Baby, il teen drama made in Italy: recensione della nuova serie Netflix

Ludo e Chiara così diverse ma così amiche, legate dal desiderio di evasione da tutti i drammi e i segreti che tutti gli adolescenti possono avere.

Ludo e Chiara durante una serata al locale di Saverio

Baby, la sola ed unica fonte di notizie sulla vita scandalosa dell’élite dei Parioli.

Perché se tutti vedono in Baby una copia di Élite, ultima serie spagnola Netflix, in realtà le sue radici sono ben più lontane: Baby non è altro che Gossip Girl.

Il liceo privato Collodi è la Costance, Manhattan sono i Parioli della Capitale ma soprattutto i protagonisti non sono altro che una trasposizione di quelli newyorkesi.

Le due Baby sono Ludovica (Alice Pagani), bruna, bellissima e bisognosa di amore, come Blair Waldorf, e la sua Serena Van Der Woodsen è Chiara (Benedetta Porcaroli), bionda acqua e sapone con una famiglia problematica.

Ci troviamo davanti un nuovo esperimento: Baby si presenta con sole sei puntate da quaranta minuti, quindi non una puntata pilota, bensì una stagione. Le prima tre puntate sono solo di “presentazione” del mondo raccontato e le ultime tre invece sono l’inizio della vicenda vera e propria. Insomma, una storia che non è appena finita, ma è solo iniziata.

Nonostante le poche puntate, Baby ha già fatto capire cos’è: un teen drama amaro, tutto italiano, con uno stile di regia e di storytelling contemporaneo.

Baby racconta le vicende dei ragazzi del liceo Collodi dei Parioli, ragazzi complicati e amareggiati, con una famiglia con tanti soldi e poca considerazione di loro e la voglia di scappare, in America (come Camilla) o nei locali notturni (come Chiara e Ludovica).

La serie, scritta dal collettivo Grams e diretta da Andrea De Sica e Anna Negri, vede l’impronta della scrittura giovane che con un occhio guarda avanti ma con l’altro punta ancora, giustamente, ai colleghi over: è innegabile notare una regia che vorrebbe omaggiare Paolo Sorrentino e che gioca con le luci dei locali come se fosse Nicholas Refn, e una scrittura legata al mostro sacro che ha consacrata la grande serialità italiana: Gomorra. Perché Saverio (Paolo Calabresi) e Fiore (Giuseppe Maggionon sono altro che la versione romana di Pietro Savastano e Ciro Di Marzio.

Baby ci dice come lo schermo del cellulare e i social stiano avanzando sempre di più nella nostra quotidianità, finendo per farci vedere quello che vedono i nostri personaggi nelle loro storie di Instagram e affidando a questi contenuti la stessa importanza narrativa che avrebbe una normale scena o inquadratura.

La serie apre tante finestre narrative affinché ogni spettatore riesca a immedesimarsi in un personaggio, il problema però è che spesso questi finiscono per essere troppo banalizzati, senza delle vere e proprie particolarità che li rendono umani.

Non sono personaggi tridimensionali, restano coerenti solo con la finzione cinematografica, bidimensionali e prevedibili. Questo forse si rivela l’errore più grave perché parlando di un argomento nuovo, contemporaneo e poco trattato, un errore di scrittura così elementare si fa sentire maggiormente. Non dimentichiamo però che ci troviamo di fronte ad un gruppo di sceneggiatori che si cimenta per la prima volta nella produzione di un audiovisivo e che errori e dimenticanze sono più che leciti visto che a volte i professionisti del mestiere fanno di peggio.

Baby vanta un cast italiano e metà fra esordienti e professionisti che creano un gruppo di personaggi coeso e credibile nei loro ruoli. Sebbene alcuni risultano meno brillanti di altri, la maggioranza degli attori porta sullo schermo un grande talento e capacità interpretativa. Fra i giovanissimi il fiore all’occhiello è Alice Pagani, volto già noto per aver interpretato una velina in Loro di Paolo Sorrentino, seguita da Benedetta Porcaroli (Tutto può succedere), Fabio, il ragazzo omosessuale figlio del preside, interpretato da Brando Pacitto (Braccialetti Rossi) e Damiano il ragazzo del sobborgo romano passato all’alta società perché il padre è diventato ambasciatore, è interpretato da Riccardo Mandolini, un volto tipico del neorealismo.

Invece i big della serie sono Isabella Ferrari che interpreta magistralmente la mamma svampita un po’ volgare ed eterna Peter Pan di Ludovica, Claudia Pandolfi un’atleta repressa che ha perso gli anni della giovinezza, Galatea Ranzi, la mamma di Chiara che predica la perfezione ma il suo mondo crolla di più ogni giorno e il severo preside del Collodi è Tommaso Ragno noto per la recente interpretazione ne Il Miracolo. Infine, il cattivo della storia è Paolo Calabresi (Saverio), il pappone che prende sotto la sua ala Ludo e Chiara.

Baby ti entra nella testa non solo per la storia, i personaggi e i social, ma anche per il sapiente ruolo della musica. Tutti brani già sentiti che conosciamo e che amiamo, come Torna a casa, ultimo singolo dei Maneskin, Cosmo, i The Giornalisti, i Chvrches, e nei momenti di massimo pathos Wasting my young years dei London Grammar, perfettamente coerente con la trama.

Baby è una serie che mette al fuoco tante novità narrative e di regia. Ha sicuramente tanta strada da fare e paure da ignorare affinché possa uscire fuori un prodotto italiano contemporaneo, forte e di successo.

Le premesse ci sono tutte.

La Recensione

Baby

8 Voto

Baby è la nuova serie tv di Netflix, con una sceneggiatura e un regia contemporanea che riscrive il teendrama in chiave italiana

PRO

  • Regia contemporanea
  • Sceneggiatori esordienti
  • Trama innovativa

CONTRO

  • Argomenti poco sviluppati
  • Personaggi bidimensionali

Recensione

  • voto 8
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