Il nuovo film di Andrea De Sica , Non mi uccidere, è l’ultimo capitolo (in ordine di tempo) dell’evoluzione del teen movie italiano. E finalmente vediamo qualcosa che non ci fa storcere il naso al paragone con i film d’oltreoceano, ma che anzi ci convince in pieno. Alice Pagani e Rocco Fasano recitano insieme in questo film che porta sulle spalle il peso del paragone con la saga americana di Twilight, peraltro volutamente richiamato, pur essendo un film molto diverso e per certi versi – sì, sto per dirlo davvero – migliore. Ma la strada per arrivare fino a qui è stata davvero lunga.
Era il 2004 quando usciva nelle sale Tre metri sopra il cielo, tratto da un libro che si era trasformato in pochissimo tempo in caso editoriale, e di cui Cattleya aveva intuito subito il potenziale, trasformandolo nel primo film italiano con una storia interamente pensata per essere raccontata agli adolescenti. Il film, che lanciò definitivamente Riccardo Scamarcio, raccontava la travagliata storia d’amore tra Step, il classico bello e dannato, e Babi, ragazzina per bene e di buona famiglia. La loro relazione sentimentale si sviluppava dentro i canoni della più classica delle formule: quella dei poli opposti che si attraggono.
Ma anche se a Tre metri sopra il cielo va riconosciuto il merito di essere il primo vero teen movie italiano, a ben guardare la storia era davvero scritta per essere raccontata ai giovani, ma forse senza raccontarli davvero. Step nelle intenzioni era un ragazzo “pericoloso”, uno sbandato, ma il suo personaggio si manteneva sempre dentro certi limiti. Era un ribelle, ma in fin dei conti di ribelle aveva solo il giubbotto di pelle (che non si sa perché la giacca di pelle ce la portiamo avanti dai tempi di Grease come status symbol del “cattivo”). Aveva qualche problema di aggressività, ma era sostanzialmente un buono. E lo dimostra il fatto che si innamorarono di Step non solo le ragazzine, ma anche le loro madri, che sarebbero state ben contente di vederselo portare a casa uno così.
Questo non succede più con Non mi uccidere, Robin certi limiti li supera eccome: è un outsider, ma per davvero. Il personaggio di Rocco Fasano non solo è “un tossico”, ma porta su quella strada anche Mirta (Alice Pagani); rischia la vita con comportamenti spericolati, ma mette a repentaglio anche quella della sua ragazza. Le sue scelte sono molto discutibili e respingenti, senza entrare nei dettagli per evitare di fare spoiler.
E’ solo negli ultimi anni che abbiamo visto un’attenzione crescente verso il mondo dei giovani, con un impegno maggiore nel volerli raccontare come sono davvero e non secondo stereotipi vecchi di trent’anni. Se nel mondo anglosassone già alla fine degli anni duemila vedevamo serie in cui attori giovanissimi interpretavano sedicenni che passavano le notti tra alcol, droga, sesso e qualsiasi altra cosa vi venga in mente – è il caso di Skins (serie meravigliosa) – in Italia è solo di recente che abbiamo visto prodotti simili.
E molto lo dobbiamo alla serialità e a Netflix. Basti pensare a Baby e a Skam, entrambe serie che non hanno avuto paura di osare e hanno mostrato degli adolescenti belli sì, ma anche brutti, sporchi e cattivi quando è il momento di esserlo. Pagani e Fasano non a caso vengono rispettivamente da Baby e da Skam e Baby è stata girata proprio da Andrea De Sica, che ha diretto Alice Pagani anche in Non mi uccidere.
Ma uno degli aspetti sicuramente più interessanti di Non mi uccidere e che lo differenzia – e lo eleva – rispetto a Twilight è il personaggio di Mirta. Come Bella di Twilight e come Babi di Tre metri sopra il cielo, è una ragazzina ingenua, che vive in un mondo ancora in parte infantile. Ma da subito Mirta lascia intravedere sotto l’accondiscendenza verso Robin, sprazzi di caparbietà. Il suo personaggio evolve durante l’arco narrativo e nel finale mostra tutto il suo potenziale. Finalmente ci sbarazziamo della protagonista femminile docile, con lo sguardo basso, il cui massimo atto di insubordinazione è la fuga. Mirta agisce, si sottrae alla prepotenza del personaggio maschile (che in questo caso, come già detto, ha una connotazione più negativa) e diventa la vera eroina del film.
Ma Non mi uccidere si differenzia da tutto quello che viene prima anche per qualità tecniche. A livello registico, di fotografia, di messa in scena in genere, il film di Andrea De Sica non ha nulla da invidiare al cinema americano. Anzi. La fotografia è accuratissima ed è parte integrante della narrazione. Calda e luminosa nelle scene della prima parte – a livello cronologico – della storia, diventa cupa e livida nel dopo, con la morte di Mirta a fare da spartiacque.
La scena in cui Mirta incontra Robin nel locale, mentre lui è seduto sul divanetto, con i fasci di luce che vanno e vengono ad illuminarlo, mentre il fumo passa e disegna sul viso di lui degli strani effetti, oltre che essere raffinatissima e splendida, è piena di significati e di rimandi alla trama.
In questo film c’è poi quello che può essere definito un miracolo: un’attrice che risulta credibile in un corpo a corpo, evento già raro in genere, ma ancora di più nel cinema italiano. La Pagani, nelle scene finali dove combatte con i Bene Andanti, è talmente convincente che viene il dubbio – smentito- che sia una stuntman al suo posto. Il lavoro anche fisico che gli attori hanno fatto per il ruolo è davvero notevole e si percepisce per tutto il film.
Anche se non perfetto sempre e sotto tutti i punti di vista (ma sicuramente lo sarà il sequel che ci auguriamo si faccia), il film Non mi uccidere ci fa credere di nuovo che il cinema italiano possa arrivare dove vuole e non rimanere nei soliti angusti spazi in cui si è appoggiato negli ultimi anni.
Il film di Andrea De Sica è disponibile su Amazon Prime Video e sulle principali piattaforme streaming.
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