Oggi raccontiamo Un Amore a Copenhagen, il nuovo film su Netflix che si propone di raccontare, in modo crudo e senza fronzoli, le difficoltà di una relazione moderna in cui il desiderio di costruire una famiglia si scontra con le insidie dell’infertilità. E ti dico subito: è un film che ti trascina in una corsa emotiva – una specie di rollercoaster che, se da un lato ti fa ridere per le sue assurdità, dall’altro ti lascia una sensazione di stanchezza emotiva che non ti consente di respirare.
Un inizio che promette e poi ti svuota
Il film si apre con una premessa che, all’apparenza, sembra carica di promesse: Mia, una scrittrice di successo, è ancora scossa dal successo del suo libro “Tour De Force”, che racconta le difficoltà di essere una donna single. A 30 anni, il suo percorso nel mondo degli appuntamenti è diventato un’esperienza condivisa da moltissime donne, grazie al suo stile di scrittura crudo e diretto. In un momento di pura audacia – e, diciamolo, un po’ disperata – Mia decide di dare una chance a Emil, un uomo più anziano che ha già due figli. Inizialmente, lei non vede una via d’uscita, ma con il passare del tempo la loro relazione si sviluppa in modo inaspettato, tanto che Mia improvvisamente desidera avere figli anche lei.
E qui, ragazzi, parte il cuore della vicenda: quando la coppia si scontra con l’impossibilità di concepire, Mia comincia a pensare di essere lei il problema. La decisione di sottoporsi a trattamenti di fecondazione in vitro diventa, quindi, il motore della storia. Il film si presenta come una sorta di diario quotidiano di una coppia, un invito a fare da “voyeurs” nella vita di un duo molto cool – in questo caso, un affresco danese che si trasforma in una moderna love story.
La narrazione: un viaggio emotivo tra alti e bassi
Praticamente, il film si sviluppa come un’odissea emotiva. All’inizio, il tono è leggero e persino divertente: c’è una parte in cui la chimica tra Mia e Emil è così palpabile che ti sembra di vivere un romanzo romantico da commedia. La loro relazione si sviluppa con momenti di intimità e scene di sesso che, diciamolo, sono piuttosto realistiche e ben girate – non quelle esagerate che ti fanno alzare gli occhi al cielo, ma vere interazioni piene di calore. Tuttavia, dopo un primo atto divertente e spensierato, il film cambia registro.
La seconda e la terza parte diventano un vero e proprio calvario da guardare: le difficoltà di concepire, le trattative emotive e il senso di fallimento che si insinua in ogni dialogo diventano quasi insopportabili. Quello che ti aspettavi, cioè un’esplorazione approfondita dei personaggi e delle loro vite, invece si trasforma in un susseguirsi di scene che sembrano molto forzate. Il problema principale è che, dopo aver visto il film, ti ritrovi a sapere solo che Mia è una scrittrice e Emil è un artista; al di là di questo, non c’è un vero approfondimento delle loro personalità.
È come se il grande tema – il desiderio di avere figli e le difficoltà legate all’infertilità – venisse introdotto all’improvviso, senza aver costruito un background solido per i personaggi. Ti rimane la sensazione che, mentre si racconta la storia, ci sia una mancanza di empatia e di approfondimento, e questo ti lascia, diciamo, un po’ insoddisfatto.
Personaggi: tra cliché e momenti autentici
Non posso negare che la scelta degli attori e la loro interpretazione abbiano dei punti forti. Mia è interpretata in modo convincente da un’attrice che riesce a rendere palpabile la sua frustrazione e la sua vulnerabilità; la sua lotta interiore, il senso di isolamento e il desiderio di costruire una famiglia sono resi in maniera sincera. D’altro canto, Emil – l’uomo che, nonostante abbia già due figli, riesce a conquistare Mia – appare un po’ troppo perfetto da iniziare, e il suo personaggio rischia di sembrare un archetipo già visto in molte storie d’amore moderne.
Il film tenta di mostrare la quotidianità della loro relazione, ma, purtroppo, fallisce nel costruire un legame emotivo profondo tra i due. La chimica è presente, sì, ma il percorso emotivo dei personaggi è trattato in maniera superficiale. Non ti viene mai veramente spiegato cosa spinga Mia a volere un bambino con Emil, se non una sorta di impulso improvviso che sembra mancare di fondamento. È un po’ come se, dopo aver visto una serie di momenti intensi, ti ritrovassi a chiederti: “Ma perché proprio adesso?”.
Ci sono momenti in cui, durante le scene di intimità, si percepisce un leggero distacco, come se i protagonisti fossero più impegnati a recitare che a vivere davvero la loro storia. È una sensazione ambivalente: da un lato, c’è l’ironia e il divertimento di vedere due persone che cercano di superare le loro difficoltà; dall’altro, manca quella profondità che ti fa davvero connettere con i personaggi.
Tecnica e stile: un prodotto ben realizzato ma prevedibile
Dal punto di vista tecnico, Un amore a Copenhagen vanta una regia curata e un montaggio che si sforza di creare una narrazione fluida tra passato e presente. Le inquadrature sono studiate nei minimi dettagli e la colonna sonora, con brani selezionati con cura, aggiunge un’atmosfera che oscilla tra momenti di gioia e momenti di malinconia.
