Focus su Happy Days – la vera storia del mostro di Bari

Un'immagine del luogo del delitto avvenuto a Bari nel 1956

Al via le riprese di Happy Days – la vera storia del mostro di Bari, che racconterà un evento delittuoso realmente accaduto nel dopoguerra, ovvero la tragica storia della prima strage familiare avvenuta in Italia negli anni cinquanta. Un efferato omicidio che, ai tempi, scosse nel profondo il nostro Paese.

Il film, le cui riprese sono iniziate nelle ultime ore, vede l’esordio alla regia di Pierluigi Ferrandini – che firma anche la sceneggiatura -, attore, sceneggiatore e regista barese, che ha deciso di raccontare le vicende narrate nel romanzo Percoco, scritto dall’autore Marcello Introna (Castigo di Dio) edito dalla casa editrice Mondadori nel 2016.

Un crimine, quello commesso da Franco Percoco, sviluppato nel romanzo e nel film, che all’epoca sconvolse l’opinione pubblica e che è stato per anni volutamente dimenticato. Una storia cruda, dai forti risvolti psicologici che il regista ha scelto di raccontare nel suo film, partendo dal romanzo, per poi concentrare il racconto in un preciso e più ristretto arco temporale: i dieci giorni immediatamente successivi al crimine.

Quei “giorni felici e dannati”, così come sono stati definiti dallo stesso assassino, in cui Franco Percoco riuscirà a risultare ancora il bravo ragazzo di sempre, finalmente libero di divertirsi in assenza dei genitori. Una rilettura, quindi, precisa dal romanzo da cui il film è stato tratto.

I commenti dell’autore del libro e regista di Happy Days – la vera storia del mostro di Bari

Queste le parole di Pierluigi Ferrandini, il egista, a proposito del suo film Happy Days – la vera storia del mostro di Bari:

“La scelta di soffermarmi sui giorni successivi al misfatto, a mio avviso, potenzia l’effetto del nero in essa contenuto offrendomi la possibilità̀ di presentare prima il bravo ragazzo e di rivelare successivamente il mostro che si cela nei meandri della sua mente. A partire quindi dai giorni felici di Franco, il film può essere inteso anche come il vero racconto dei suoi ripetuti e strenui tentativi di tenere in piedi un castello dorato, fondato però su un crimine ignominioso. Franco proverà a vivere le mirabili gioie del suo tempo, quello del boom economico appena esploso a Bari, ma qualcosa lo riporterà continuamente ai miserabili momenti che hanno preceduto questo idillio, rivelandoci lentamente l’esistenza di un altro piano di verità. L’involucro di felicità che avvolge Franco contiene in realtà un abisso di terrore che non gli permetterà più di chiudere gli occhi, neanche quando il sonno graverà sulle sue palpebre.”

Gli fa eco Marcello Introna, autore del libro da cui il film sarà tratto:

“Non ho mai messo limiti alla Provvidenza eppure sarà difficile possa ripetersi ciò che è seguito alla pubblicazione di “Percoco”, il mio romanzo d’esordio. La vicenda del protagonista è diventata la tessera centrale di un puzzle, una volontà indipendente che si è ricomposta attorno alla determinazione di persone che hanno reso reale il sogno di molti scrittori: vedere il proprio lavoro tradotto nel linguaggio delle immagini.”

E, ancora, interviene anche Cesare Fragnelli (Oltre il mare, L’oro rosso, Pesci o Puttane), ovvero il produttore del film, di cui va molto fiero:

“Una nuova ‘altra’ storia si aggiunge al cantiere di Altre Storie, un progetto molto ambizioso a cui siamo molto felici di lavorare: un noir che si attiene ai fatti realmente accaduti, ma allo stesso tempo vuole esplorare la psicologia del protagonista. Un film complesso da realizzare per la dettagliata ricostruzione storica e per le molteplici esigenze produttive. Un film che cerca il territorio internazionale sin dalla sua gestazione. Grazie a Rai Cinema e alla Regione Puglia | Apulia Film Commission per aver creduto in questo progetto già dai suoi albori”.

Le riprese del film, una produzione Altre Storie con Rai Cinema, prodotto da Cesare Fragnelli, con il contributo della Regione Puglia|Apulia Film Commission, dureranno oltre le sei settimane e si svolgeranno tra Roma, Monterotondo, Ischia, Bari e i loro dintorni.

La vera storia di Franco Percoco

Franco Percoco, nato a Bari il 5 marzo del 1930 e morto a Torino il 14 febbraio del 2001, nella notte tra il 20 e il 21 maggio del 1956, a Bari, ha sterminato la sua famiglia – padre, madre e fratello – con un coltello da cucina. È stato il primo stragista familiare italiano del Novecento. Ha convissuto quasi 12 giorni con i cadaveri dei suoi genitori e di suo fratello in casa; nessun omicida aveva mai convissuto così a lungo con le sue vittime fino a quel momento.

Franco Percoco veniva da una famiglia moderatamente agiata. Il padre Vincenzo era un ispettore delle ferrovie, il fratello maggiore Vittorio era un cleptomane e Giulio, suo fratello minore, aveva la sindrome di Down, e sua madre Eresvida era una casalinga. Abitavano a Bari in via Celentano 12, una via del centro città.

