Domanda diretta, risposta senza giri di parole: no, non è un’aggiunta “woke”. L’orientamento e i rapporti di Salvatore Vinci non li ha inventati la serie Il Mostro di Netflix; a parlare sono atti d’indagine degli anni ’80, testimonianze e ricostruzioni coeve. Con il linguaggio di oggi, la fotografia che emerge è quella di una sessualità non esclusiva: rapporti con donne e rapporti con uomini. E sì, il legame con Stefano Mele non nasce in una writers’ room, ma in mezzo a verbali, pedinamenti e incastri che i carabinieri misero nero su bianco decenni fa.
Cosa mostra la serie e perché ci colpisce
La serie Netflix mette in scena un Vinci complesso: magnetico, ambiguo, capace di dominare le relazioni attorno a sé. È una scelta narrativa forte, certo, ma non caduta dal cielo. Quando vediamo quelle sequenze che suggeriscono relazioni omosessuali — e una relazione anche con Mele — molti spettatori pensano subito: “Ok, qui stanno esagerando per attualizzare la storia”. In realtà, la serie riprende elementi già presenti nelle carte. Poi, chiaro, la forma drammatica condensa e rielabora: è televisione, non un’udienza.
Cosa dicono le carte dell’epoca
Nei fascicoli investigativi emersi negli anni ’80 compaiono riferimenti espliciti ai rapporti di Vinci con uomini e donne. In particolare:
- Vengono descritti rapporti con Saverio Silvano Biancalani e dinamiche di coppia allargata con la moglie di lui. Gli atti parlano proprio di frequentazioni intime ripetute, non di un episodio isolato.
- Si menzionano pedinamenti a Firenze e situazioni in luoghi pubblici dove Vinci cercava contatti maschili, per esempio in zona stazione.
- Sulla triade storica Barbara Locci – Stefano Mele – Salvatore Vinci, gli investigatori raccolsero testimonianze e ricostruzioni che descrivono rapporti a tre, con interazioni anche tra i due uomini. Non è un dettaglio messo lì per provocare: fa parte del quadro che gli inquirenti usarono per provare a leggere gelosie, ricatti, dipendenze emotive.
Attenzione, però: stiamo parlando di atti d’indagine, non di una confessione personale di Vinci né di una sentenza che “definisce” la sua identità affettiva. Le carte servivano a capire se certe relazioni potessero spiegare moventi, alibi, coperture. Quindi vanno lette per ciò che sono: strumenti d’inchiesta.
“Omosessuale” o “bisessuale”? Il peso delle parole allora e oggi
Negli anni ’60–’80 i termini usati nelle relazioni di polizia rispecchiavano la sensibilità del tempo: catalogazioni rigide, spesso giudicanti, e zero attenzione all’autodefinizione. Tradotto nel linguaggio di oggi, dal materiale rimasto si delinea più la bisessualità che un orientamento esclusivo.
Questo non è un esercizio di etichettatura fine a sé stesso: capire come gli investigatori di allora leggevano la sfera sessuale dei protagonisti ci aiuta a interpretare perché certe piste furono imboccate, perché alcuni rapporti vennero ritenuti rilevanti e come vennero valutate gelosie e alleanze.
Perché questa parte della storia conta
La sessualità di Vinci non è gossip. Entra nella narrazione del Mostro di Firenze perché, per gli inquirenti, poteva illuminare:
- Motivi personali dietro alcune condotte.
- Rapporti di forza dentro un gruppo ristretto di persone che ruotavano attorno a Vinci.
- Ricatti e dipendenze (emotive, economiche, sessuali) che, nella lettura dell’epoca, potevano spingere a coperture o depistaggi.
Non è questione di “colorare” il plot: è cercare di capire i legami reali. Sì, la serie sceglie una messa in scena intensa — cioè, è Netflix, non un verbale stradale — ma il nocciolo informativo ha radici storiche.
Cosa sappiamo abbastanza bene e cosa resta incerto
Punti fermi
- Vinci ebbe relazioni con uomini e donne. Non appare come un episodio sporadico, ma come un tratto ricorrente nella sua vita relazionale.
- Il rapporto con Stefano Mele emerge nei materiali investigativi legati al contesto Locci–Mele–Vinci, con descrizioni di rapporti a tre dove la dinamica non era solo uomo–donna–uomo, ma talvolta uomo–uomo.
- La figura di Saverio Silvano Biancalani è centrale per capire come gli inquirenti inquadravano i legami di Vinci.
Zone d’ombra
- Autodefinizione: non abbiamo una dichiarazione diretta e chiara di Vinci sull’orientamento.
- Attendibilità di singole testimonianze: come in ogni grande inchiesta, alcune voci sono indirette, altre filtrate dal contesto sociale.
- Uso investigativo delle etichette: gli atti a volte “etichettano” per orientare piste, non per restituire la complessità di una vita privata.
Risposta secca alle due domande
- “Era veramente omosessuale o è un’invenzione della serie?”
Più corretto dire: aveva rapporti con entrambi i sessi. La serie non inventa il tema; lo drammatizza a partire da elementi presenti nelle carte dell’epoca. - “E aveva rapporti con Stefano Mele?”
Sì, la relazione tra i due compare nelle ricostruzioni investigative connesse al rapporto a tre con Barbara Locci. La serie prende quel tassello e lo rende visivo.
E tu cosa ne pensi?
Preferisci una serie che rischia e mostra i lati più scomodi dei personaggi, oppure avresti voluto un taglio più asciutto, quasi da docu-verbale? Cioè, senza orpelli, solo fatti? Scrivimi cosa ti ha convinto e cosa no: da queste sfumature si capisce molto di come vogliamo ricordare storie così complesse.




