Daniel Craig che abbandona definitivamente i panni di Bond per interpretare un uomo gay tormentato nella Città del Messico degli anni ‘40? Sulla carta la mossa sembra geniale per dimostrare la sua versatilità attoriale. “Queer”, l’ultimo film di Luca Guadagnino, promette di essere la performance che finalmente porterà all’ex agente 007 una nomination all’Oscar. E lo merita davvero. Peccato che il film, pur tecnicamente impeccabile, sia stato per me un’esperienza di visione difficoltosa che mi ha messo a disagio per tutta la sua durata.
Craig in una performance da standing ovation
Il film inizia nella Città del Messico alla fine degli anni ’40, dove William Lee (Daniel Craig) vaga per le strade come un predatore in cerca della sua prossima conquista sessuale. Lee è un uomo gay perennemente ubriaco che giustifica le sue inclinazioni con la genetica: “I Lee sono sempre stati pervertiti”, dichiara senza mezzi termini, in una delle tante battute taglienti che punteggiano il film.
Craig è assolutamente straordinario in questo ruolo. La sua interpretazione di un uomo disperato e autodistruttivo è magistrale. C’è una sequenza dove ha appena assunto eroina e la telecamera rimane su di lui in primo piano per diversi minuti mentre la droga fa effetto. È un pezzo di recitazione brillante che ha “reel per l’Oscar” scritto a caratteri cubitali.
La prima parte che funziona (troppo bene per i miei gusti)
La sezione messicana del film è quella più riuscita dal punto di vista tecnico e narrativo. Il production design e la cinematografia di Sayombhu Mukdeeprom (già visto in “Challengers”) sono eccellenti. Guadagnino riesce a creare un’atmosfera densa e sensuale che cattura perfettamente l’ambiente bohémien dell’epoca.
Lee frequenta il “Green Lantern”, un locale dove la scena gay è vivace. Ha i suoi standard però: “È così queer che ho perso interesse per lui”, commenta sprezzante di uno dei frequentatori. Ma ha messo gli occhi su Eugene Allerton (Drew Starkey), anche se per parecchio tempo non è sicuro del suo orientamento sessuale.
Il mio disagio di fronte al contenuto esplicito
Devo essere completamente onesto: ho fatto molta fatica a guardare questo film. Non per la qualità della regia o delle performance, che sono indiscutibili, ma per il contenuto omosessuale estremamente esplicito che permea ogni frame. Le scene di sesso gay sono numerose e graficamente dettagliate, e per quanto siano tecnicamente ben realizzate e artisticamente giustificate, hanno reso la mia esperienza di visione estremamente scomoda.
Riconosco che questo è un limite personale e non una critica al film. Guadagnino ha tutto il diritto di raccontare storie LGBTQ+ con la franchezza e l’autenticità che meritano. Ma non posso fingere che non abbia influenzato la mia percezione dell’opera.
Quando il film deraglia nell’Amazzonia
Il vero problema narrativo inizia quando Lee ed Eugene cominciano a viaggiare in Sud America. Il film deraglia completamente quando Lee va in cerca di qualche sostanza amazzonica magica che dovrebbe essere testata da KGB e CIA per sviluppare la telepatia. È qui che la sceneggiatura di Justin Kuritzkes, basata sul romanzo di William S. Burroughs, perde completamente la bussola.
La custode dei segreti è Dr. Cotter, interpretata da una Leslie Manville irriconoscibile, una donna selvaggia nella giungla con una vipera come guardia del corpo. Segue una scena allucinatoria di assunzione di droghe che è visivamente spettacolare ma narrativamente disconnessa da tutto quello che è venuto prima.
Gli aspetti tecnici che salvano il salvabile
Dal punto di vista puramente cinematografico, “Queer” è un prodotto di alta qualità. La regia di Guadagnino è sicura e stilisticamente coerente, almeno nella prima parte. La fotografia cattura magnificamente l’atmosfera del Messico degli anni ‘40, mentre il production design ricrea convincentemente l’epoca con dettagli autentici.
