Sei pronto a viaggiare nel surreale mondo di David Lynch?
Benvenuto su Wonder Channel, dove oggi ti porterò in un tour cinematografico da brividi, pieno di intuizioni, curiosità e qualche colpo di scena. Il giusto articolo per omaggiare il maestro il giorno della sua morte.
Perché sì, parlare di Lynch significa immergersi in sogni inquietanti o in incubi travestiti da sogni, per scoprire un universo cinematografico unico nel suo genere.
E, naturalmente, parleremo di ogni suo film, ma stavolta in ordine cronologico, dal più vecchio (in decima posizione) al più nuovo (in prima posizione). Preparati: questa classifica è stata scritta da me, giornalista del magazine Wonder Channel e appassionato di cinema con la C maiuscola. Ricorda solo che considerare un suo film “peggiore” è quasi un paradosso, dato che persino la sua pellicola meno riuscita rimane una visione suggestiva e fuori dagli schemi.
Ma come in un meme virale di TikTok, è arrivato il momento di urlare: “Let’s go!” In questo articolo, oltre alle analisi tecniche e ai retroscena, troverai riferimenti a fatti di cronaca cinematografica, tendenze pop e magari qualche citazione letteraria: un mix perfetto per farti sentire come se fossi nel salotto buono di un cinefilo, mentre sorseggi un caffè nero (magari proprio come in Twin Peaks). Quindi mettiti comodo, allaccia le cinture e… addentriamoci nel bizzarro mondo di David Lynch!
Il mito di David Lynch e la sua eredità cinematografica
Ti sei mai chiesto perché si usa spesso l’aggettivo “lynchiano” per descrivere qualcosa di contorto, inquietante, quasi onirico? La risposta sta proprio nella filmografia di questo regista americano che ha ridefinito la grammatica filmica con trovate visive e narrative spiazzanti, trascinandoti nei lati più oscuri di un sogno lucido. L’enigma è parte integrante del suo cinema: Lynch ama spingerti fuori dalla comfort zone, senza mappe né coordinate.
Tuttavia, come tutti i grandi artisti, anche David Lynch non ha mai gradito le etichette: chiamarlo “un regista horror” sarebbe riduttivo, così come ridurlo a “autore di film onirici” significherebbe sminuirne la complessità. È un autore totale, capace di sperimentare con la commedia nera, la fantascienza, il mélo e finanche il road movie. Parlare di Lynch significa maneggiare l’enigma racchiuso in un rebus, avvolto in un oracolo… complicato, certo, ma terribilmente affascinante.
Secondo un sondaggio di IndieWire, Mulholland Drive è stato definito “il miglior film degli anni 2000”. Numerose riviste – inclusa la nostra – hanno speso fiumi d’inchiostro nel tentare di decifrarne la trama. C’è anche chi sostiene di aver compreso alla perfezione Inland Empire, anche se, tra noi, è difficile averne la certezza. Adesso però basta premesse: ecco la classifica dal più vecchio al più nuovo, con tutti i lungometraggi di David Lynch.
10
di 10
10. Eraserhead – La mente che cancella (1977)
Con Jack Nance, Charlotte Stewart e Jeanne Bates
Il suo esordio, il suo manifesto, la sua creatura più audace. Eraserhead (girato in bianco e nero e a bassissimo budget) è il film che ha rivelato al mondo lo stile perturbante di David Lynch, contaminando l’immaginario collettivo in modo indelebile. Qui seguiamo Henry Spencer (Jack Nance) in un contesto post-industriale, alle prese con un bambino deforme che piange incessantemente. Il suono metallico e cupo, i corridoi bui e claustrofobici, l’atmosfera da incubo: tutto in Eraserhead segna la nascita di un’estetica “lynchiana” fatta di simbolismi e onirismo.
Girato anche grazie ai fondi dell’American Film Institute, fu proiettato a mezzanotte in diverse sale e divenne subito un cult. In un’epoca in cui certe sperimentazioni restavano confinate ai circuiti underground, Eraserhead riuscì a penetrare la cultura pop: ancora oggi è considerato un film seminale per il cinema d’autore e un vero pugno allo stomaco per lo spettatore medio. La scena in cui compare la “ragazza nel radiatore”, con le sue strane guance, è un viaggio nel subconscio di Lynch, un sogno divenuto immagine in movimento.
09
di 10
9. The Elephant Man (1980)
Con John Hurt, Anthony Hopkins e Anne Bancroft
Pochi anni dopo, Lynch sorprende tutti con un film “storico” in bianco e nero che racconta la vicenda di John Merrick (in realtà Joseph Merrick): un uomo affetto da gravi deformità fisiche, sfruttato come fenomeno da baraccone. Il dottor Frederick Treves (Anthony Hopkins) lo sottrae agli abusi, ma la società vittoriana non è meno feroce: Merrick resta un oggetto di curiosità, più che una persona.