Tuttavia, devo dirti che, sebbene la tecnica sia impeccabile, il prodotto finale risulta troppo convenzionale. I salti temporali, usati per intrecciare i flashback, non offrono nuove prospettive e spesso appaiono come una ripetizione del solito schema narrativo visto in serie come This Is Us. Insomma, il film non osa sperimentare: si limita a utilizzare gli strumenti tipici del genere senza aggiungere quel tocco di originalità che potrebbe renderlo davvero memorabile.
Il ritmo: una corsa in discesa emotiva
Il ritmo del film è un altro aspetto che mi ha fatto riflettere. La prima metà del film è caratterizzata da un ritmo incalzante e da momenti divertenti che ti fanno sorridere – è come se fossi un po’ rapito dalla leggerezza della narrazione. Ma poi, quando si entra nella seconda e terza parte, il ritmo cala drasticamente e il film diventa quasi insopportabile da guardare. Le scene che trattano il tema dell’infertilità e le difficoltà di Mia ed Emil nel concepire si trasformano in una vera e propria tortura emotiva: ti sembra di assistere a una lenta agonia, in cui la sofferenza diventa eccessiva e il dolore si protrae per troppo tempo.
È un’esperienza che ti lascia stanco: le risate del primo atto si trasformano in un misto di sconforto e noia, e ti ritrovi a desiderare che le cose cambino, ma senza che la serie riesca a darti una svolta significativa. È un po’ come se, dopo aver percorso un tratto divertente, la strada improvvisamente diventasse un lungo tunnel senza luce.
Criticità: dove il film non riesce a colpire davvero
Non posso non sottolineare alcune criticità di Un amore a Copenhagen. Prima di tutto, la caratterizzazione dei personaggi è superficiale. Dopo aver visto tutto il film, ti ritrovi a sapere poco di più di quanto sai già: Mia è una scrittrice e Emil è un artista, ma questo è tutto. Non c’è un vero approfondimento delle loro personalità o delle loro motivazioni, e questo ti lascia con una sensazione di vuoto. È come se la storia si limitasse a raccontare una serie di eventi senza mai scavare a fondo nelle emozioni dei protagonisti.
Inoltre, il tema della fertilità e dei trattamenti di fecondazione in vitro viene introdotto in maniera brusca. Ti trovi a guardare il film e, improvvisamente, ecco che spunta l’argomento del bambino: non c’è una transizione naturale, ma una svolta narrativa che ti lascia perplesso. Mi dispiace dirlo, ma sembra che il grande problema di Mia ed Emil sia arrivato “da un giorno all’altro”, senza una costruzione emotiva solida che giustifichi questo cambiamento repentino.
Un mix di emozioni: quando il dolore incontra l’ironia
Nonostante tutte le criticità, devo ammettere che Un amore a Copenhagen sa regalare dei momenti genuini. C’è qualcosa di quasi voyeuristico nel seguire la vita quotidiana di una coppia danese, con tutto il suo realismo crudo e, al contempo, la sua capacità di farci sorridere per le situazioni assurde. Le scene di sesso, ad esempio, sono trattate in modo realistico e non eccessivamente coreografato, il che rende la loro bellezza naturale e sincera.
L’ironia emerge soprattutto nel modo in cui il film rappresenta il cambiamento interiore di Mia: da donna che non vedeva un futuro con Emil, a persona che improvvisamente desidera un figlio. È un passaggio che, sebbene mal costruito, riesce a strappare qualche risata nervosa, perché ti sembra che tutto accada troppo velocemente, quasi come se la vita non potesse essere spiegata con poche battute.
Conclusioni: Una storia moderna senza troppe sorprese
Alla fine, Un amore a Copenhagen è un film che, pur con le sue buone intenzioni, non riesce a rompere i canoni del tipico dramma d’amore moderno. È una storia che, con i suoi flashback, i voice memos e una narrazione che si sforza di intrecciare passato e presente, ti regala momenti di tenerezza, ma resta, nel complesso, prevedibile e, diciamolo, un po’ forzata.
Il film, con la sua critica al mondo dei rapporti moderni e alla pressione di dover essere sempre perfetti, offre uno spunto interessante per riflettere su come la società odierna plasmi il nostro modo di vivere l’amore. Tuttavia, questa analisi resta in superficie, e non c’è mai quel colpo di scena, quella rivelazione sconvolgente, che possa davvero scuoterti. Insomma, se cerchi una storia che ti sorprenda continuamente, potresti rimanere un po’ deluso.
Però, se ti piace una narrazione che ti faccia pensare – anche se in modo prevedibile – e che, con la sua combinazione di ironia e dolore, ti regali momenti di sincera riflessione, Un amore a Copenhagen potrebbe fare al caso tuo. Eduardo Scarpetta e il resto del cast offrono interpretazioni solide, anche se la profondità dei personaggi rimane un po’ superficiale. È un film che sa intrattenere, ma che non va oltre il formato standard dei drammi moderni.
E tu, cosa ne pensi? Lascia un commento qui sotto e raccontami la tua esperienza: ti ha colpito la sincerità della narrazione o hai trovato che mancasse qualcosa per rendere la storia veramente coinvolgente? La tua opinione è fondamentale!
La Recensione
Un amore a Copenhagen
Con una narrazione che alterna il presente malinconico ai ricordi passati, Un amore a Copenhagen offre un dramma d’amore autentico, seppur con personaggi poco sviluppati e transizioni brusche.
PRO
- Riflessioni su amore e infelicità moderna.
CONTRO
- La trama è troppo lineare e scontata.
- Nessun colpo di scena veramente sorprendente.