Cari amanti del tapiro d’oro e delle polemiche da backstage, preparatevi a un dietro le quinte più drammatico di una serata fuori tema a Sanremo. Mentre i fan discutono se Angelina Mango canterà in playback o meno, la Rai sta combattendo una battaglia legale epica per mantenere il controllo del Festival. Il motivo? A dicembre, il Tar Liguria ha stabilito che dal 2026 l’organizzazione della kermesse dovrà essere affidata tramite gara pubblica, aprendo la porta a competitor privati come Just Entertainment. Ma la Rai non ci sta: “Il Festival non esiste senza di noi”, ribattono i legali. Chi ha ragione? Scopriamolo, tra codici civili e stacchetti di Amadeus.
La sentenza del Tar Liguria: perché la Rai trema (ma non troppo)
Il cuore del problema è un ricorso presentato da Just Entertainment nel 2023, società che accusa il Comune di Sanremo di aver eluso la gara pubblica assegnando direttamente alla Rai i diritti fino al 2025. Il Tar ha dato ragione alla società, imponendo dal 2026 un bando competitivo. Peccato che, come sottolinea la Rai, “il format televisivo è nostro”.
In altre parole: anche se il Comune aprisse le porte ad altri organizzatori, nessuno potrebbe replicare la formula attuale (serate tematiche, votazioni, conduttore ipermediatico) senza violare i diritti d’autore detenuti da Viale Mazzini. Un po’ come se provassi a rifare X Factor senza i diritti di Simona Ventura.
Marchio vs format: il rebus che divide avvocati e fan
Qui sta il nodo. Il marchio “Festival della Canzone Italiana” appartiene al Comune di Sanremo, ma il format televisivo (con le sue regole, grafiche e template narrativi) è di proprietà della Rai. Secondo l’azienda pubblica, i due elementi sono “inscindibili”: il festival esiste solo grazie al branding Rai, che ne ha plasmato l’identità in 70+ edizioni.
Ma Just Entertainment ribatte: “Il marchio è autonomo, come dimostra la storia pre-televisiva del Festival”. Esatto: la prima edizione (1951) fu organizzata dal Casinò di Sanremo senza la Rai, che subentrò solo nel 1955. Un precedente storico che potrebbe minare la tesi dell’unicum Rai-Festival.
Cosa succederà nel 2026? Lo scenario (apocalittico) possibile
Immaginate un Sanremo senza la sigla Rai, senza i jingle iconici e senza i cagnolini di Amadeus. È lo spettro che agita i dirigenti di Viale Mazzini, ma la realtà è più complessa. Anche se un privato vincesse il bando, dovrebbe negoziare con la Rai per utilizzare elementi del format (es: il sistema di voto, i podcast backstage).
E qui entra in gioco l’arsenale legale della Rai: dai contratti con le SIAE alle clausole sui diritti derivati. “Senza di noi, il Festival sarebbe un karaoke in riva al mare”, dichiara un manager Rai under cover a Wonder Channel. Ma c’è chi sogna un’edizione meno politicizzata e più focalizzata sulla musica.
Just Entertainment: chi è il “cattivo” della storia?
Fondata da Sergio Cerruti, la società ha già organizzato eventi come il TIM Music Awards e collaborato con artisti del calibro di Mahmood. Il loro obiettivo? Portare a Sanremo sponsor internazionali e una regia più streaming-friendly. Peccato che, senza il format Rai, rischierebbero di creare un clone di Sanremo con meno budget e zero storia.
E tu, cosa ne pensi? Il dibattito è aperto!
La domanda è bruciante: Sanremo deve restare un “monopolio” Rai o aprirsi al mercato? E soprattutto: preferisci la tradizione (con i suoi cringe) o una rivoluzione stile Eurovision? Scrivilo nei commenti: la tua opinione potrebbe diventare virale!