Non lasciarti ingannare dall’apparente linearità del racconto: The Elephant Man è un film di Lynch a tutti gli effetti. Il diverso, il corpo mostruoso, la ricerca di umanità: temi già presenti in Eraserhead trovano qui una forma più accessibile, ma non meno disturbante per chi sappia guardare oltre la superficie. “Io non sono un animale!” urla Merrick in una delle scene più toccanti del cinema di tutti i tempi, un grido di dignità che risuona potentemente.
Girato con uno stile quasi da biopic, mantiene la firma inconfondibile di Lynch, che fonde pietà e orrore, bellezza e degradazione. La fotografia in bianco e nero contribuisce a creare un’atmosfera fuori dal tempo, e la performance di John Hurt, celato da protesi faticose, è una delle più intense e strazianti dell’epoca.
08
di 10
8. Dune (1984)
Con Kyle MacLachlan, Patrick Stewart e Sean Young
Dopo il successo critico di The Elephant Man, Lynch affronta la sfida titanica di adattare il romanzo di Frank Herbert, Dune. Un cult della fantascienza difficile da trasporre: basti pensare ai tentativi falliti di Alejandro Jodorowsky, celebrati nel documentario Jodorowsky’s Dune. Lynch si ritrova in mano un’operazione produttiva massiccia, ma la libertà creativa ne risulta limitata.
Nonostante gli sforzi, il film non convince del tutto i fan della saga letteraria: il regista si prende diverse licenze, alterando alcuni passaggi chiave del libro. Eppure, dal punto di vista visivo, Dune non è affatto banale. I costumi, le scenografie, l’uso di effetti speciali artigianali: tutto trasuda quella tensione visionaria tipica di Lynch. È un film “imperfetto” e spesso considerato il suo “fallimento”, eppure resta un’opera coraggiosa e unica nel panorama sci-fi, con un’estetica che ancora oggi non lascia indifferenti.
Tra le curiosità più divertenti c’è la presenza di Sting, in un ruolo ai limiti del grottesco, e il giovane Patrick Stewart, ben prima di diventare l’amato capitano Picard di Star Trek. Kyle MacLachlan – qui al suo debutto con Lynch – diventerà poi la star di Blue Velvet e l’indimenticabile Dale Cooper in Twin Peaks.
07
di 10
7. Velluto Blu (Blue Velvet) (1986)
Con Kyle MacLachlan, Isabella Rossellini e Dennis Hopper
Un perfetto esempio di “sottobosco suburbano” svelato in tutta la sua disturbante realtà. In Blue Velvet, Kyle MacLachlan interpreta Jeffrey, un ragazzo qualunque che trova un orecchio mozzato in un prato. Da quel momento, la facciata di provincia perfetta si infrange, rivelando un mondo di violenza, desiderio e depravazione.
La scena cult è l’entrata in gioco del villain Frank Booth, magistralmente interpretato da Dennis Hopper: un pazzo che inala ossigeno da una mascherina e grida oscenità, incarnazione di un male primitivo e senza confini. Isabelle Rossellini è la misteriosa e fragile Dorothy Vallens, vittima e donna fatale allo stesso tempo.
Girato in piena era Reagan, il film è una critica feroce all’illusione della “famiglia americana felice”. Niente a che vedere con i rassicuranti quartieri da cartolina: Blue Velvet è un viaggio negli abissi dell’animo umano, con quel tocco tra horror psicologico e melodramma che solo Lynch sa rendere così magnetico. All’epoca suscitò scandalo e fu definito “immorale” da molti critici. Oggi è considerato un capolavoro, una pietra miliare che ha influenzato generazioni di registi e cinefili.
06
di 10
6. Cuore Selvaggio (Wild at Heart) (1990)
Con Nicolas Cage, Laura Dern e Diane Ladd
Vincitore della Palma d’Oro a Cannes, Wild at Heart è un road movie allucinato, pieno di violenza, passione e humor nerissimo. Sailor (Nicolas Cage) e Lula (Laura Dern) sono due amanti esagerati: lui si crede una sorta di Elvis Presley con giacca di pelle di serpente, lei è una ragazza “fuori di testa” in fuga da una madre dispotica. Insieme intraprendono un viaggio on the road pieno di imprevisti e personaggi surreali, tra cui un inquietante Willem Dafoe e un Crispin Glover ossessionato dai sandwich di tacchino.
