Oggi ti parlo di Running Point, la nuova serie di Netflix che si propone come una satira sul mondo degli sport, dei miliardari e dei loro comportamenti sociopatici. E ti dico subito: se ti piace una comicità surreale, fatta di tagli rapidi, battute irriverenti e personaggi eccentrici, questa serie potrebbe farti sorridere. Però, se cerchi innovazione narrativa o colpi di scena rivoluzionari, potresti rimanere un po’ deluso.
Un’idea che fa ridere, ma non troppo
Immagina un mondo in cui i ricchi hanno bisogno di un piccolo aiuto per diventare persone migliori – sì, proprio così! La premessa di Running Point è, in un certo senso, riduttiva: i proprietari di squadre sportive, in questo caso i dirigenti di una squadra fittizia chiamata Los Angeles Waves, necessitano dell’intervento delle minoranze per diventare versioni più umane di sé stessi. Cioè, praticamente, basta che gli ispanici, gli asiatici e i neri intorno a loro li facciano sentire un po’ più “normali”, e tutto si sistema. È un’idea che, sebbene possa sembrare un po’ semplicistica, è anche capace di far ridere – se non ci pensi troppo.
La serie è stata co-creata da Mindy Kaling, e questo, diciamolo, ti fa subito alzare le sopracciglia. Kaling, nota per il suo lavoro in progetti come The Sex Lives of College Girls e Velma, porta qui un tono che si ispira a quelle serie in cui la comicità si mescola con momenti di critica sociale, ma in modo non troppo impegnato. In questo senso, Running Point si presenta come una sorta di ibrido tra Succession, Ted Lasso e persino Arrested Development – con una spruzzata di ironia tutta americana.
Personaggi eccentrici e situazioni assurde
Il fulcro della serie è rappresentato da Cam Gordon, interpretato da Justin Theroux, il presidente della squadra. Cam è un personaggio che, nonostante il suo status elevato, mostra una sorprendente vulnerabilità: ad esempio, in una scena memorabile, inciampa con la sua crack pipe mentre guida e finisce per schiantarsi contro un ristorante. È una delle tante situazioni che, pur essendo estremamente assurde, ti fanno scoppiare in una risata nervosa, perché è così improbabile da sembrare quasi parodistica.
Ma la vera chicca arriva con Isla, interpretata in una maniera che ricorda quella di Kate Hudson – sì, proprio come nel suo personaggio in Glass Onion – che viene promossa dal reparto filantropia al suo vecchio posto, nonostante il passato da party girl e pose nude per Playboy. Isla, infatti, sorprende tutti perché, seppur con un passato da “famosa” per motivi discutibili, sa più di basket dei suoi fratelli Sandy e Ness. E qui la serie si diverte a giocare con i cliché: una girlboss che, nonostante tutto, deve dimostrare di avere la stoffa per gestire la squadra, mentre il mondo dei media sportivi la deride.
E non dimentichiamo i ruoli che aiutano Isla a diventare la migliore versione di sé stessa. Alice Lee (Brenda Song) è la sua braccio destro, quella che calma gli animi e la motiva; Jay Brown (Jay Ellis) è il coach buddista dei Waves, il cui approccio zen fa riflettere Isla sull’importanza di essere un buon genitore; mentre Jackie Moreno (Fabrizio Guido) è il venditore di concessioni, un personaggio particolarmente controverso che, per una scelta creativa, porta un accento messicano forzato, tanto simile a quello di Apu Nahasapeemapetilon. Insomma, la serie non risparmia ironia nel presentare queste figure, che sembrano quasi degli stereotipi esilaranti del mondo sportivo.
Il cast: un mare di talento (anche se a tratti forzato)
Il cast di Running Point è davvero una marea di talento. Justin Theroux è sorprendentemente bravo nel dare vita a Cam Gordon, un personaggio che, pur essendo un po’ psicopatico e ossessionato dalle droghe, riesce a emergere per la sua presenza carismatica e la sua capacità di fare battute con uno sguardo quasi evangelico. Ma, davvero, il vero colpo di scena in termini di interpretazione appartiene a Chet Hanks, che interpreta se stesso nel ruolo di Travis Bugg, un giocatore dei Waves. In una scena, Travis, dopo essere stato richiamato dal suo compagno di squadra Marcus Winfield, confessa con umiltà: “You’re headed for the Hall of Fame. Best thing I can hope for is expanding my brand and getting a Victoria’s Secret model pregnant.” Una battuta che è assurda, divertente e incredibilmente surreale allo stesso tempo.
Kate Hudson, nel ruolo di Isla, dà vita a una donna forte, capace di trasformarsi da party girl a leader. E poi c’è Scott MacArthur nel ruolo di Ness, il fratello che, pur essendo un po’ narcisista, si distingue per la sua vulnerabilità comica. Drew Tarver, nei panni di Sandy, e Jay Ellis, nel ruolo del coach buddista, completano un cast che, nonostante alcune interpretazioni che sembrano sotto-scritte, riesce a portare sullo schermo una dose di umorismo genuino.
