Ciao amico, oggi ti parlo di un film che mi ha fatto riflettere – sì, anche se, tra noi, un po’ mi ha annoiato, nonostante sia assolutamente affascinante.
Sto parlando di Parthenope, l’ultima fatica cinematografica di Paolo Sorrentino, un’opera che si presenta come una meditazione profonda su giovinezza, bellezza e libertà, con quel tocco inconfondibile di poesia visiva che solo Sorrentino sa regalare.
Il fascino mitologico e visivo di Parthenope
Parthenope si apre con una scena davvero bombastica: la giovane protagonista, 18 anni, emerge dalle acque al largo della costa di Napoli, tutta bagnata, fumando una sigaretta, e lasciando un suo ignaro corteggiatore letteralmente incantato. E ti dico: è una scena che ti resta impressa, tipo un quadro vivente, in cui il mito greco incontra la modernità. Il nome, che richiama una sirena e l’antico nome della città partenopea, è il primo indizio di una narrazione intrisa di simbolismi e di un’estetica curata in ogni dettaglio.
Celeste Dalla Porta, nella sua prima esperienza cinematografica, interpreta Parthenope con una delicatezza e una forza che ti fanno pensare subito che questa non è una semplice bellezza: è una donna intellettuale e misteriosa, consapevole del potere che esercita, ma allo stesso tempo ignara di come usarlo per scopi più elevati. E qui, caro amico, Sorrentino ci porta in un mondo dove ogni immagine è un poema visivo, in cui la luce dorata di un’estate senza fine si fonde con la profondità dei sentimenti più nascosti.
Una narrazione piena di contrasti e paradossi
Il film si dipana in una successione di episodi e incontri che sembrano volerci trasportare in un viaggio onirico.
La prima cosa che ti colpisce è come Sorrentino, con la sua regia, trasformi ogni scena in un quadro quasi surreale: da un lato, abbiamo la bellezza disarmante di Parthenope, dall’altro la riflessione filosofica sul passare del tempo, sulla giovinezza che sfugge e sull’anelito alla libertà.
Ti ricordi quella battuta – “Beauty is like war: it opens doors” – detta dal personaggio di John Cheever, interpretato da Gary Oldman? Quella frase ti rimane in testa, perché racchiude in poche parole il paradosso centrale del film: la bellezza, sebbene capace di aprire porte verso l’infinito, diventa anche un’arma a doppio taglio, che a volte conduce a tragedie e sofferenze. Cheever, con il suo passato tormentato e il suo senso di colpa per una vita repressa, rappresenta uno dei pochi uomini che riesce a guardare Parthenope senza cadere preda del desiderio, ma con un rispetto quasi reverenziale.
E poi c’è il quasi triangolo amoroso – insomma, più un intricato intreccio sentimentale – con Raimondo (interpretato da Daniele Rienzo) e Sandrino (Dario Atia). Sì, c’è pure un pizzico di controversia con il rapporto quasi incestuoso tra Parthenope e suo fratello Raimondo, un tema che, seppur toccato in maniera non troppo approfondita, aggiunge un ulteriore strato di ambiguità e contraddizione alla vicenda.
La regia, la fotografia e il linguaggio cinematografico
Parliamo ora della regia: Sorrentino, che con film come La grande bellezza o serie come The Young Pope e The New Pope aveva già conquistato il nostro sguardo, si spinge in territori nuovi, con un occhio nostalgico rivolto a Napoli – la città dei contrasti, delle passioni e dei misteri. Qui, Sorrentino, in collaborazione con Yves Saint Laurent, realizza un vero e proprio festino per gli occhi. Le immagini, curate dalla maestra della fotografia Daria D’Antonio, sono un trionfo di colori e luci, che si alternano tra inquadrature ampie e dettagli ravvicinati, donando al film un ritmo visivo ipnotico.
Le scene sono come pennellate su una tela, a volte lente e contemplative, altre volte improvvise e quasi frenetiche. Questo mix, a tratti, ti fa venire voglia di rallentare, di apprezzare ogni dettaglio, ma – ti dirò – in alcuni momenti la narrazione si perde in un’eccessiva autoindulgenza visiva che può risultare un tantino noiosa. Insomma, il film ti affascina, ma in alcune parti ti ritrovi a guardare lo schermo con un occhio in fissa, chiedendoti: “Ma dove sta andando a parare tutto questo?”
Tematiche esistenziali e metafore di libertà
Uno degli aspetti più interessanti di Parthenope è la sua capacità di spaziare su temi esistenziali: la ricerca dell’identità, la difficoltà di abbracciare il cambiamento e, soprattutto, il confronto con la propria mortalità emotiva.
La protagonista attraversa diverse fasi della vita, sperimentando l’amore, il dolore, il successo e il fallimento, fino a giungere, quasi per caso, al mondo accademico, dove un professore di antropologia – interpretato con grande intensità da Silvio Orlando – la spinge a indagare “le frontiere culturali del miracoloso”. Una frase che, tra noi, è tanto poetica quanto ambigua, e che riflette perfettamente il linguaggio onirico e simbolico di Sorrentino.
Il film si pone come una moderna favola, in cui la bellezza è al tempo stesso una benedizione e una condanna. Parthenope si trova a dover negoziare il proprio destino in un mondo in cui ogni porta aperta dalla sua bellezza porta con sé nuove sfide e, spesso, nuove delusioni. È un po’ come la vita stessa, amico mio: incantevole, sì, ma anche imprevedibile e a volte frustrante.
Conclusioni e impressioni finali
Alla fine, Parthenope ti lascia un senso di mistero irrisolto. Sorrentino non si sforza di darti risposte definitive – anzi, lascia molti interrogativi sospesi, in perfetto stile oneirico – e questo è, per me, sia un pregio che un difetto. È un film che ti incanta con la sua estetica sopraffina e le sue riflessioni sulla condizione umana, ma che al contempo, in certi momenti, ti fa venir voglia di alzarti e dire: “Basta, ho già capito tutto!”.
Praticamente, se ami i film che ti fanno immergere in atmosfere surreali, se ti piace perdersi in inquadrature che sembrano opere d’arte, se apprezzi la musica silenziosa delle immagini e la poesia delle metafore, Parthenope è per te. Ma se cerchi una narrazione sempre incisiva e una trama che ti tenga incollato alla sedia senza mai farti pensare “E adesso?”, potresti trovarti a desiderare un ritmo più serrato.
In conclusione, caro amico, Parthenope è una di quelle opere che, pur lasciando qualche dubbio e qualche momento di noia (sì, ammetto che a tratti mi ha annoiato), riesce comunque a rapirti con la sua bellezza surreale e la sua capacità di farti riflettere sulla fugacità della vita. Insomma, un film imperfetto, ma indubbiamente affascinante.
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La Recensione
Parthenope
Sorrentino dipinge un universo visivo ricco di eleganza e simbolismi, mentre la trama si perde in digressioni e il ritmo sfuma l’impatto emotivo, creando un mix di luce e ombra.
PRO
- Estetica mozzafiato
- Interpretazioni intense
- Regia audace
CONTRO
- Ritmo lento
- Trama dispersiva