Robinson Crusoe è un nome che evoca subito l’immagine dell’avventura estrema, della solitudine eroica, della lotta per la sopravvivenza. Eppure, questa versione del 1997 diretta da Rod Hardy e George T. Miller, nonostante la presenza scenica di Pierce Brosnan, riesce solo in parte a rendere giustizia al classico di Daniel Defoe.
La pellicola parte bene, con una premessa romantica e tragica: Crusoe, un nobile scozzese, uccide in duello un rivale in amore e fugge via mare per evitare le conseguenze. Una tempesta lo spedisce dritto su un’isola deserta, dove passerà sei anni a sopravvivere, riflettere e, soprattutto, cambiare.
Ma, ahimè, il film sembra dimenticare di dare profondità ai suoi personaggi. E questo è un problema, soprattutto quando il materiale di partenza è così ricco di sfumature sociopolitiche.
Un protagonista affascinante, ma imprigionato
Pierce Brosnan, reduce dal successo bondiano, si cala nei panni di Crusoe con carisma e presenza scenica. Ma il copione lo incatena: il suo personaggio si limita a reagire più che ad agire. Manca l’arco evolutivo profondo, l’uomo che cambia davvero. Brosnan ci prova, ma non ha abbastanza spazio per brillare.
Al contrario, William Takaku nel ruolo di Venerdì è una rivelazione. La sua interpretazione intensa, empatica e dignitosa rende il personaggio molto più tridimensionale del protagonista. Venerdì non è solo un aiutante o una controparte etnica: è il cuore pulsante del film. Ed è un peccato che il film, pur cercando di decostruire l’ottica coloniale, resti comunque impantanato in stereotipi.
Una storia potente resa… innocua
Il testo di Defoe è una miniera di spunti su razzismo, colonialismo, imperialismo, religione. Ma qui questi temi vengono appena accennati, come se si temesse di disturbare il pubblico. Crusoe mette in catene Venerdì, lo salva, lo converte, ma il conflitto interiore che dovrebbe scaturirne è raccontato con la delicatezza di un dépliant turistico. Anche la svolta finale, con l’arrivo degli schiavisti bianchi che uccidono Venerdì “per salvare” Crusoe, avrebbe potuto essere una critica feroce alla civiltà europea. E invece resta abbozzata.
Tecnicamente ineccepibile
Parliamoci chiaro: visivamente il film è stupendo. La fotografia firmata da David Connell cattura paesaggi mozzafiato, spiagge incontaminate, mari in tempesta. Ogni inquadratura è curata, luminosa, suggestiva. Anche la colonna sonora di Jennie Muskett è evocativa, con toni delicati che accompagnano la solitudine e il senso di smarrimento del protagonista.
Ma tutto questo non basta a salvare un film che, a livello di contenuti, non osa. La regia è corretta, pulita, ma manca di mordente. Manca il rischio.
Cast secondario: poca gloria
Oltre ai due protagonisti, troviamo nomi noti come Polly Walker, Damian Lewis e James Frain, ma i loro ruoli sono talmente marginali da risultare quasi decorativi. Curiosità per i fan: nel film compare anche Sean Brosnan, figlio di Pierce, nel ruolo di un mozzo.
Un confronto inevitabile
Chi ama il romanzo avrà già visto (e forse preferito) la versione di Luis Buñuel del 1952, che con mezzi limitati aveva saputo scavare molto più a fondo nel tormento esistenziale del protagonista. Anche rivisitazioni più libere come Cast Away di Robert Zemeckis o Enemy Mine di Wolfgang Petersen riescono ad affrontare i temi della solitudine e dell’altro con più coraggio.
Un film per ragazzi? Forse
Pur essendo vietato ai minori di 13 anni, questo Robinson Crusoe può comunque interessare un pubblico giovane, affascinato dal tema dell’uomo contro la natura. Ma attenzione: ci sono scene violente, tribù cannibali, duelli, spargimenti di sangue. Nulla di eccessivo, ma abbastanza per sconsigliarne la visione ai più piccoli.
Però, se visto in famiglia, può offrire spunti di discussione importanti: il razzismo, la schiavitù, la fede, il colonialismo. Temi che, pur trattati con timidezza, sono presenti e possono far riflettere.
Conclusione: vale la pena naufragare con Brosnan?
Robinson Crusoe è un film esteticamente appagante ma emotivamente piatto. Un adattamento che non osa, che prende il largo ma poi ha paura del mare aperto. Se sei un fan di Brosnan, merita la visione. Se cerchi un film avventuroso con sotto-testi importanti, potresti restare deluso.
Non è un disastro, ma neanche una perla nascosta. Come il protagonista, questo film finisce per restare bloccato su un’isola: affascinante, ma isolato dal grande cinema.
La Recensione
Rovinson Crusoe (1997)
Pierce Brosnan e William Takaku ci portano su un'isola selvaggia, ma nonostante il fascino visivo e le buone intenzioni, questo "Robinson Crusoe" del 1997 finisce per arenarsi su scogli narrativi prevedibili e superficiali.
PRO
- Fotografia mozzafiato: paesaggi tropicali da cartolina, girati con grande cura visiva.
- Takaku strepitoso: il personaggio di Venerdì brilla e dà spessore umano alla storia.
CONTRO
- Temi trattati con timidezza: colonialismo e razzismo appena sfiorati, senza profondità.
- Sceneggiatura piatta: manca tensione, introspezione e sviluppo emotivo.
- Brosnan sprecato: carisma sprecato in un ruolo troppo lineare.