Il sound design è particolarmente curato, e la colonna sonora supporta efficacemente i momenti più intensi. Jason Schwartzman fornisce un po’ di sollievo comico come Joe, un altro gay che si lamenta sempre di essere derubato dai suoi amanti: “Ecco a cosa servono gli hotel”, commenta Lee asciutto.
Craig che distrugge per sempre l’immagine di Bond
Una cosa è chiara: Craig sta cercando di mettere quanta più distanza possibile tra sé e il Bond donnaiolo. In “Glass Onion” era implicito che avesse un partner maschile (Hugh Grant), qui va full throttle nell’amore omosessuale senza mezzi termini. James chi?
Ha già avuto una nomination ai BAFTA per “Casino Royale”, ma una nomination all’Oscar gli è sempre sfuggita. Questa potrebbe essere la sua grande occasione, e la merita completamente. La sua capacità di interpretare un uomo ubriaco è perfetta, e riesce a catturare la vulnerabilità e la disperazione del personaggio in modo devastante.
Il verdetto di un Guadagnino che non mi convince
Sto arrivando alla conclusione che non sono un grande fan di Luca Guadagnino. Anche se ho apprezzato “Challengers”, non sono stato un ammiratore di “Call Me By Your Name” (andando contro la corrente generale), e avevo grandi aspettative per “Bones and All” ma sono rimasto deluso. “Queer” si aggiunge al bilancio negativo.
Il film sembra esistere più per fare una dichiarazione culturale che per raccontare una storia coinvolgente. È coraggioso nel suo approccio alla sessualità, ma coraggio e qualità cinematografica non sempre coincidono.
La difficoltà di separare il personale dall’artistico
Non sto criticando il film per il suo contenuto omosessuale – sto ammettendo la mia difficoltà personale nel guardarlo. È possibile riconoscere il valore artistico di un’opera pur confessando che non è per tutti. Il cinema dovrebbe sfidare e provocare, ma questo non significa che tutti debbano per forza apprezzare ogni provocazione.
David Lowery (regista di “The Green Knight”) ha anche un cameo nel film, anche se ammetto di essermi dimenticato di cercarlo durante la visione, troppo concentrato a sopravvivere all’esperienza.
Il verdetto finale con onestà brutale
“Queer” è un film che rispetto professionalmente ma che ho faticato a guardare personalmente. Daniel Craig merita tutti gli elogi possibili per una performance che potrebbe finalmente portargli una nomination all’Oscar. La prima parte, ambientata in Messico, è visivamente stupenda e tecnicamente impeccabile.
Ma la mia esperienza complessiva è stata compromessa sia dal contenuto che mi ha messo a disagio, sia dalla seconda parte che deraglia narrativamente nell’Amazzonia. È un film inequivocabilmente queer (senza giochi di parole) che affronta temi di identità e desiderio con serietà, ma che per me è rimasto più un esercizio di stile che un’esperienza coinvolgente.
Se sei un fan del cinema LGBTQ+ o di Guadagnino, probabilmente troverai molto di più di quanto abbia trovato io. Ma se condividi alcune delle mie riserve sul contenuto o sulla narrativa, preparati a una visione impegnativa.
Hai mai avuto difficoltà a guardare un film per il suo contenuto, pur riconoscendone il valore artistico? Pensi che Daniel Craig meriti una nomination all’Oscar per questa performance? Come si fa a separare i propri limiti personali dalla critica cinematografica? Raccontaci nei commenti la tua esperienza con film che ti hanno messo a disagio!
La Recensione
Queer
Queer offre una performance da Oscar di Daniel Craig che abbandona definitivamente Bond per un ritratto gay viscerale. Nonostante regia impeccabile e cinematografia superba, il contenuto esplicitamente omosessuale e la deriva amazzonica rendono l’esperienza di visione difficoltosa, dimostrando come valore artistico e gradevolezza non sempre coincidano.
PRO
- Performance da Oscar di Craig: interpretazione magistrale e coraggiosa che merita riconoscimento accademico
CONTRO
- Contenuto esplicitamente omosessuale: scene di sesso gay grafiche che possono mettere a disagio
- Deriva narrativa amazzonica: seconda parte completamente sconnessa che deraglia la storia
- Esperienza di visione difficoltosa: più prova di resistenza che intrattenimento piacevole




