ACAB: La Serie, disponibile su Netflix dal 16 gennaio 2025, è una produzione italiana che cerca di mettere sotto i riflettori le difficoltà e i contrasti affrontati dalla polizia italiana, un corpo spesso più criticato che tutelato. Con la regia di Michele Alhaique e la produzione esecutiva di Stefano Sollima, il progetto si colloca sulla scia di serie di successo come Romanzo Criminale e Gomorra, ma con un focus diverso: il delicato equilibrio tra ordine e caos nelle forze dell’ordine.
La trama: non solo manganelli e scudi
La storia segue le vicende di Marta (Valentina Bellè), una giovane madre single e una delle prime donne ad essere ammessa nelle “unità mobili” della polizia italiana. Marta si trova a dover gestire non solo le difficoltà personali, ma anche le tensioni che si creano durante le manifestazioni più accese, come quelle dei NO TAV in Val di Susa. Accanto a lei troviamo colleghi come Mazinga (Marco Giallini), simbolo dell’“old school”, Salvatore (Pierluigi Gigante) e Pietro (Fabrizio Nardi), con i quali forma una sorta di “tribù” pronta a difendersi a vicenda in ogni circostanza.
Tuttavia, le dinamiche del gruppo vengono stravolte dall’arrivo di Michele (Adriano Giannini), un nuovo comandante con un approccio progressista che punta a evitare l’uso eccessivo della forza. I contrasti tra il vecchio e il nuovo si manifestano sia sul campo che fuori, aprendo dibattiti sul confine tra legittimità e abuso, sicurezza e libertà.
La polizia: tra un lavoro ingrato e l’assenza di tutele
In Italia, il lavoro della polizia è spesso visto con sospetto, e ACAB: La Serie non si tira indietro nel mostrare questa realtà. La magistratura sembra essere sempre pronta a indagare sugli agenti, come accade nella serie quando DIGOS interviene per verificare eventuali eccessi durante gli scontri. È impossibile non pensare a fatti di cronaca recenti, come le aggressioni in Piazza Duomo a Milano, dove i partiti di sinistra si sono rifiutati di condannare apertamente gli aggressori – per lo più giovani di origine africana – preferendo puntare il dito su presunti “problemi di inclusione”.
Ancora più controverso è stato il caso di Ramy, un giovane pluripregiudicato trovato con refurtiva e un coltello, che è stato difeso pubblicamente mentre i poliziotti che hanno svolto il loro lavoro venivano messi sotto accusa. Episodi come questi evidenziano un sentimento di insicurezza crescente tra i cittadini e una mancanza di supporto reale per chi dovrebbe garantire la loro sicurezza.
Una serie che parla di conflitti morali e personali
Uno degli aspetti più interessanti della serie è la rappresentazione delle vite private degli agenti. Marta non è solo una poliziotta; è anche una madre che lotta per conciliare il lavoro e la famiglia. Mazinga, invece, rappresenta un modello di vecchio stampo, legato a un’idea di polizia fatta di sacrificio, disciplina e, a volte, brutalità necessaria. La serie riesce a catturare il peso psicologico di indossare una divisa e affrontare ogni giorno situazioni di conflitto, sia fisico che morale.
I creatori Carlo Bonini e Filippo Gravino descrivono i poliziotti come “intrappolati in vite bipolari, dove per ripristinare l’ordine devono utilizzare strumenti che mettono costantemente alla prova le leggi e la moralità”. Questo conflitto è il cuore pulsante della serie, che evita giudizi netti e cerca invece di esplorare le complessità di un lavoro che raramente viene compreso appieno.
La musica e la messa in scena: ipnotica ma non sempre efficace
Non si può parlare di ACAB: La Serie senza menzionare la colonna sonora firmata da Mokadelic, già noti per il loro lavoro in Gomorra. La musica è magnetica, quasi ipnotica, e contribuisce a creare un’atmosfera tesa e immersiva. Tuttavia, a tratti sembra sovrastare le immagini, distraendo lo spettatore dal dramma umano che si svolge sullo schermo.
Anche la regia di Michele Alhaique alterna momenti di grande intensità a scelte stilistiche meno incisive. L’intento di creare una “mise en scène” non naturalistica è evidente, ma non sempre riesce a colpire nel segno. Alcune scene risultano visivamente potenti, ma altre perdono di efficacia proprio a causa di un eccesso di stilizzazione.
Un messaggio attuale: chi protegge chi ci protegge?
ACAB: La Serie arriva in un momento in cui il dibattito pubblico sulla sicurezza e sulla giustizia è più acceso che mai. La serie solleva domande importanti: chi protegge chi ci protegge? I poliziotti sono spesso lasciati soli a gestire situazioni di enorme pressione, senza il sostegno politico o sociale che meriterebbero. La narrazione bilancia sapientemente l’azione con la riflessione, mettendo in luce le difficoltà di un mestiere ingrato.
Un aspetto particolarmente riuscito è la scelta di mostrare la polizia come una “tribù”, una comunità a sé stante con le sue regole e dinamiche interne. Questo approccio umanizza i personaggi e permette allo spettatore di comprendere meglio le loro motivazioni e i loro dilemmi.
Perché guardarla (e perché no)
ACAB: La Serie offre uno sguardo autentico e spesso scomodo su un mondo complesso. La recitazione di Valentina Bellè e Marco Giallini è convincente, e la tensione narrativa mantiene alta l’attenzione. Tuttavia, la serie non è priva di difetti: alcune sottotrame sembrano inserite solo per allungare la durata, e il ritmo può risultare diseguale.
Nonostante ciò, ACAB: La Serie è un prodotto che merita di essere visto, se non altro per il coraggio di affrontare temi così divisivi con onestà e senza filtri.
Questo è il cuore di ACAB: La Serie: la lotta per trovare un equilibrio tra giustizia, morale e sopravvivenza. E voi, cosa ne pensate? Guarderete la serie? Scrivete nei commenti la vostra opinione!
La Recensione
ACAB: La Serie
Uno sguardo intenso e crudo sulla vita dei poliziotti italiani, tra conflitti interiori, sacrifici personali e una società ostile.
PRO
- Offre un ritratto autentico della vita dei poliziotti italiani e delle loro sfide quotidiane.
- Tocca argomenti delicati come ordine pubblico, conflitti sociali e pressioni politiche.
- Marco Giallini e Valentina Bellè brillano in ruoli intensi e sfaccettati.
CONTRO
- Alcune scene possono risultare troppo dure o moralmente ambigue per chi cerca un intrattenimento più leggero.