Nel mondo del cinema, certi cambi di casting diventano leggendari quanto i film stessi. La sostituzione di Daniel Day-Lewis con Liam Neeson in Silence di Martin Scorsese rappresenta uno di quei casi in cui il destino sembra aver preso le redini creative, trasformando quello che poteva essere un fallimento produttivo in una scelta narrativa perfetta. Il film del 2016, ambientato nel Giappone del XVII secolo e basato sul romanzo di Shūsaku Endō, ha richiesto quasi trent’anni per arrivare sul grande schermo, attraversando un vero e proprio inferno produttivo fatto di abbandoni illustri, riscritture infinite e sogni rimandati.
La genesi di questo progetto risale al 1989, quando Scorsese lesse il romanzo durante le riprese del film “Sogni” di Akira Kurosawa, dove interpretava Vincent van Gogh. Fu colpo di fulmine artistico: il regista acquistò immediatamente i diritti del libro e iniziò a sognare la trasposizione cinematografica. Ma tra il sogno e la realtà si frappongono spesso ostacoli insormontabili, e Silence ne è la dimostrazione più clamorosa. Negli anni 2000, il cast originale includeva nomi da capogiro: Gael García Bernal e Benicio del Toro per i due giovani gesuiti protagonisti, e il tre volte premio Oscar Daniel Day-Lewis per il ruolo del mentore Cristóvão Ferreira.
Tuttavia, quello che nel gergo cinematografico viene chiamato “development hell” – quando un progetto rimane bloccato per anni senza riuscire a entrare in produzione – ha fatto la sua comparsa. Scorsese era impegnato con Shutter Island, Hugo e Il lupo di Wall Street, e il progetto continuava a slittare. Uno dopo l’altro, i tre attori principali abbandonarono la nave, lasciando il regista a ricostruire completamente il cast. Al loro posto arrivarono Andrew Garfield, Adam Driver e, per il ruolo che doveva essere di Day-Lewis, Liam Neeson.
L’ironia del destino: quando i ruoli si invertono
La storia di questo casting è resa ancora più affascinante da un precedente curioso: se Neeson aveva sostituito Day-Lewis in Silence, qualche anno prima era accaduto esattamente l’opposto. Nel Lincoln di Steven Spielberg, inizialmente era stato scelto Neeson per interpretare il presidente americano. L’attore irlandese aveva persino iniziato a studiare approfonditamente la storia del sedicesimo presidente degli Stati Uniti, preparandosi meticolosamente al ruolo.
Tuttavia, quando il film era finalmente pronto per entrare in produzione, Neeson si sentiva “troppo vecchio” per interpretare Lincoln e abbandonò il progetto. Al suo posto subentrò Day-Lewis, che vinse il suo terzo Oscar come miglior attore per quella interpretazione. È uno di quei casi in cui il cinema dimostra di avere un senso dell’ironia perfetto: due grandi attori che si sostituiscono a vicenda in due progetti diversi, entrambi diretti da maestri del cinema americano.
Questa dinamica di “casting musicale” tra Day-Lewis e Neeson non è casuale. Entrambi condividono un approccio metodico alla recitazione, una presenza scenica imponente e la capacità di portare profondità psicologica a personaggi complessi. Non sorprende che registi del calibro di Scorsese e Spielberg li abbiano considerati intercambiabili per ruoli di tale importanza.
Silence: il progetto della vita di Scorsese
Per comprendere l’importanza di questo casting, bisogna capire cosa rappresentasse Silence per Martin Scorsese. Il regista, cresciuto in un ambiente profondamente cattolico, aveva sempre voluto esplorare il tema della fede attraverso il cinema. Da L’ultima tentazione di Cristo a Kundun, passando per i conflitti spirituali presenti in Taxi Driver e Toro scatenato, la questione religiosa è sempre stata centrale nella sua filmografia.
Silence rappresentava l’occasione per affrontare il tema in modo più diretto e personale. La storia di due gesuiti portoghesi che viaggiano nel Giappone del XVII secolo per cercare il loro mentore e diffondere il cristianesimo, offreva il contesto perfetto per esplorare il rapporto tra fede e dubbio, tra convinzioni religiose e sopravvivenza umana.
Il romanzo di Endō, scrittore giapponese convertito al cristianesimo, aveva affascinato Scorsese proprio per la sua capacità di mostrare la fede non come certezza assoluta, ma come lotta costante. Il titolo stesso, “Silence”, si riferisce al silenzio di Dio di fronte alla sofferenza umana, tema che risuonava profondamente nelle convinzioni del regista.
Il cast definitivo e le performance
Quando finalmente il film entrò in produzione nel 2015, il nuovo cast si rivelò perfetto per la visione di Scorsese. Andrew Garfield, fresco dell’esperienza con i film di Spider-Man, trovò in Rodrigues l’occasione per dimostrare la sua profondità drammatica. Adam Driver, già affermatosi con la serie Girls e i nuovi film di Star Wars, portò intensità e vulnerabilità al personaggio di Garupe.
Ma fu Liam Neeson a rivelarsi la scelta più azzeccata. L’attore irlandese, con la sua esperienza in ruoli complessi come quello di Oskar Schindler in Schindler’s List, riuscì a dare al personaggio di Ferreira quella ambiguità morale necessaria alla storia. Il suo Ferreira non è né eroe né traditore, ma semplicemente un uomo che ha dovuto scegliere tra la propria fede e la vita di innocenti.
La performance di Neeson in Silence dimostra come a volte il destino sappia scegliere meglio dei casting director. L’attore porta al ruolo una stanchezza esistenziale che forse Day-Lewis, con la sua intensità più cerebrale, non avrebbe saputo rendere con la stessa efficacia.
L’eredità di un film incompreso
Silence si rivelò un fiasco commerciale clamoroso, incassando solo 23 milioni di dollari mondiale a fronte di un budget di 46 milioni. Fu il minor successo commerciale nella carriera di Scorsese, un dato che non rende giustizia alla qualità dell’opera. Il film ricevette recensioni positive dalla critica ma non riuscì a trovare il suo pubblico, probabilmente a causa dei suoi 161 minuti di durata e dei temi complessi.
Tuttavia, con il passare del tempo, Silence sta guadagnando il riconoscimento che merita. È considerato da molti critici una delle opere più personali e mature di Scorsese, un film che affronta questioni spirituali profonde senza offrire risposte facili. La scelta di girare in pellicola 35mm invece che in digitale ha conferito alle immagini una qualità pittorica che rimane impressa nella memoria.
Il lungo percorso produttivo di Silence, con i suoi abbandoni e sostituzioni, dimostra come il cinema sia spesso il risultato di circostanze impreviste piuttosto che di piani prestabiliti. Se Day-Lewis non avesse abbandonato il progetto, forse non avremmo mai avuto la versione definitiva che conosciamo, con Neeson perfetto nel ruolo del mentore tormentato.
E tu cosa ne pensi di questi cambi di casting? Credi che Liam Neeson sia stata la scelta giusta per Silence, o avresti preferito vedere Daniel Day-Lewis in quel ruolo? Raccontaci la tua nei commenti!




