L’ultimo brano di Centomilacarie, “solite cose”, emerge come un testo ricco di immagini evocative e simbolismi intensi, capace di trasportarti in un universo fatto di contrasti e riflessioni profonde. In questo articolo analizziamo con attenzione il testo, cercando di svelare le sfumature e il significato nascosto dietro ogni parola, mantenendo un approccio imparziale e tecnico, tipico del nostro stile a Wonder Channel.
Introduzione al brano
Il brano, parte integrante dell’album IO NESSUNO e realizzato con la firma di Francesco Massidda, si presenta come una narrazione in cui il linguaggio poetico e metaforico si intreccia con realtà crude e spesso dolorose. Fin dai primi versi, Centomilacarie ci invita a un percorso interiore, dove le immagini si trasformano in specchi di emozioni contrastanti: dal desiderio di liberazione alla presa di coscienza di un passato segnato da conflitti e ferite.
Analisi della prima strofa
Il testo si apre con un’immagine fortemente suggestiva:
“Apriti che sei una finestra chiusa sul mare”.
Qui, il paradosso tra l’idea di apertura e la condizione di essere “chiuso” crea subito una tensione emotiva, suggerendo una personalità intrappolata in se stessa nonostante la vastità e l’inesauribile bellezza di ciò che la circonda. La finestra diventa simbolo di una via d’accesso al mondo interiore, mentre il mare rappresenta l’infinito potenziale emotivo e creativo che, tuttavia, resta in parte inespresso.
Subito dopo, il verso “Ho il tuo respiro intrappolato nelle mie tasche” enfatizza una relazione di intimità e possesso, in cui il respiro – metafora della vita e dell’essenza – viene conservato come un prezioso segreto. Il linguaggio qui assume toni quasi tattici, quasi a voler indicare un’azione di “cattura” di qualcosa di essenziale e fuggevole.
La strofa prosegue con immagini forti:
“I soliti tagli agli zigomi rossi rubino / Rubo la mia voce, indossala come un vestito”.
Questi versi evidenziano un gioco di identità e trasformazione: il protagonista si appropria della propria voce, come se potesse indossarla per modificare il proprio aspetto, proprio come si cambia un capo d’abbigliamento. L’utilizzo dei colori, come il rosso rubino, accentua la carica emotiva e la sensazione di vulnerabilità mista a un’ironia amaramente consapevole.
Il ritornello: un eco di abitudini e contraddizioni
Nel ritornello, il testo assume una dimensione quasi ipnotica con il ripetersi di “Ho perso le solite cose / Con te faccio sempre le nove / Ho dentro le solite botte / Ma le sentiamo solo io e te”. Qui emerge un senso di routine distruttiva e di complicita ambivalente.
- “Ho perso le solite cose”: questo verso può essere letto come una riflessione sull’accumulo di esperienze dolorose o sulla perdita di elementi fondamentali della propria identità, ormai banalizzati dalla ripetizione.
- “Con te faccio sempre le nove”: la costante accostamento del tempo – forse riferito a incontri notturni o ad un’abitudine consolidata – rafforza il legame complicato tra chi parla e l’interlocutore.
- “Ho dentro le solite botte”: qui si richiama il concetto di ciclicità delle sofferenze o dei conflitti interiori, un’idea di dolore che si ripresenta in maniera quasi rituale.
- “Ma le sentiamo solo io e te”: infine, questa frase chiude il ritornello con un messaggio di esclusività, di un’esperienza condivisa che, pur nella sua dolorosità, è vissuta in un intimo scambio emotivo.
Il ritornello, per via della sua ripetitività, rispecchia perfettamente la struttura ciclica delle emozioni descritte nel testo, sottolineando come certi comportamenti e ferite non si riescano mai del tutto a estinguere, rimanendo sempre presenti.
La seconda strofa: tra dolore e denuncia
La seconda strofa si tinge di toni ancora più crudi e realistici. Frasi come “Ha distrutto famiglie in un attimo” e “Sei pecora nera, progenie del branco” indicano un ambiente segnato da distruzione e esclusione sociale. Il riferimento alla “famiglia” e all’“odio” sottolinea come le dinamiche relazionali possano diventare il terreno fertile per traumi ed errori intergenerazionali.
In particolare, il verso “Avere terrore e timore all’idea che tuo padre ti abbia abbracciato / Come pensare di amare i tuoi figli / Se nessuno l’amore te l’ha mai insegnato?” è un chiaro interrogativo sul concetto di affetto e educazione emotiva. Qui, il testo denuncia l’incapacità di trasmettere il valore dell’amore in contesti in cui il sentimento stesso viene travisato o addirittura negato. La scelta di parole forti come “terrore” e “timore” evidenzia un clima familiare tossico, dove l’assenza di un amore genuino si traduce in una spirale di violenza e indifferenza.
