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Home Editoriale

Social Media: un nuovo megafono per violenza e terrorismo?

di Alessandro Aru
6 Dicembre 2015
in Editoriale, Tech
Tempo di lettura 4 minuti
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un gruppo di militanti dell'Isis

un gruppo di militanti dell'Isis

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Tashfeen Malik, la donna coinvolta nella sparatoria di massa avvenuta nel sud della California questa settimana, ha una certa notorietà: lei è l’ultima di una linea crescente di estremisti ed assassini psicopatici che utilizzano i social media per esternare la loro sete di violenza.

Un responsabile di Facebook ha detto venerdì che Malik, utilizzando un alias, ha elogiato lo Stato Islamico in un post pubblicato su Facebook poco prima – o durante – l’attacco. Ma il post di Malik è uno dei tanti presenti sui social media, che ultimamente vengono sempre più usati dai terroristi per organizzare attentati e condividere la loro sete di violenza. Ma non c’è solo terrorismo, qui si parla di violenza in generale, per esempio, un uomo della Florida ha ucciso la moglie ed ha condiviso una foto del suo corpo sui social media. Qualcosa di macabro ed impensabile.

Facebook, Twitter, YouTube e le altre società di social media fanno del loro meglio per bloccare o rimuovere i messaggi che glorificano la violenza. Ma gli esperti dicono che è una battaglia in salita, e l’avvento dei nuovi servizi – tipo quello che permette di condividere lo streaming video dal vivo per qualsiasi evento – servirà solo a rendere il compito più impegnativo.

“Ora tutti hanno l’opportunità di parlare ad un pubblico più vasto”, ha detto Karen North, un professore del digital, social media presso l’Università di Annenberg School, nella California meridionale. “Commettono un atto e vogliono che la gente lo veda, ed hanno i mezzi per farlo e promuoverlo.”

I social media non hanno inventato la violenza estremista. Ma lo Stato islamico ed i gruppi simili sono diventati abili nell’usare i social media per diffondere il loro messaggio, o per reclutare adepti e minacciare i loro presunti nemici.

“Si possono rapidamente e facilmente identificare altre persone che condividono le loro convinzioni”, ha dichiarato Marcus Thomas, un ex assistente della divisione tecnologie operative dell’FBI.

Come molti giovani adulti, la 27 enne Malik ed il suo marito di 28 anni, Syed Farook, sembravano a loro agio con i social media. Un funzionario dell’intelligence che lavora negli Usa ha detto che Farook era stato in contatto con noti estremisti islamici in rete. Ma non si sa se lo Stato Islamico sia riuscito a comunicare con Malik o abbia fornito dettagli ed istruzioni per l’attacco che ha causato 14 morti e 21 feriti.

YouTube, Twitter ed altri servizi online utilizzano software automatici per rilevare i messaggi che violano i loro termini di servizio, compresi quelli che raffigurano o promuovono la violenza. Incoraggiano inoltre gli utenti a segnalare tale materiale, in modo da poterlo analizzare e rimuovere.

Malik e suo marito, Syed Farook, sono morti ore dopo l’attacco in uno scontro a fuoco con la polizia.

Il social network ha fatto “un lavoro abbastanza buono dal punto di vista conoscitivo per gli utenti”, nel senso che saranno presi i messaggi o video che glorificano la violenza, ha detto Stephen Balkam, capo del no-profit Safety Institute on line, che lavora con Facebook ed altri siti per la promozione delle pratiche di sicurezza per i bambini.

Due anni fa, Balkam ha pubblicamente criticato Facebook quando il social network ha invertito la propria decisione di rimuovere un video di un uomo mascherato che decapitava una donna. In questo caso, Facebook ha detto che ha deciso di non rimuovere il video perché permetteva agli utenti di usarlo per condannare la violenza.

Un altro problema: i messaggi e video violenti potrebbero riemergere successivamente. Quando un giornalista della TV ha ucciso due ex colleghi di lavoro in Virginia durante l’estate, ha video-registrato le sue azioni ed ha caricato la clip su Facebook. La società aveva rimosso il video, ma tanti l’avevano già copiato e condiviso in più punti, quindi è stato difficile da rimuovere definitivamente.

Facebook vieta esplicitamente un contenuto condiviso da “organizzazioni pericolose” o impegnate in attività terroristiche o criminalità organizzate. Ma anche questo richiede una chiamata in giudizio, perché non tutte le persone del mondo inquadrano il terrorismo nello stesso modo, ha detto David Greene, direttore della Electronic Frontier Foundation, un gruppo che si occupa dei diritti digitali.

I legislatori del Senato degli Stati Uniti hanno recentemente considerato un disegno di legge che impone alle società dei social media di segnalare qualsiasi “attività terroristica” che hanno trovato sul loro sito alle autorità governative.

Data la pervasività dei mezzi di comunicazione, non è una sorpresa vedere come alcuni criminali decidono di auto-confessare il crimine attraverso i social media. Tipo Derek Medina ha postato una foto del corpo di sua moglie su Facebook con una nota accusandola di abusare di lui. Successivamente è stato condannato per omicidio di secondo grado. Altri invece lo usano per farsi notorietà con gli amici pubblicando magari foto violente condivise dal gruppo “osceno” in cui militano.

Con l’avvento di applicazioni per il live-streaming come Meerkat e Twitter con il servizio Periscope, i fautori della sicurezza come Balkam temono che qualcuno li userà per trasmettere atti di violenza e diffondere messaggi che inneggiano al terrorismo. Facebook sta testando un servizio simile, che permette a chiunque di trasmettere video in diretta da smartphone in tutto il mondo. A dire la verità molti lo usano di già.

Sono video registrati in tempo reale, quindi bisognerà essere rapidi nella segnalazione così da farli rimuovere. Il compito sarà piuttosto arduo in futuro.

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