Preparati a una delusione colossale. La vedova nera (A Widow’s Game) è appena arrivato su Netflix e, nonostante una Carmen Machi sempre impeccabile, questo film spagnolo basato su fatti reali riesce nell’impresa di rendere noioso persino un caso di cronaca nera affascinante. Ma andiamo con ordine, perché questa storia merita di essere raccontata anche se il film non le rende giustizia.
La storia vera che aveva tutto per funzionare
Il film di Carlos Sedes si ispira al caso criminale noto come “la vedova nera di Patraix”, un fatto di cronaca che aveva tutti gli ingredienti per diventare un thriller mozzafiato. Maje (Ivana Baquero) è una sociopatica manipolatrice che orchestra l’omicidio del marito Arturo con l’aiuto dei suoi numerosi amanti. Il marito viene trovato accoltellato brutalmente nel parcheggio del loro condominio, e la detective Eva (Carmen Machi) deve sbrogliare una matassa di bugie, ricatti emotivi e manipolazioni psicologiche.
Fin qui tutto interessante, no? Il problema è che Sedes prende questo materiale esplosivo e riesce a trasformarlo in un procedural televisivo noioso e prevedibile. È come avere tra le mani gli ingredienti per una torta al cioccolato e finire per cucinare un biscotto secco.
Carmen Machi: l’unica cosa che funziona
Carmen Machi nel ruolo della detective Eva è semplicemente perfetta. Con la sua faccia vissuta e quegli occhi che sembrano aver visto di tutto, riesce a dare spessore a un personaggio che sulla carta rischiava di essere l’ennesimo investigatore standard. La sua interpretazione ha quella credibilità logora tipica di chi ha passato anni a scavare nelle parti più buie dell’animo umano.
Il problema è che il film non le dà abbastanza spazio. Invece di concentrarsi sulla sua psicologia investigativa, sulla perdita di un collega durante le indagini e sui suoi problemi personali, la sceneggiatura preferisce seguire le noiose macchinazioni di Maje e del suo complice Salva.
Il copione che ti fa venire il mal di testa
Ecco dove La vedova nera crolla inesorabilmente: la scrittura è di una mediocrità imbarazzante. Il film ti rivela fin dall’inizio chi è il cervello dell’omicidio, eliminando qualsiasi suspense. Non c’è mistero, non c’è tensione, non ci sono colpi di scena. È come guardare un puzzle dove qualcuno ti ha già mostrato l’immagine finale.
Maje è una sociopatica da manuale che manipola chiunque le capiti a tiro: amici, famiglia, amanti, marito. Racconta a ognuno dei suoi spasimanti una versione diversa della realtà: al primo dice che il marito è in cure palliative per un cancro, al secondo che è stato vittima di un incidente stradale devastante. Bugie su bugie, ma raccontate in modo così piatto che non riesci nemmeno a odiare il personaggio.
Le tre prospettive che non servono a nulla
Il film si vanta di raccontare la storia da tre punti di vista diversi: l’investigatrice, la vedova e uno dei suoi amanti. Sulla carta sembra una scelta narrativa interessante, ma in realtà è completamente sprecata. Non sono versioni contrastanti degli eventi, non c’è alcun narratore inaffidabile, non c’è nessun gioco psicologico con lo spettatore.
Se Sedes avesse avuto il coraggio di ambientare tutto in una sala interrogatori, mostrando solo le testimonianze senza mai rivelare cosa è realmente accaduto, avremmo avuto un thriller psicologico interessante. Invece ci ritroviamo con una ricostruzione lineare e banale che non lascia spazio all’immaginazione.
I buchi di trama che fanno ridere
Ma il vero disastro arriva con i buchi di trama così grandi che ci potresti parcheggiare un camion. La polizia ottiene l’autorizzazione per intercettare il telefono di Maje e controllare i suoi messaggi, ma incredibilmente non trova subito uno scambio di sms incriminante dove lei chiede esplicitamente a Daniel di aiutarla ad ammazzare il marito.
Invece di usare questa prova schiacciante, gli investigatori perdono mesi ad ascoltare registrazioni audio per incastrarla. È come se Sherlock Holmes trovasse l’assassino con le mani nel sacco e decidesse di ignorarlo per continuare a cercare indizi con la lente d’ingrandimento.
Il movente che non c’è
E qui arriviamo al problema più grave: il movente. Perché Maje vuole uccidere Arturo? Non è ricco, non è influente, non è nemmeno violento (nonostante lei lo racconti così ai suoi amanti). L’unica cosa che otterrebbe dalla sua morte è la casa dove vivono (che ha già pagato lei) e un’assicurazione base.
Quando i suoi amanti le suggeriscono il divorzio – opzione decisamente più semplice dell’omicidio – lei inventa storie sul suo stato di salute e la sua presunta violenza. Ma se Arturo stesso minaccia di divorziare quando scopre il tradimento con Daniel, dove sta il problema? Il film non offre spiegazioni convincenti.
La regia che non osa
Carlos Sedes dirige con la personalità di un pesce lesso. Niente sperimentazione visiva, niente tensione cinematografica, niente che distingua questo film dai mille procedural televisivi che vediamo ogni giorno. È una regia funzionale nel senso più noioso del termine.
Anche la fotografia e il montaggio sono di una piattezza desolante. Per un film che parla di manipolazione psicologica e inganni, ti aspetteresti almeno qualche gioco visivo, qualche elemento che rifletta la natura ingannevole della protagonista. Invece tutto è diretto, prevedibile, televisivo nel senso peggiore del termine.
Il verdetto: occasione sprecata
La vedova nera aveva tutte le carte in regola per essere un thriller psicologico memorabile. Un caso di cronaca nera affascinante, una protagonista femminile complessa, Carmen Machi in stato di grazia. Invece è finito per essere l’ennesimo prodotto Netflix che guardi distrattamente mentre controlli il telefono.
Il vero peccato è che la storia vera è molto più interessante del film che ne è stato tratto. Se sei curioso del caso, ti conviene cercare un documentario o leggere articoli di cronaca piuttosto che perdere tempo con questa versione cinematografica scialba.
Allora, hai già provato a guardarlo o stai ancora decidendo se vale la pena? Dimmi nei commenti se anche tu pensi che Netflix stia producendo troppi thriller mediocri o se invece hai trovato qualcosa di interessante in questo film che a me è completamente sfuggito!
La Recensione
La vedova nera
Carlos Sedes spreca un caso di cronaca nera affascinante in un thriller spagnolo piatto e prevedibile. Carmen Machi eccellente ma sottoutilizzata, sceneggiatura mediocre con buchi di trama imbarazzanti. Netflix tocca il fondo del true crime.
PRO
- Carmen Machi sempre bravissima anche con materiale scarso
- Caso di cronaca reale intrinsecamente interessante
CONTRO
- Sceneggiatura mediocre senza suspense né colpi di scena
- Buchi di trama così grandi da risultare imbarazzanti
- Regia piatta che non aggiunge nulla al materiale originale