Pur essendo un film con meno enigmi di altre opere lynchiane, rimane uno spaccato delle sue ossessioni: la repressione (incarnata dalla madre di Lula, interpretata da Diane Ladd, madre vera di Laura Dern), la violenza esplosiva, la fuga come desiderio di libertà e autodeterminazione. Il tutto avvolto in un’estetica che mischia rockabilly, follia e romanticismo. Uno di quei film che, se preso alla lettera, può sembrare sopra le righe e a tratti trash, ma che, in realtà, nasconde una riflessione sul lato più oscuro (e al tempo stesso ingenuo) dell’America.
05
di 10
5. Twin Peaks: Fuoco cammina con me (1992)
Con Kyle MacLachlan, Sheryl Lee e Ray Wise
Dopo il fenomeno televisivo Twin Peaks, Lynch decide di portare sul grande schermo la storia degli ultimi sette giorni di vita di Laura Palmer. Il risultato è un film che allontana subito chi si aspetta i toni surreali ma a volte quasi comici della serie. Qui tutto è più cupo, doloroso, incalzante. Le urla di Laura (Sheryl Lee) spezzano il cuore, e le rivelazioni sul suo assassino si trasformano in un incubo a occhi aperti.
Presentato a Cannes, fu accolto da fischi e perplessità: troppa violenza, troppa oscurità, poca chiarezza. Ma col tempo Twin Peaks: Fire Walk With Me è stato rivalutato come uno dei capisaldi del cinema di Lynch, un horror psicologico che spinge lo spettatore nel vortice emotivo di Laura. Da ricordare anche la presenza di David Bowie in un cameo fulminante, agenti FBI assurdi come Chris Isaak e Kiefer Sutherland, e la solita straordinaria colonna sonora di Angelo Badalamenti.
Questo film ha anticipato i tempi: oggi siamo abituati a progetti cross-mediali, dove una serie può diventare film e viceversa. All’epoca fu un atto coraggioso, quasi sperimentale, che mostrava come una storia televisiva potesse farsi ancora più intensa e soffocante sul grande schermo.
04
di 10
4. Strade perdute (Lost Highway) (1997)
Con Bill Pullman, Patricia Arquette e Balthazar Getty
Nato in un periodo in cui Lynch sperimenta e si spinge oltre i confini del racconto canonico, Lost Highway è un thriller psicologico che gioca con l’identità, la gelosia e il desiderio. Protagonisti sono un sassofonista (Bill Pullman) e un meccanico (Balthazar Getty), le cui vite sembrano intrecciarsi in modo misterioso e inquietante. Al centro c’è Patricia Arquette, in doppia versione (bionda e mora), incarnazione della femme fatale che accende la follia dei due uomini.
Visivamente, il film è un incubo notturno in cui le luci soffuse e i locali fumosi rendono tutto sfuggente. La colonna sonora curata da Trent Reznor (Nine Inch Nails) e altri artisti aggiunge un tocco cupo ed elettronico, perfetto per amplificare la sensazione di smarrimento. E come dimenticare il mostruoso “uomo misterioso” interpretato da Robert Blake? Una figura gelida, che irrompe in scena come un fantasma.
Il film è stato inizialmente divisivo, perfino per molti fan di Lynch, perché estremizza la poetica dell’“inquietudine che non si spiega”. Tuttavia, chi l’ha rivisto più volte ha finito per considerarlo una pietra miliare, un’antologia delle ossessioni e delle paure che abitano il cinema lynchiano.
03
di 10
3. Una storia vera (The Straight Story) (1999)
Con Richard Farnsworth, Sissy Spacek e Harry Dean Stanton
Ecco la dimostrazione che Lynch sa anche raccontare storie lineari e commoventi. The Straight Story (in Italia spesso tradotto come Una storia vera) si basa sui fatti reali di Alvin Straight, anziano che decide di attraversare gli Stati Uniti a bordo del suo tosaerba per raggiungere il fratello malato. Distribuito dalla Disney, è forse il film più “normale” di Lynch, girato in modo semplice e con toni quasi da fiaba bucolica.
Eppure, dietro l’apparenza, senti sempre quella vena malinconica e contemplativa che rende l’opera inconfondibilmente lynchiana. La morte, il rimpianto, la famiglia: temi universali, affrontati con tenerezza e sincerità. Richard Farnsworth, nel suo ruolo, trasmette un’umanità disarmante, e Sissy Spacek dona al personaggio della figlia un candore che commuove. È un film “pacato” ma di grande impatto emotivo, un viaggio fisico e spirituale che parla a ogni generazione.
02
di 10
2. Mulholland Drive (2001)
Con Naomi Watts, Laura Harring e Justin Theroux
Da molti considerato il vero capolavoro di Lynch e spesso citato come miglior film del XXI secolo, Mulholland Drive è un labirinto di storie e identità scambiate. Naomi Watts interpreta Betty, aspirante attrice appena giunta a Los Angeles, e Laura Harring è una donna con l’amnesia che nasconde un segreto. In mezzo, registi dispotici, cowboy enigmatici e mostri che si aggirano dietro i ristoranti.
