La triste storia di Michele Padovano tra carcere ed emarginazione.

La storia di Michele Padovano

L'ex attaccante della Juve Michele Padovano.

Michele Padovano si sfoga: “ Sono stato lasciato solo”.

In questi giorni che anticipano un evento dal valore internazionale dal punto di vista calcistico, qual è la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid, a far notizia è proprio lo sfogo di uno dei protagonisti dell’ultima coppa dalle grandi orecchie conquistata dai bianconeri nel lontano 1996. Parliamo di Michele Padovano, uno degli artefici di quella cavalcata vincente da parte della squadra, all’epoca, allenata da Marcello Lippi. L’attaccante juventino siglò il secondo goal che permise alla Vecchia Signora di sbarazzarsi del Real Madrid nella gara di ritorno dei quarti di finale, così come fu lui a siglare il penultimo penalty nella lotteria dei rigori nella finale di Roma contro l’Ajax.

Il picco più alto della sua carriera professionale fu quello, perché poi gradualmente è iniziato a scendere una profonda eclissi sulla sua vita privata, fino a conoscere la solitudine e il dramma del carcere, dalle accuse di traffico di droga all’emarginazione dal quel mondo dorato di cui faceva parte.

Attraverso le colonne di Repubblica, Padovano afferma con freddezza di essere rimasto solo, aggiungendo: “Ho vinto una Champions, ora nemmeno gli amici mi aiutano”. L’ex attaccante bianconero mostra a pieno la sua attuale condizione di disagio quando dichiara: “Non penso quasi mai a quelle notti del ’96, non ci penso perché la vita mi ha tolto tutto, compreso i ricordi più belli. Ma rifarei ogni cosa, anche se sono stato ingenuo e ho conosciuto gli sciacalli”. Ripercorrendo i motivi giudiziari che lo hanno coinvolto, Padovano racconta: “Mi accusarono di aver finanziato un traffico di droga, invece ho  solo prestato 40 mila euro ad un amico d’infanzia che sarà stato anche un delinquente ma resta un amico. Mi aveva detto che gli servivano per un debito, credevo si fosse comprato un cavallo. Sono in attesa di giudizio da undici anni dopo la condanna di primo grado, ho fatto tre mesi di galera, otto ai domiciliari e cinque con l’obbligo di firma. In cella aspettai sessantasette giorni prima di un interrogatorio: ed è successo ad un innocente”.

Tornando a parlare del mondo del calcio, di quel mondo che gli fece conoscere fama e successo, dichiara di essere rimasto solo, nonostante avesse chiesto aiuto ai suoi ex compagni di squadra, oggi allenatori affermati oppure opinionisti. Tutti loro hanno fatto “spallucce” prendendo tempo o addirittura non rispondendo affatto. Ripercorrendo i mesi trascorsi in carcere, Padovano ricorda le partite organizzate durante l’ora d’aria sul terreno in cemento, in cui componeva le squadre con il suo compagno di cella Bonny.

Ricordando quelle sfide, l’ex attaccante di Genoa e Juventus afferma che ci fossero dei marocchini bravi e talentuosi con la palla tra i piedi. Infine l’affermazione shock che testimonia la sua rabbia mista a frustrazione per quanto riguarda il suo passato da calciatore: “In galera ho conosciuto uomini degni di questo nome, mentre nel calcio il più pulito ha la rogna”.

Questo è l’amaro sfogo di un ex calciatore affermato che probabilmente per scelte di vita sbagliate o frequentazioni discutibili, si trova a vivere una condizione di solitudine, emarginazione, ben lontano da ciò che fu. Sembra un’eternità quel 1996, quella magica notte dell’Olimpico di Roma, la Champions League, il sentirsi campione, idolatrato e ben voluto dai suoi compagni.

Oggi Padovano è un uomo solo che combatte la sua battaglia contro il pregiudizio e con la voglia di un rinnovato inserimento sociale, soprattutto nel mondo del calcio, il suo mondo, dove lasciò impronte importanti come calciatore e dove dimostrò di avere tutte le carte in regola per essere un buon direttore sportivo, come dimostrò nel primo Torino della gestione Cairo. Il futuro non pare sorridergli, dimostrandosi beffardo e cinico a dispetto di un passato glorioso e vissuto in prima linea.

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