Il passaggio successivo, “Sopra i tetti della mia città / Parlo troppo, lei ti annoierà”, introduce una dimensione urbana e personale, in cui il protagonista esprime la sua inquietudine e la sua ricerca di un dialogo autentico. Il linguaggio, ricco di immagini contrastanti, evidenzia la tensione tra la necessità di comunicare e il timore del giudizio, una tematica che risuona in chi ha vissuto la sensazione di essere frainteso o abbandonato.
Il potere della ripetizione e il messaggio finale
Il post-ritornello e l’outro riprendono e rafforzano gli elementi introdotti nei versi precedenti, creando una struttura circolare che suggerisce l’impossibilità di sfuggire a certe dinamiche interiori. La ripetizione costante di “solite cose” non è solo un richiamo a comportamenti abituali, ma anche una sorta di mantra che incapsula il dolore, la bellezza e l’ambiguità della vita quotidiana.
L’immagine che chiude il brano, ripresa dall’inizio – “Apriti che sei una finestra chiusa sul mare / Ho il tuo respiro intrappolato nelle mie tasche” – rappresenta il ritorno al punto di partenza, un invito a guardare dentro di sé e a confrontarsi con quella parte di noi che, pur essendo imprigionata, continua a offrire spunti di riflessione e crescita personale.
Riflessioni finali
Centomilacarie ci regala un testo denso di significato e ricco di spunti interpretativi, dove ogni verso si apre a diverse letture e possibili connessioni con esperienze reali e sentimenti universali. La maestria con cui l’artista utilizza metafore e simboli rende “solite cose” un brano che va oltre la mera espressione musicale, diventando un vero e proprio specchio dell’animo umano.
L’analisi del testo ci porta a riflettere su temi come la solitudine, il conflitto interiore e l’impossibilità di sfuggire a schemi comportamentali ormai consolidati. La voce narrante, con toni sia intimi che denunciatari, ci accompagna in un viaggio attraverso le contraddizioni della vita, in cui la bellezza si mescola al dolore e la speranza al rassegnarsi. È un invito a guardare oltre la superficie, a scoprire la complessità di ogni emozione e a riconoscere nelle “solite cose” il riflesso di una realtà in cui, nonostante tutto, c’è sempre spazio per un cambio.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi: ti rispecchi in queste parole? Condividi le tue riflessioni e il tuo punto di vista nei commenti, perché ogni opinione è preziosa e può arricchire ulteriormente questo dialogo musicale.
Il testo di Solite Cose
[Strofa 1]
Apriti che sei una finestra chiusa sul mare
Ho il tuo respiro intrappolato nelle mie tasche
I soliti tagli agli zigomi rossi rubino
Rubo la mia voce, indossala come un vestito
Fai che il momento più corto duri un infinito
Il mio dito è cucito, il tuo cuore è più un castigo
Non so se mi sveglierò ancora a dormire in stazione con tutti i fratelli
Che coprono spalle indifese da padri che sputano odio, proteggi
Reggi i peccati del mondo, che nessuno possa salvarmi
Ti proteggo dai diavoli con i coltelli, non dire a nessuno mai come difendi
[Ritornello]
Ho perso le solite cose
Con te faccio sempre le nove
Ho dentro le solite botte
Ma le sentiamo solo io e te
Ho perso le solite cose
Con te faccio sempre le nove
Ho dentro le solite botte
Ma le sentiamo solo io e te
[Strofa 2]
Ha distrutto famiglie in un attimo
Sei pecora nera, progenie del branco
Figli distratti dall’odio, nascosti dall’ombra di un tavolo
Avere terrore e timore all’idea che tuo padre ti abbia abbracciato
Come pensare di amare i tuoi figli
Se nessuno l’amore te l’ha mai insegnato?
Sopra i tetti della mia città
Parlo troppo, lei ti annoierà
Rubo grida per sentir le mie
Tu baciami, rapiscimi o silenzio
[Ritornello]
Ho perso le solite cose
Con te faccio sempre le nove
Ho dentro le solite botte
Ma le sentiamo solo io e te
Ho perso le solite cose
Con te faccio sempre le nove
Ho dentro le solite botte
Ma le sentiamo solo io e te
[Post-Ritornello]
Solite cose, solite cose
Solite cose, solite cose
Solite cose, solite cose
Solite cose, solite cose
[Outro]
Apriti che sei una finestra chiusa sul mare
Ho il tuo respiro intrappolato nelle mie tasche