Quando un film cerca di affrontare le sfide morali e le tensioni di un’epoca storica drammatica come la Seconda Guerra Mondiale, c’è sempre il rischio di semplificare. Numero 24, diretto dal norvegese John Andreas Andersen, sceglie invece di addentrarsi nel complesso mondo della resistenza norvegese attraverso gli occhi del celebre combattente Gunnar Sønsteby. Netflix ci regala un dramma storico potente e riflessivo che, nonostante qualche sbavatura, lascia un’impronta indelebile.
Un eroe taciturno e il peso della memoria
La storia prende avvio in un’aula scolastica: un anziano Sønsteby (interpretato con grande sensibilità da Erik Hivju) si prepara a parlare a un gruppo di studenti. La scena d’apertura, con Sønsteby che morde nervosamente un bastoncino prima di salire sul palco, mette subito in chiaro il tono del film: le sue memorie sono un fardello pesante.
Attraverso un abile uso del flashback, veniamo catapultati nel 1937, quando un giovane Sønsteby (interpretato da Sjur Vatne Brean) inizia a formare la sua visione del mondo. Durante un’escursione con l’amico Erling Solheim (Jakob Maanum Trulsen), il futuro eroe della resistenza osserva con preoccupazione i primi segnali del regime nazista. Questa divisione ideologica tra Sønsteby e Solheim si rivelerà cruciale, gettando un’ombra su ogni scelta successiva del protagonista.
Azione e tensione: l’arte della resistenza
Il film si concentra sulle operazioni di spionaggio di Sønsteby, un uomo che diventa una figura quasi mitica grazie alla sua abilità di muoversi nell’ombra, con passaporti falsi, identità multiple e nascondigli segreti. Andersen, noto per blockbuster come The Burning Sea, utilizza tutta la sua esperienza per creare scene di tensione palpabile.
Le missioni della resistenza, come il piazzamento di esplosivi in fabbriche di armi, sono coreografate con una precisione quasi chirurgica. Il montaggio serrato trasmette la sensazione che ogni errore potrebbe costare caro. Tuttavia, la regia evita il glamour dell’azione hollywoodiana, mantenendo un tono realistico e sobrio.
E qui emerge il vero fascino di Sønsteby: non è un eroe classico, carismatico e larger-than-life. È invece un uomo normale, quasi banale, la cui determinazione e semplicità lo rendono straordinario.
L’eredità della resistenza: una domanda scomoda
Uno degli aspetti più interessanti di Numero 24 è come affronta le implicazioni morali delle azioni di Sønsteby. Non si limita a glorificare le sue imprese, ma solleva domande difficili: era davvero necessario uccidere per liberare la Norvegia? Durante una scena cruciale, una studentessa chiede a Sønsteby se i suoi metodi fossero giustificati. La sua risposta, “Gandhi non ha mai affrontato i nazisti”, è diretta ma non definitiva.
Questa riflessione trova eco anche nella nostra storia italiana. Durante la liberazione dal fascismo, molti partigiani italiani si trovarono di fronte a dilemmi simili, e alcune esecuzioni di innocenti ancora oggi dividono le opinioni. È una linea sottile quella che separa l’eroismo dalla brutalità, e Numero 24 non ha paura di camminarci sopra.
Un cast all’altezza del dramma
Il cuore del film risiede nelle interpretazioni del cast. Erik Hivju, nei panni del Sønsteby anziano, offre una performance piena di gravitas, comunicando il peso dei suoi ricordi con un semplice sguardo o un movimento. Sjur Vatne Brean, invece, riesce a rendere la giovinezza del protagonista credibile, mostrando un uomo che si trasforma da semplice cittadino in un’icona della resistenza.
Anche i personaggi secondari brillano. Jakob Maanum Trulsen nei panni di Solheim aggiunge una complessità morale al film, rappresentando il lato più ambiguo del conflitto. È un peccato, però, che alcuni personaggi femminili rimangano un po’ sullo sfondo, privati dello sviluppo necessario per bilanciare il cast maschile.
Le contraddizioni di un eroe
Uno dei meriti di Andersen è di non trasformare Sønsteby in un personaggio privo di difetti. Sebbene la narrazione tenda verso il patriottismo, ci sono momenti in cui il film si ferma a riflettere sulle conseguenze delle sue azioni. Il protagonista non è un uomo che cerca gloria personale; è un combattente che sacrifica tutto, persino le relazioni personali, per un ideale. Questo lo rende un personaggio affascinante, ma anche alienante.
Tuttavia, il film evita di scavare troppo a fondo nei lati oscuri della resistenza, preferendo una narrazione più convenzionale. È un’occasione mancata per esplorare ulteriormente le contraddizioni di Sønsteby e il suo mondo.
Musica e atmosfere: quando il passato incontra il presente
Un elemento che divide è l’uso della musica. Una scena particolarmente emozionante utilizza Exit Music (For a Film) dei Radiohead. La scelta, per quanto efficace sul piano emotivo, risulta straniante in un contesto così radicato nel periodo storico. È un dettaglio che potrebbe far storcere il naso ai puristi, ma che aggiunge un tocco contemporaneo al dramma.
Visivamente, il film è un capolavoro. La fotografia cattura le fredde montagne norvegesi con una bellezza che contrasta con l’orrore della guerra. Le inquadrature strette sui volti dei personaggi amplificano il dramma umano, mentre i paesaggi vasti sottolineano l’isolamento e la disperazione.
Un film che lascia un segno
Numero 24 non è solo un film sulla resistenza; è una meditazione sul costo della libertà e sulle zone grigie della moralità in tempi di guerra. Nonostante qualche cliché e un certo patriottismo di fondo, riesce a coinvolgere lo spettatore grazie a una regia solida, interpretazioni convincenti e una narrazione che pone domande scomode.
È un film che ci ricorda come anche gli eroi più celebrati abbiano dovuto affrontare compromessi difficili. Ma soprattutto, ci invita a riflettere su cosa siamo disposti a sacrificare per i nostri ideali.
E voi, cosa ne pensate? Credete che le azioni di Sønsteby fossero giustificate o che avrebbero potuto seguire una strada diversa? Raccontateci le vostre opinioni nei commenti.
La Recensione
Numero 24
Un racconto intenso sulla resistenza norvegese, Numero 24 esplora coraggio, sacrifici e dilemmi morali, ma evita approfondimenti sulle zone d’ombra della storia.
PRO
- Racconto storico avvincente con sequenze di spionaggio ben costruite.
- Interpretazione magnetica di Sjur Vatne Brean nei panni di Gunnar Sønsteby.
- Esplorazione morale sul prezzo della libertà e della resistenza.
CONTRO
- Approccio troppo patriottico che evita di interrogarsi a fondo su alcuni dilemmi.