The Six Triple Eight, diretto da Tyler Perry, promette di portare sullo schermo una storia di eroismo e resistenza poco conosciuta: quella delle donne della 6888th Central Postal Directory Battalion, il primo battaglione interamente composto da donne nere durante la Seconda Guerra Mondiale. È una storia che grida di essere raccontata, un’opportunità per dare voce a figure dimenticate dalla narrativa dominante. Ma, ahimè, il film si perde in uno stile melodrammatico e una regia che fatica a rendere giustizia al cuore di questa vicenda.
Una storia potente, ma un’esecuzione debole
La trama di The Six Triple Eight parte con grandi ambizioni. Perry ci introduce nel 1943 a San Pietro, in Italia, con una sequenza di battaglia che dovrebbe catturare lo spettatore. Un soldato bianco raccoglie una lettera insanguinata da un pilota morente, lettera che rimarrà dimenticata in un magazzino postale per anni. Da qui, la narrazione salta al 1942, a Bloomfield, Pennsylvania, dove Lena Derriecott King (interpretata da Ebony Obsidian) saluta il suo fidanzato ebreo Abram David (Gregg Sulkin). Quando David muore improvvisamente in guerra, Lena si arruola nell’esercito, trovandosi sotto il comando della determinata Maggiore Charity Adams (una Kerry Washington grintosa ma poco sfumata).
Sebbene la trama prometta di intrecciare la storia di Lena con quella di Adams in modo significativo, il risultato è disordinato. La narrazione salta tra momenti personali e grandi tematiche sociali senza una coesione chiara, lasciando lo spettatore con la sensazione di essere in balia di una sceneggiatura troppo frammentata.
Dialoghi che suonano vuoti
Uno dei punti deboli del film è il suo dialogo eccessivamente esplicito. Perry è noto per uno stile che rende esplicite le emozioni dei suoi personaggi, spesso con un effetto emotivo potente. Ma qui, questa caratteristica si trasforma in un limite. Adams dovrebbe incarnare un’autorità inflessibile e ispiratrice, ma i suoi discorsi pomposi raramente lasciano intravedere la sua umanità. La relazione romantica tra Lena e David, invece, è rigida e artificiosa, con conversazioni che sembrano estratte da un romanzo d’altri tempi piuttosto che da una storia del XX secolo.
Questa mancanza di autenticità è evidente anche nei momenti chiave del film. I dialoghi, invece di aggiungere profondità, sembrano progettati per attirare applausi, ma finiscono per apparire troppo costruiti e privi di spontaneità.
Effetti visivi deludenti
Visivamente, The Six Triple Eight fatica a tenere il passo con le aspettative di una produzione moderna. La sequenza iniziale di battaglia, che dovrebbe essere epica, risulta piatta e poco convincente. Gli effetti visivi, dalle esplosioni al fumo, sembrano più adatti a una produzione televisiva a basso budget che a un film di Netflix. Anche i set, sebbene ricchi di dettagli, danno la sensazione di essere artificiali e poco vissuti. Questo toglie realismo a una storia che meriterebbe un trattamento più curato.
Il cuore del film: la sorellanza
Nonostante i suoi difetti, The Six Triple Eight riesce a toccare corde emotive quando si concentra sulla sorellanza tra le protagoniste. I momenti in cui le donne del battaglione si sostengono a vicenda, affrontando razzismo e misoginia, sono tra i più toccanti del film. Personaggi come Johnnie Mae (interpretata da Shanice Shantay) portano un po’ di leggerezza e autenticità, anche se spesso cadono in stereotipi.
Questi momenti di solidarietà femminile sono il vero punto di forza del film. Quando le donne ballano insieme o condividono confidenze, il film riesce a evocare una genuina emozione. È qui che si intravede il potenziale della storia, un potenziale che purtroppo rimane in gran parte inespresso.
Una narrazione problematica
Ciò che rende frustrante The Six Triple Eight è che la storia che racconta è intrinsecamente potente. Le donne nere del battaglione hanno affrontato razzismo deumanizzante, dalla diffidenza dei loro superiori bianchi alla negazione dei diritti basilari. Tuttavia, il film spesso scivola nel melodramma, perdendo l’opportunità di esplorare queste tematiche con la profondità che meritano.
Anche le scene con personaggi storici come Eleanor Roosevelt (Susan Sarandon) e Mary McLeod Bethune (Oprah Winfrey) sembrano superficiali, utilizzate più per aggiungere prestigio che per arricchire la narrazione. Questo lascia un senso di occasione mancata: la possibilità di approfondire l’impatto di queste figure viene sacrificata in favore di discorsi che, pur benintenzionati, suonano vuoti.
Conclusione: un’occasione sprecata
The Six Triple Eight di Tyler Perry è un film che ha il cuore al posto giusto, ma non riesce a tradurre questa intenzione in un’esperienza cinematografica memorabile. Nonostante momenti di autentica emozione e un messaggio importante, il film è appesantito da dialoghi poco ispirati, effetti visivi deludenti e una narrazione frammentata. La storia di queste donne merita di essere raccontata, ma forse da una prospettiva più incisiva, magari proprio da una regista nera che potrebbe portare una sensibilità più autentica a questa vicenda.
Se siete curiosi di scoprire una parte dimenticata della storia americana, The Six Triple Eight potrebbe valere una visione. Ma se cercate un film che unisca potenza emotiva e realizzazione tecnica, potreste rimanere delusi.
E voi? Avete visto il film? Pensate che Perry abbia fatto un buon lavoro nel portare alla luce questa storia o credete che ci fosse spazio per un approccio più autentico? Fatemelo sapere nei commenti!
La Recensione
The Six Triple Eight
The Six Triple Eight emoziona con momenti di sorellanza, ma è penalizzato da effetti visivi scadenti e una narrazione frammentata che ne limita l'impatto.
PRO
- Racconta una storia dimenticata di coraggio e resilienza femminile.
- Offre momenti toccanti di sorellanza e solidarietà tra le protagoniste.
CONTRO
- Effetti visivi deludenti e una narrazione frammentata.
- Dialoghi eccessivamente espliciti che sacrificano l'autenticità dei personaggi.