Tecnica, stile e ritmo: quando il montaggio diventa un’arma a doppio taglio
Parlando di tecnica, Running Point vanta una regia curata e un montaggio che, a tratti, è frenetico da non credere. Le scene sono costellate da tagli continui, quasi a voler tenere lo spettatore sempre in movimento, ma questo approccio, sebbene efficace in alcuni momenti, rischia di farti perdere il filo della narrazione. È come se ogni scena, anche quella che dovrebbe avere un respiro, venisse interrotta bruscamente per passare al prossimo personaggio. Gli establishing shot di Los Angeles, realizzati con droni, appaiono così freddi e plasticati da sembrare usciti da un catalogo turistico, in netto contrasto con l’umanità che ci si aspetterebbe da una serie ambientata in una città così vibrante.
Questo ritmo frenetico, che a volte ti fa esclamare “Ma dai, lascia respirare un attimo la scena!”, è una delle debolezze di Running Point. La serie ha un tono generalmente coerente – nonostante alcuni momenti in cui la scrittura diventa prevedibile – e il ritmo, pur essendo tagliente, a volte diventa un’arma a doppio taglio, distrattendoti dal nucleo emotivo della storia.
Un messaggio che, seppur riduttivo, fa riflettere
Uno degli elementi più interessanti della serie è il suo messaggio: i ricchi hanno bisogno di un aiuto per diventare persone migliori. E qui il concetto è tanto riduttivo quanto divertente. Le minoranze, con la loro presenza e il loro bagaglio culturale, entrano in scena per “umanizzare” quei proprietari di squadre sportive, trasformando il loro ego smisurato in qualcosa di, almeno, meno freddo e avaro. È una critica sociale vestita di ironia, che ti fa sorridere mentre rifletti su quanto il mondo sia dominato dal profitto e dalla superficialità.
Tuttavia, il documentario, o meglio, la serie, non va oltre: il messaggio resta piuttosto superficiale e, a tratti, sembra servire più a migliorare l’immagine dei miliardari che a proporre una vera e propria critica sociale. Insomma, Running Point è una satira, ma una satira che non osa rompere i canoni del convenzionale, e questo limita un po’ il suo impatto.
Criticità e spunti di miglioramento
Nonostante la serie spesso riesca a strapparti una risata con le sue situazioni assurde e i personaggi eccentrici, ci sono alcuni aspetti che non funzionano del tutto. Il ritmo, come ho già detto, è troppo frenetico, con tagli e transizioni che ti fanno perdere il filo del racconto. Inoltre, alcune scene sembrano costruite in maniera troppo forzata, come se gli autori cercassero disperatamente di inserire una battuta o un riferimento culturale senza che ci fosse davvero un bisogno narrativo.
Il focus sul mondo dei miliardari e sull’umanizzazione dei ricchi, sebbene interessante, viene trattato in modo un po’ riduttivo. Le minoranze che cercano di “salvare” i proprietari delle squadre sportive vengono presentate come la soluzione a tutto, senza approfondire le complesse dinamiche sociali e culturali che in realtà regolano questi rapporti. È un approccio che ti fa dire: “Sì, è divertente, ma manca di sostanza.”
Conclusioni: Una serie divertente, se non ci pensi troppo
Alla fine, Running Point è una serie che, pur con i suoi difetti, riesce a intrattenerti con un umorismo surreale e personaggi ben recitati. È una satira che, con le sue battute irriverenti e il suo ritmo incalzante, ti fa ridere e, allo stesso tempo, ti offre spunti di riflessione su come i social media e la cultura dei miliardari influenzino la nostra società.
Non aspettarti un documentario rivoluzionario: qui non ci sono colpi di scena sconvolgenti o innovazioni narrative che ti lascino a bocca aperta. Quello che ottieni è un prodotto ben fatto dal punto di vista tecnico, con un cast eccellente e una produzione curata, ma che resta nei confini del convenzionale. Running Point è una serie che ti farà ridere se non ci pensi troppo, e ti farà riflettere, anche se in maniera limitata, sul rapporto tra potere, social media e umanità.
E tu, cosa ne pensi? Lascia un commento qui sotto e raccontami la tua esperienza: ti ha divertito il modo in cui la serie affronta il mondo dei miliardari e dei social media, o credi che resti troppo superficiale? La tua opinione è davvero importante!
La Recensione
Running Point
Running Point è una satira sui ricchi che, con tagli frenetici e umorismo surreale, offre risate sincere ma resta convenzionale e prevedibile, limitandosi a poco più di un approccio standard.rnrn
PRO
- Interpretazioni brillanti di Theroux, Hudson e altri.
- Approfondisce il ruolo dei social nel plasmare l'immagine dei ricchi.
CONTRO
- La trama resta nei confini del convenzionale.