L’attore di “Top Gun”, “The Doors” e “Batman Forever” si è spento a 65 anni dopo una battaglia contro la polmonite.
Val Kilmer, l’attore dalla formazione Juilliard e dal volto da perfetto protagonista hollywoodiano, ci ha lasciati. E cavolo, fa un certo effetto scriverlo. La notizia, confermata dalla figlia Mercedes al New York Times, mi ha colpito come un treno in corsa. Aveva solo 65 anni e se n’è andato dopo aver combattuto contro la polmonite. Ma diciamocelo, la vera battaglia di Kilmer era iniziata anni prima, nel 2015, quando gli venne diagnosticato quel maledetto cancro alla gola che compromise irrimediabilmente le sue corde vocali.
E pensare che quella voce… Mamma mia, l’aveva usata magnificamente! Plasmandola per interpretare personaggi che ancora oggi mi fanno venire la pelle d’oca – penso a quel Jim Morrison in “The Doors” di Oliver Stone, a Doc Holliday in “Tombstone” con quel suo accento del sud impossibile da dimenticare. Val non è stato solo un bel volto di Hollywood, ma molto di più. Ha rappresentato una specie ormai quasi estinta: l’attore-camaleonte che se ne fregava delle convenzioni, capace di scegliere ruoli che andavano oltre la sua bellezza fisica, a volte persino sabotando deliberatamente la propria carriera mainstream. Un po’ come faceva Pacino nei primi anni, ma con meno fortuna nel lungo periodo.
Lo ricordiamo tutti come l’arrogante Iceman in “Top Gun”, con quel sorriso beffardo rivolto a Tom Cruise che, ammettiamolo, ci ha fatto venire voglia di tirargli un pugno. Ma se scavi un po’ più a fondo – e io l’ho fatto, fidati – scopri un attore che negli anni ’80 si divertiva con commedie come “Top Secret!” e “Real Genius” prima di esplodere definitivamente. Dal fantasy “Willow” (un film sottovalutatissimo, secondo me) al noir “Heat – La sfida” di Michael Mann, fino a quel disastro clamoroso de “L’isola perduta” con Marlon Brando, Kilmer non ha mai avuto paura di rischiare, di cambiare pelle, di reinventarsi.
Ti confesso che ho sempre avuto un debole per questi attori un po’ fuori dagli schemi. E forse proprio questo approccio lo ha reso tanto amato dal pubblico quanto osteggiato dall’industria, che lo ha spesso etichettato come “difficile”. Ma chi è veramente “facile” quando si tratta di arte?
L’ascesa di un talento anticonformista
Gli esordi di Kilmer non sono stati quelli del classico divo. Niente parti da belloccio in film teen, niente ruoli stereotipati. Dopo una solida formazione alla prestigiosa Juilliard School di New York (sai, quella dove studiarono anche Robin Williams e Kevin Spacey), debutta al cinema con “Top Secret!” (1984), una parodia dei film di spionaggio dove già dimostra un notevole senso del timing comico. Ho rivisto quel film l’altro giorno e, nonostante i quasi 40 anni sulle spalle, alcune gag funzionano ancora da paura!
Segue “Real Genius” (1985), altra commedia che gli permette di affinare le sue capacità, ma è con “Top Gun” (1986) che il mondo inizia davvero a notarlo. Il ruolo di Tom “Iceman” Kazansky lo catapulta nell’olimpo delle giovani star, e qualsiasi altro attore avrebbe cavalcato quell’onda facendo altri dieci film d’azione uno dietro l’altro. Ma Kilmer no.
Opta invece per “Willow” (1988), fantasy diretto da Ron Howard dove interpreta Madmartigan, un guerriero dalla dubbia moralità che conquista il pubblico grazie al suo carisma. Ricordo ancora quando lo vidi al cinema da ragazzino, rimasi incantato da quel personaggio che iniziava come un furfante e finiva come un eroe, ma senza mai perdere il suo sarcasmo.
Ma è con “The Doors” (1991) che Kilmer compie quello che io chiamo il “salto quantico” della sua carriera. La sua interpretazione di Jim Morrison è semplicemente strabiliante dal punto di vista mimetico. Cristo santo, non si limita a imitare il cantante: ne assorbe i manierismi, la voce, persino quell’inquietudine esistenziale che lo caratterizzava. Stone rimane così colpito che utilizza la voce di Kilmer nelle parti cantate invece di ricorrere alle registrazioni originali. Una performance che ancora oggi, se la rivedete, vi lascerà a bocca aperta.
Il Doc Holliday che non dimenticherai mai
“I’m your huckleberry”. Questa frase, pronunciata dal suo Doc Holliday in “Tombstone” (1993), è diventata talmente iconica che Kilmer stesso racconta di sentirsela ripetere ogni volta che attraversa un aeroporto. E lo capisco benissimo, perché l’ho fatto anch’io quando l’ho incontrato a una convention nel 2016 (sì, sono quel tipo di nerd). La chiave del personaggio, come ha rivelato l’attore in un’intervista che conservo gelosamente, fu trovare quell’accento del sud, “un dialetto che non esisteva più”.
Lavorando con il coach Tim Monich, Kilmer costruisce un personaggio memorabile, un uomo malato di tubercolosi ma dal fascino magnetico, un killer gentiluomo dall’eloquio raffinato e dallo sguardo febbricitante. È uno dei personaggi secondari più indimenticabili della storia del western moderno, e pensare che è in scena per poco tempo rispetto ai protagonisti! Eppure, diamine, è lui che ti rimane impresso.