All’età di 13 anni Franco Percoco venne arrestato insieme a suo fratello Vittorio, di 18 anni, i due si erano introdotti in un appartamento di Bari creando una scaletta di fil di ferro con cui si erano arrampicati sul balcone dell’abitazione e avevano rotto la finestra. Avevano rubato dei fichi e una bottiglia di spumante. Il commissario capo della polizia di Bari dopo averli arrestati spiegò al padre dei fratelli che Vittorio aveva accumulato troppi precedenti, e venne infatti condannato a 8 anni di reclusione. Franco, invece, avendo meno di 14 anni non era perseguibile e fu libero di tornare a casa con suo padre.

Nel 1947, all’età di 17 anni, Franco Percoco studiava al liceo scientifico Scacchi di Bari, dove alla fine dell’anno fu bocciato. Dai 18 anni in poi andò spesso a trovare suo fratello Vittorio in carcere, per portargli sigarette e biancheria pulita, mentre il fratello in cambio gli dava i soldi che guadagnava in prigione. Nel 1948 l’uomo si lamentò spesso con i genitori per i loro comportamenti oppressivi e perché con un fratello in carcere e l’altro down sosteneva di sentirsi l’unico “normale” della famiglia. Iniziò anche a essere soprannominato “Franco il turco” da amici e dai vicini di casa per i suoi comportamenti indecifrabili e apparentemente privi di senso.

All’una e un quarto della notte tra il 26 e il 27 maggio 1956 Franco era a casa sua, completamente ubriaco dopo aver bevuto una bottiglia di cognac trovata nella dispensa di casa. Prese un coltello da cucina ed entrò nella camera dei suoi genitori che dormivano. Per prima cosa accoltellò al collo sua madre, che dormiva vicino alla finestra. Nonostante fosse morta già alla prima le diede altre 7 coltellate. Subito dopo attaccò suo padre, che si coprì il corpo con le braccia e fu quindi colpito agli avambracci dalle prime tre coltellate, mentre la quarta gli trafisse il cuore. Accoltellò il padre altre 13 volte finché il manico del coltello non si staccò dall’anima di ferro.

Nell’azione, Franco Percoco si era ferito il pollice, l’indice e il mignolo della mano destra. Andò in cucina e tamponò le sue ferite, avvolgendo uno straccio attorno all’anima del coltello. Sentì la voce del fratello Giulio, in camera sua, che si era svegliato per i rumori. Dopo averlo rassicurato, Franco andò da Giulio e lo uccise con 38 coltellate.

Intorno alle tre di notte Franco Percoco si addormentò sul suo letto dopo aver bevuto una birra, per poi svegliarsi alle cinque e spostare il materasso di Giulio, col suo corpo sopra, in camera dei suoi genitori trascinandolo e ponendolo ai piedi del letto matrimoniale. Dopo spostò il corpo del padre facendo sbattere la testa in vari punti e causando al cadavere lesioni ulteriori. Dato che durante lo spostamento il corpo continuava a incastrarsi da diverse parti, ne disarticolò i femori dalle cavità del bacino flettendoli indietro, contro natura, facendo ritrovare il cadavere col bacino verso l’alto. Lo ripiegò in due metà, con il capo tra i piedi e lo avvolse in una coperta legata poi con la cinta di una vestaglia. Infine lo rinchiuse in un armadio a muro dopo avergli sfilato la fede dal dito e aver nascosto il corpo con valigie e coperte. Sfilò la fede anche alla madre, ma sul suo corpo non infierì, limitandosi a coprirlo con uno dei materassi su cui dormiva il padre. Provò a chiuderle gli occhi ma non ci riuscì: la madre era morta con il braccio destro alzato e la bocca aperta. Poi con la coperta in lana dei suoi genitori coprì il corpo del fratello Giulio.

Prese oggetti d’oro, centomila lire in contanti, penne stilografiche d’argento, orologi di valore e dei titoli al portatore per un valore complessivo di quattro milioni di lire. Portò tutto in camera sua e sigillò la porta della camera dei suoi genitori, passando sulle fessure della porta dei pezzi di ovatta imbevuti di un profumo di sua madre che saldò poi con nastro da imballaggio. Chiuse a chiave la porta e tirò la tenda damascata.

Alle 6 si fece una doccia per ripulirsi. Mise il pigiama sporco di sangue, il coltello senza manico e alcuni stracci con cui si era pulito in una scatola da scarpe, che mise poi sulla veranda interna della cucina. Con una scopa e una pezza deterse il pavimento di camera sua e la striscia di sangue che si era formata trascinando Giulio. Alle 6 e 45 finì di pulire. Preparò il caffè e fumò una sigaretta. Subito dopo preparò i panini al salame per la gita con Massimo e Tina. Quella stessa notte il fratello di Franco, Vittorio Percoco sostenne di aver sognato Franco che sterminava la famiglia con un coltello; lo raccontò la mattina seguente ai compagni di cella.

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