La recensione di “Mostro – La storia di Jeffrey Dahmer”, miniserie ora disponibile su Netflix

Mostro - La storia di Jeffrey Dahmer miniserie

Chissà cos’è che attira Ryan Murphy verso i personaggi mostruosi. O, se non sono mostri, sicuramente possono essere definiti come persone incredibilmente imperfette. Brooke McQueen, Andrew Cunanan, Rachel Berry, Ratched, Payton Hobart, OJ Simpson, Henry Willson e ora Jeffrey Dahmer. La lista è ampia. Ryan Murphy ha dichiarato la sua omosessualità e può essere che riesca a trovare conforto negli emarginati, alienati e indesiderati.

In “Mostro – La storia di Jeffrey Dahmer” Murphy prova a raccontare una drammatizzazione di Dahmer (Evan Peters) e della sua vita.

Lo fa:

Molte di queste tematiche vengono ben affrontate mentre altre meno, almeno fino al sesto episodio dello serie “Ridotto al Silenzio”. La prima metà della serie si snoda nel tentativo di patologizzare Dahmer, rivisitando la sua vita familiare, gli omicidi e la mancanza di conseguenze significative per i primi segni di psicopatia. Nel sesto episodio, probabilmente il migliore della stagione, i creatori hanno deciso di focalizzarsi su una delle vittime di Dahmer, Tony Hughes (Rodney Burnford), che era sordo e gay. È uno dei pochi momenti di inventiva della serie in quanto il suono scompare e il dialogo (firmato e parlato) lo ritroviamo nei sottotitoli. Ma è chiaro che Tony è una specie di oggetto dimenticato per la serie, una strumentalizzazione della presunta capacità della serie di reindirizzare l’attenzione sulle vittime e su come il sistema giudiziario in realtà non sia dalla parte delle persone emarginate. Sinceramente mi sarebbe piaciuto se i creatori avessero scelto di creare due stagioni raccontando in ogni episodio un personaggio che ha fatto parte della vita di Dahmer. L’episodio 6 è una delizia e, probabilmente, uno stile del genere su tutti gli episodi, avrebbe potuto elevare “Mostro – La storia di Jeffrey Dahmer” come una delle serie crime più belle su Netflix.

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Glenda è probabilmente un altro grande personaggio di “Mostro – La storia di Jeffrey Dahmer”. In una scena guarda un notiziario che parla delle brutalità della polizia e, questo legame con la giustizia, segnerà la sua presenza in questa serie. Con la sua voce roca e piena di emozioni crude, Nash sfrutta al meglio il tempo che gli viene concesso sullo schermo. La sua performance è strutturata, drammatica e segnata dal dolore di qualcuno combattuto tra il credere che avrebbe potuto fare di più e il sapere che il sistema semplicemente non l’ascoltava.

Il protagonista principale della serie “Mostro – La storia di Jeffrey Dahmer” è lo stesso Dahmer. Peters conferisce al personaggio un accento simile a quello del Midwest (località dove si sono svolti i fatti) ed è bravo a rendere credibile questo status di inafferrabilità del killer. Ogni volta che i poliziotti bianchi lo fermano riesce sempre a farla franca anche perché lui è bianco e sembra più un ragazzo stupido che una minaccia. Non parla particolarmente bene e si suppone che l’imbarazzo sia, in momenti diversi, affascinante o spaventoso. Comunque c’è anche un po’ di somiglianza fisica tra Peters e il vero Dahmer:

Peters a sinistra e il vero Dahmer a destra. Credits: Netflix.

Avendo lavorato in più stagioni di American Horror Story, non sorprende che Peters sia stato in grado di incarnare completamente il ruolo di Dahmer. La sua interpretazione dell’assassino è particolarmente spaventosa nelle scene in cui passa da improvvisi attacchi di rabbia a comportamenti minacciosamente calmi.

Dahmer vuole catturare la bellezza e tenerla per sé. Insegue ragazzi e uomini perché sono belli. Il suo primo atto è rubare un manichino d’argento e accarezzarne i lineamenti sintetici cesellati nel suo letto, e continua a ricreare questo scenario in uno stabilimento balneare prima di imparare i trucchi della droga.

Evan Peters offre una performance inquietante e sia Ryan Murphy che Ian Brennan hanno creato una delle loro serie migliori fino ad oggi. È un coraggioso tentativo di dare voce a coloro che sono stati repressi e colpiti dalla mania di Jeff Dahmer. Non sorprende che le conseguenze del suo arresto mettano la polizia e la legge di Milwaukee in cattiva luce poiché la loro grave negligenza ha permesso a Dahmer, un maschio bianco, di evitare sia gli arresti che i diversi gradi di punizione. Glenda Cleveland, che è stata testimone della atrocità di Dahmer come sua vicina, ha condiviso il suo racconto e rivelato anche il numero di tentativi che ha dovuto fare per convincere i responsabili a prestare attenzione ai crimini di Jeff Dahmer.

Si tratta di una bella storia di crimine anche se il finale perde un po’ di interesse. Personalmente ho deciso di dare 6 a “Mostro – La storia di Jeffrey Dahmer”. Che ne pensi? Hai già visto questa serie? Dì la tua attraverso i commenti.

La Recensione

Mostro - La storia di Jeffrey Dahmer

6 Voto

La miniserie "Mostro - La storia di Jeffrey Dahmer" sembra un po' banale sino all'episodio 6. Qui il tono assume una svolta sorprendente e proprio quando pensi che gli eventi che circondano Dahmer stiano diventando sempre più ripetitivi, gli sceneggiatori introducono un elemento di dolcezza nella storia. Nell'episodio sei (intitolato Ridotto al Silenzio, scritto da David McMillan e Janet Mock), ci viene presentato Tony Hughes (interpretato da Rodney Burnford), un personaggio nero, sordo e gay, che incontra Jeff Dahmer nel luogo di caccia preferito di quest'ultimo (un nightclub gay di Milwaukee) e presto vediamo sbocciare una sorta di vera storia d'amore tra i due. Tra i tanti che si sono incrociati con Dahmer, diventa evidente che Tony è l'unico per cui il killer provi davvero qualcosa e mentre resiste alle molteplici tentazioni di drogarlo e ucciderlo, il pubblico inizia a chiedersi se ci fosse spazio per l'amore e la misericordia all'interno della mente di questo serial killer. La miniserie risulta avvincente per la maggior parte degli episodi ma soffre anche di un'eccessiva articolazione nei suoi momenti finali.

PRO

  • Episodio 6 davvero eccelso
  • Glenda è un bel personaggio

CONTRO

  • Fino all'episodio 6 è un po' banale
  • Finale troppo articolato

Recensione

  • Voto 6
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