La scena del Club Silencio, dove risuona la canzone “Llorando” (versione spagnola di “Crying” di Roy Orbison), è uno dei momenti emotivamente più potenti del cinema di Lynch. Il film nasce dal riassemblaggio di un progetto TV abbandonato, poi rimodellato in una forma cinematografica: forse per questo la narrazione salta di continuo e lascia spazio a interpretazioni multiple. È la quintessenza del “lynchiano”: sensualità, mistero, satira di Hollywood e un terrore strisciante che ti accompagna dall’inizio alla fine.
C’è chi legge in Mulholland Drive una critica feroce al sistema dello showbiz, chi ci vede un melodramma sui sogni infranti, e chi ancora un viaggio negli incubi dell’inconscio. Forse sono vere tutte queste cose, e forse non lo è nessuna: è il bello del cinema di Lynch, che ti invita a perderti nel suo universo.
01
di 10
1. Inland Empire – L’impero della mente (2006)
Con Laura Dern, Jeremy Irons e Justin Theroux
Eccoci finalmente al più recente film di David Lynch, nonché l’ultimo lungometraggio realizzato prima della lunga parentesi televisiva con Twin Peaks: The Return. Inland Empire è un’impresa ardita, un viaggio di tre ore che sfida qualsiasi logica narrativa e immerge lo spettatore in un incubo digitale dai contorni sfocati. Laura Dern interpreta una donna in caduta libera, tra personaggi e situazioni che si sovrappongono in uno scenario onirico e ipnotico.
Girato principalmente in digitale, segna un cambio di passo per Lynch, che rinuncia alla pellicola e abbraccia il look sgranato, imperfetto, distorto. A livello di “trama” è quasi impossibile raccontare cosa succeda davvero: i confini tra realtà e finzione si dissolvono, la protagonista sembra passare da un personaggio all’altro, e in mezzo compaiono conigli antropomorfi, dialoghi frammentari e set che sembrano costruiti in un altro universo.
C’è chi ha definito Inland Empire un esercizio di stile ostico e irritante, e chi invece lo considera il culmine della poetica di Lynch, un incubo totale che ti lascia senza fiato, una danza estrema nel subconscio di una donna (o forse di tutte le donne). Sta di fatto che, a oggi, è ancora oggetto di dibattito e visioni multiple. Non è un film che “si capisce”, è un’esperienza che “si subisce” e che, una volta terminata, ti fa sentire come se fossi rimasto sospeso in un limbo. Difficile da amare, ma impossibile da ignorare.
Hanno detto di lui
• “Il cinema di Lynch non è mai un enigma fine a sé stesso, ma un invito a esplorare i nostri incubi interiori.” – Paolo Mereghetti
• “Guardare un film di David Lynch è come ricordare un sogno che non hai mai fatto.” – Roger Ebert
• “Lynch è l’unico, oggi, a padroneggiare l’arte di farci spaventare con il quotidiano.” – Sight & Sound
Riferimenti culturali e meme
• Su Reddit, c’è un intero subreddit dedicato alle teorie su Mulholland Drive, con interpretazioni che spaziano dalla fantascienza alla psicoanalisi junghiana.
• Su Facebook proliferano gruppi che si divertono a postare foto in stile Twin Peaks, con la didascalia “This is so Lynchian…”. È la prova di quanto la sua eredità sia diventata un codice culturale.
Dai Simpson (che gli hanno dedicato una parodia con Twin Peaks) fino alla serie Stranger Things, la scia di David Lynch continua a ispirare, contaminare e spaventare. La sua poetica è diventata un linguaggio riconoscibile, fatto di allusioni, sogni e racconti “dentro la notte”.
Invito all’interazione
Eccoci giunti alla fine di questo articolato viaggio nel cinema di David Lynch, dal 1977 al 2006. Ti ho svelato retroscena, aneddoti e interpretazioni personali su ogni pellicola, inserendo riferimenti alla cultura pop e alla cronaca cinematografica. Adesso, però, tocca a te: sei d’accordo con la nostra classifica “dal più vecchio al più nuovo”? Avresti dato un ordine diverso? Qual è, per te, l’opera più “lynchiana” in assoluto?
Fammelo sapere nei commenti: io e tutta la redazione di Wonder Channel siamo curiosissimi di conoscere la tua opinione! Raccontaci se Inland Empire ti ha fatto scappare dal cinema, se Eraserhead ti ha fatto svegliare di soprassalto o se Mulholland Drive l’hai trovato incomprensibile… o geniale. Aspetto la tua risposta!