre decenni, e sembrava funzionare a meraviglia. Lei, una pianista, spesso gli dava consigli preziosi sui romanzi che lui scriveva. Negli ultimi anni, rari scatti li mostravano sorridenti, anche in piccoli bar a Santa Fe.
Le ultime testimonianze di Hackman
Tra le tante dichiarazioni interessanti, mi colpisce quando disse: “Se dovessi descrivere la mia vita, direi ‘Ci ha provato’.” Una frase che mostra come, nonostante la fama e i riconoscimenti, si considerasse sempre un artigiano dell’arte, uno che lavora duro per raggiungere un buon risultato, senza considerarsi un mito.
E a 95 anni, poteva anche starci che se ne andasse in modo naturale, magari di vecchiaia o per qualche complicazione. Ma la coincidenza di morire nello stesso momento della moglie (e pure di uno dei cani) insinua quei sospetti che la polizia vuole chiarire.
L’eredità di un gigante del cinema
Al di là del mistero che avvolge la morte, resta la monumentale filmografia di Gene Hackman. Dalle pellicole più celebri, come “Il braccio violento della legge,” alle piccole gemme come “Scarecrow” (1973) o “Night Moves” (1975). E poi i ruoli tardivi, come il geniale Royal Tenenbaum ne “I Tenenbaum,” che ancora una volta dimostrano la sua versatilità.
Abbiamo perso un attore che, in 40 anni di carriera, ha incarnato decine di personaggi sfaccettati e credibili. E con lui abbiamo perso anche Betsy Arakawa, donna lontana dai riflettori ma importante nella vita e nelle opere di Hackman.
Una comunità scossa
A Santa Fe, la notizia ha colpito profondamente gli abitanti. Hackman non era solo una star, ma un vicino di casa, un signore garbato che ormai faceva parte del tessuto locale. Frequentava negozi e ristoranti in modo discreto. Non voleva clamore, non voleva paparazzi. E la gente lì lo rispettava, anche perché portava prestigio e cultura.
Ora ci si chiede: come e perché è finita così? Le autorità chiariranno i dettagli, certo. Ma forse i fan più romantici immaginano che i due se ne siano andati insieme, in un ultimo gesto di unione, magari dopo una cena tranquilla. È un’ipotesi che solo i prossimi risultati dell’inchiesta potranno confermare o smentire.
In ogni caso, Gene Hackman ci lascia una lezione: si può arrivare tardi alla fama e rimanere umili, si può cambiare strada a 70 anni e scrivere libri, si può amare in modo silenzioso e duraturo.
Se vuoi dire la tua su questa notizia sorprendente o condividere un ricordo di un film di Hackman che ti ha colpito più di altri, lascia un commento qui sotto. Sarebbe bello discutere e ricordare insieme i momenti migliori di un gigante del cinema e della sua compagna di vita.