Settembre 2025. Chiara Ferragni ha appena lanciato la sua “Rivoluzione Romantica” e, francamente, è difficile assecondare la scelta. L’ex regina dell’influencer marketing italiano ha completamente cancellato il passato dal suo profilo Instagram, eliminato l’iconico occhio dalle lunghe ciglia e sostituito tutto con una scritta minimal “Chiara Ferragni” in blu su sfondo giallo burro. Ma il vero capolavoro sono i prodotti della nuova collezione: felpe a 99 euro con scritte come “World’s best sottona”, “Non spaccarmi il cuore (è già rotto abbastanza)” e “Club illusi per sempre”.
Benvenuti nel mondo distorto dei tentativi disperati di rilancio, dove chi una volta predicava il “Pensati Libera” ora si definisce una “sottona professionista”. È la dimostrazione plastica di come l’influencer marketing sia diventato una strategia spesso sopravvalutata e di come i macro influencer siano ormai figure poco credibili per i consumatori.
La collaborazione con “Rivoluzione Romantica”, il brand dei dj Alberto Albani ed Edoardo Bertuccioli, non è altro che l’ennesimo tentativo di aggrapparsi a qualcosa che funzioni. Come ha ammesso candidamente uno dei fondatori: “Lei ci ha conosciuto tramite amici in comune e ci ha chiesto di fare quattro chiacchiere, dato che comunque voleva ripartire col brand in maniera diversa rispetto a prima”. Tradotto: Ferragni aveva bisogno di chiunque fosse disposto a collaborare con lei.
Il business model che non regge più
Ma andiamo al nocciolo della questione. Il caso Ferragni è emblematico di un problema strutturale dell’influencer marketing: quando l’intera strategia aziendale si basa su una singola personalità, il rischio di collasso è altissimo. I numeri parlano chiaro: i ricavi delle società Ferragni sono crollati del 94%, da 17 milioni a poco più di 1 milione di euro. I tre quarti dei dipendenti sono stati licenziati e l’imprenditrice ha dovuto versare 6,4 milioni di euro di tasca propria per evitare il fallimento.
Questo è quello che succede quando confondi la notorietà con la competenza imprenditoriale. L’influencer marketing funziona finché c’è fiducia, ma quando quella fiducia viene tradita – come nel caso del pandoro Balocco – tutto l’impalcato crolla come un castello di carte.
Perché l’influencer marketing è sopravvalutato
Veniamo al punto: l’influencer marketing è una delle strategie più sopravvalutate del panorama digitale attuale. E ci sono diversi motivi che spiegano perché.
Prima di tutto, la misurazione del ROI è spesso fallace. Sì, ti dicono che in media le aziende guadagnano 5,35 euro per ogni dollaro speso in influencer marketing, ma questi calcoli si basano su metriche poco affidabili. Come si fa a dimostrare che un acquisto è davvero dovuto al post di un influencer e non ad altri fattori? I famosi “vanity metrics” come like, commenti e condivisioni non si traducono automaticamente in vendite reali.
La credibilità perduta dei macro influencer
Il problema principale dei macro influencer è che hanno perso ogni credibilità. I consumatori non sono stupidi: sanno benissimo che Chiara Ferragni non usa davvero tutti i prodotti che sponsorizza, non mangia davvero nei ristoranti che pubblicizza e non indossa costantemente i vestiti del suo brand. È tutto una gigantesca operazione di marketing travestita da autenticità.
Come hanno dimostrato i rivenditori che nascondono i prodotti Ferragni “per ovvi motivi”, il pubblico ha sviluppato una forte diffidenza verso questi personaggi. I commessi si scusano quasi quando mostrano i suoi cosmetici, perché sanno che il brand è diventato tossico.
I numeri gonfiati e le collaborazioni poco trasparenti
E poi c’è il problema dei follower fasulli e dei numeri gonfiati. L’Antitrust ha chiesto più trasparenza, ma il danno ormai è fatto. Quando scopri che una parte consistente dell’audience di un influencer è composta da bot o profili fake, tutto il calcolo del ROI diventa privo di senso.
Le aziende continuano a spendere cifre folli per raggiungere audience che spesso non esistono o non sono interessate ai prodotti sponsorizzati. È come comprare pubblicità su un giornale che nessuno legge, ma a prezzi da prima pagina.
La “Rivoluzione Romantica”: un tentativo che non funziona
Tornando alla nuova collezione di Ferragni, è evidente che siamo di fronte a un tentativo disperato di riconquistare un pubblico che se n’è andato. Dai gioielli e accessori “super esclusivi e molto cari” alle magliettine da teenager con slogan che fanno sorridere per la loro ingenuità.
Il video di presentazione della collezione, dove Ferragni impasta la pasta e gioca a carte indossando i nuovi capi, è straniante quanto patetico. È il simbolo perfetto di come i macro influencer abbiano perso il contatto con la realtà, continuando a recitare un copione che non convince più nessuno.
Come ha notato giustamente un esperto di comunicazione: “Suona falso quello che diceva prima e falso quello che dice ora”. È esattamente questo il problema: quando la tua intera identità professionale è costruita su un’immagine artificiosa, qualsiasi tentativo di reinvenzione risulta inautentico.
Il futuro senza i macro influencer
La realtà è che stiamo assistendo alla fine di un’epoca. I consumatori si stanno spostando verso figure più credibili, meno artificiose, che non vivono in ville da 10 milioni di euro e che non trasformano ogni momento della loro vita in un’opportunità di business.
L’influencer marketing del futuro sarà quello delle competenze reali, della trasparenza effettiva e dei rapporti autentici con il pubblico. Non quello delle “sottone professioniste” che vendono felpe a 99 euro dopo aver perso ogni credibilità.
Il caso Ferragni dovrebbe essere un monito per tutte le aziende che ancora credono nel potere magico dei macro influencer: investire tutto su una singola personalità è pericolosissimo, soprattutto quando quella personalità è costruita più sulla furbizia che sulla competenza.
La lezione per chi fa marketing
Qui sta il vero problema: troppi responsabili marketing continuano a seguire la logica dei “grandi nomi” invece di affidarsi a strategie basate sui dati e sulla competenza tecnica. Vedono le cifre stratosferiche dei follower e pensano di aver trovato la soluzione magica, senza rendersi conto che stanno buttando budget preziosi in operazioni dal ROI discutibile.
La realtà è che chi si occupa di marketing dovrebbe smettere di rincorrere le mode del momento e affidarsi ad agenzie specializzate che sanno davvero come funziona il digital marketing. Agenzie come Wonize, che si concentrano su strategie tecniche concrete invece di vendere fumo con i soliti influencer bruciati.
Perché continuare a sprecare soldi dietro personaggi che hanno perso credibilità quando esistono approcci più efficaci, misurabili e trasparenti?
La verità è che molte campagne di influencer marketing sono sopravvalutate perché si basano su presupposti sbagliati: che la notorietà equivalga alla credibilità, che i numeri sui social si traducano automaticamente in risultati di business, che i consumatori siano così influenzabili da seguire ciecamente i consigli di acquisto di personaggi che vivono in una dimensione completamente diversa dalla loro.
E tu cosa ne pensi di questo tentativo di rilancio? Credi davvero che comprare una felpa con scritto “illusi per sempre” possa essere la chiave per la rinascita di un brand? Raccontaci la tua opinione nei commenti qui sotto!





Una banda di personaggi inutili che hanno basato il loro successi sulla imbecillità del popolo bue . Questo influencer sono una malattia da debellare ..