Il Batman che poteva essere e non fu
Quando Joel Schumacher lo scelse per sostituire Michael Keaton in “Batman Forever” (1995), ricordo l’eccitazione tra i fan. Kilmer sperava di poter dare una svolta “radicale” all’Uomo Pipistrello, e noi con lui. Ma presto si scontrò con la dura realtà: “La trappola era il costume”, ha dichiarato in seguito. Passare ore chiuso in quella tuta di gommapiuma, con una maschera che copriva la maggior parte del volto, frustrava qualsiasi velleità artistica.
Il film fu un successo commerciale ma venne accolto tiepidamente dalla critica (e da molti fan, me compreso) e Kilmer decise di non tornare per il sequel. Una scelta coraggiosa, ammettiamolo, in un’epoca in cui rinunciare a un franchise di successo poteva significare l’ostracismo da parte degli studios. Non avevo capito all’epoca quella decisione, ma col senno di poi… beh, ha evitato di partecipare a “Batman & Robin”, quindi forse aveva ragione lui!
Il disastro de “L’isola perduta”
Nello stesso periodo arrivò quello che molti considerano uno dei set più disastrosi della storia di Hollywood: “L’isola perduta” (1996), adattamento del romanzo di H.G. Wells “L’isola del dottor Moreau”. La lavorazione in Australia fu un incubo: il regista originale venne sostituito, Marlon Brando si presentava sul set truccato come un kabuki e con idee sempre più bizzarre, e Kilmer venne etichettato come elemento problematico.
“Sono stato incolpato di aver rovinato il film, anche se il mio personaggio muore a due terzi della storia”, ha raccontato in seguito con quella punta di amarezza che lo ha sempre contraddistinto. “E il film è altrettanto brutto quando non ci sono io”. Una battuta caustica che nasconde una verità: Hollywood aveva trovato in lui il capro espiatorio perfetto.
Ho visto quel film almeno tre volte (masochista? Forse, ma sono un appassionato di film-catastrofe produttivi) e vi assicuro che i problemi vanno ben oltre la presunta difficoltà di Kilmer sul set.
Gli ultimi anni e la malattia
Nel 2015 arriva la diagnosi di cancro alla gola, e un intervento chirurgico danneggia irrimediabilmente le sue corde vocali. Parlare diventa difficile, recitare quasi impossibile. Eppure Kilmer non si arrende, e in qualche modo questa resilienza me lo ha fatto apprezzare ancora di più.
Prima della malattia si era dedicato anima e corpo a “Citizen Twain”, un one-man show che lo vedeva trasformato – con tanto di parrucca bianca e baffi folti – nell’iconico scrittore americano Mark Twain. Non solo recitava, ma aveva anche scritto e diretto lo spettacolo, portandolo successivamente in tour per il paese in versione filmata. Un progetto personale che dimostrava ancora una volta la sua voglia di andare oltre i confini del cinema mainstream.
Il documentario “Val” e il ritorno in “Top Gun: Maverick”
Nel 2021 si apre finalmente al pubblico con il documentario “Val”, dove racconta la sua vita e la lotta contro la malattia. Un’opera che Deadline ha definito “un’esaltante, onesta e cruda visione della vita di un attore, con tutte le prove e le tribolazioni che accompagnano una carriera di 40 anni”. L’ho visto in una sala semivuota, e ti confesso che alla fine mi sono commosso come un bambino.
E poi arriva il commovente epilogo: il ritorno nei panni di Iceman per “Top Gun: Maverick” (2022). Una singola scena insieme a Tom Cruise, potente, emozionante, capace di fornire un centro emotivo all’intero film. Lo stesso Cruise ha raccontato: “Stavo piangendo, mi sono emozionato… È un attore così potente che è tornato istantaneamente a essere quel personaggio”. E per una volta, sono d’accordo con Cruise al 100%.
L’eredità di un attore fuori dal coro
Parlando delle sue scelte di carriera non convenzionali, Kilmer una volta ha detto: “Non saprei ciò che so oggi spiritualmente se non avessi voltato le spalle al successo così spesso. Ho fatto il mio ‘tempo nel deserto’ in modo molto serio, e oggi so chi sono, e posso guardare qualsiasi uomo sulla terra, in faccia, con amore, empatia e perdono”. Parole che rileggendole oggi assumono un significato quasi profetico.
Val Kilmer lascia un’eredità complessa: quella di un attore che ha sempre privilegiato l’arte rispetto alla fama, anche quando questo significava rinunciare a ruoli redditizi o mettersi contro i poteri forti di Hollywood. Un ribelle con una causa, la ricerca della verità artistica ad ogni costo. In un’epoca di attori intercambiabili e personalità costruite a tavolino dai PR, uno così ci mancherà terribilmente.
E tu, quale interpretazione di Kilmer ti ha colpito di più? Sei cresciuto con il suo Batman, il suo Iceman o il suo Jim Morrison? Raccontaci nei commenti il tuo ricordo più vivido di questo straordinario artista che ci ha lasciato troppo presto. E se per caso non hai mai visto “Tombstone” o “The Doors”, beh, sai cosa fare questo weekend!