Nostalgia che brucia come una ferita aperta. Il 13 giugno 2025 Coez torna con “Qualcosa di grande”, seconda traccia dell’album “1998”, un brano che si configura come una delle confessioni più intime e dolorose nella discografia dell’artista romano. Prodotto da Golden Years e scritto insieme a Dargen D’Amico e Niccolò Contessa, questo pezzo rappresenta un perfetto equilibrio tra malinconia generazionale e specificità emotiva.
La canzone non è semplicemente una ballata d’amore: è piuttosto un affresco esistenziale che racconta la distanza tra i sogni di gioventù e la realtà dell’età adulta, tra quello che immaginavamo di diventare e quello che siamo effettivamente diventati. Coez dimostra ancora una volta la sua capacità di trasformare il dolore personale in narrazione universale, creando un brano che parla a chiunque abbia mai visto sfumare qualcosa di prezioso senza nemmeno rendersene conto.
La quotidianità perduta
“Dividevamo appartamenti / A cena mai in meno di venti” – l’incipit del brano dipinge immediatamente un quadro di condivisione e comunità che appartiene al passato. Gli appartamenti condivisi e le cene sempre affollate rappresentano quella fase della vita in cui tutto sembrava possibile e ogni momento era vissuto collettivamente.
“Potevi dirmi che saresti / Partita senza più tornare / E sarei sceso a salutare / Avrebbe fatto meno male” – questi versi rivelano il dolore dell’abbandono inaspettato. La semplicità del gesto (“sarei sceso a salutare”) contrasta con la complessità del dolore, suggerendo che a volte la mancanza di un addio fa più male della separazione stessa.
Il ritornello: sogni infranti e verità scomode
“Noi sognavamo qualcosa di grande / O solo d’andarcene via” – il ritornello inizia con una dicotomia fondamentale: da una parte l’ambizione (“qualcosa di grande”), dall’altra la fuga (“andarcene via”). È il dilemma di una generazione sospesa tra desiderio di successo e bisogno di libertà.
“E non è vero che non sei importante / È solo che non sei mia” – questa ammissione è devastante nella sua onestà. Coez riconosce l’importanza dell’altra persona ma stabilisce un confine netto: il problema non è il valore, ma l’appartenenza mancata.
“E chiedo scusa se parlo d’amore quando parlo di te / E non è mai solo una canzone / E non è mai solo per te” – questi versi rivelano la complessità dell’arte autobiografica: ogni canzone che parla di lei parla inevitabilmente d’amore, ma allo stesso tempo trascende la specificità per diventare universale.
La crisi di mezza età artistica
“Ovunque vado vorrei essere in un altro posto / Dieci anni che parlo di me, nemmeno mi conosco” – la seconda strofa introduce una crisi esistenziale profonda. Dopo un decennio di carriera musicale, Coez ammette una paradossale estraneità verso se stesso: parlare continuamente di sé non ha portato all’autoconoscenza.
“Pensavo di fare del bene, ma ho fatto l’opposto” – questa confessione tocca il senso di colpa di chi si rende conto che le proprie intenzioni positive hanno prodotto effetti negativi, tema universale nelle relazioni umane.
“Capisci che un amico è vero quando hai il conto in rosso” – l’osservazione sulla natura dell’amicizia è brutalmente pragmatica: solo nelle difficoltà economiche si scopre chi rimane davvero accanto.
La metafora del viaggio interrotto
“Ci hanno fermato alla dogana / E noi che sognavamo un’isola lontana” – l’immagine della dogana che ferma i viaggiatori diventa metafora degli ostacoli burocratici e pratici che impediscono la realizzazione dei sogni. L’isola lontana rappresenta l’utopia, il posto dove tutto sarebbe stato diverso.
“Ma il mare è sporco e il lavoro chiama / Noi che siamo felici un giorno a settimana” – la contrapposizione tra l’idealizzazione del mare (tradizionalmente luogo di purezza e libertà) e la sua realtà inquinata rispecchia la delusione generale verso il mondo adulto. La felicità limitata a “un giorno a settimana” descrive perfettamente la condizione di chi è intrappolato nella routine.
Il bridge: il talento per l’autodistruzione
“Ci vuole talento per rovinarsi, una cena / Avevamo tutto, ma, in fondo, nessuno dei due lo sapeva” – il bridge rappresenta il momento di maggiore lucidità dolorosa del brano. L’idea che ci voglia “talento” per rovinare una cena (e, per estensione, una relazione) suggerisce una capacità quasi artistica nell’autodistruzione.
L’ammissione finale è straziante: “Avevamo tutto” ma “nessuno dei due lo sapeva”. È la tragedia della consapevolezza tardiva, del rendersi conto del valore di qualcosa solo dopo averla persa.
La produzione: semplicità al servizio dell’emozione
Dal punto di vista tecnico, la produzione di Golden Years supporta perfettamente l’intimità del testo. Il mixing e mastering di Andrea Suriani conferiscono al brano quella qualità cristallina che permette a ogni parola di arrivare dritta al cuore.
Il video, diretto da Marco Proserpio, promette di amplificare visivamente la malinconia del brano, creando un accompagnamento visivo all’altezza della profondità emotiva del testo.
Un bilancio generazionale
“Qualcosa di grande” si configura come un bilancio esistenziale che va oltre la semplice rottura sentimentale. È il racconto di una generazione che ha sognato in grande ma si è scontrata con la complessità del mondo adulto, che ha cercato l’amore autentico ma ha scoperto quanto sia difficile mantenerlo.
Coez riesce ancora una volta nell’intento di trasformare il dolore privato in catarsi collettiva, creando un brano che funziona come specchio per chiunque si sia mai chiesto cosa sarebbe successo se avesse fatto scelte diverse, se avesse saputo apprezzare quello che aveva mentre ce l’aveva.
La canzone è un perfetto esempio di come la maturità artistica possa tradursi in capacità di raccontare la complessità senza semplificarla, di ammettere i propri errori senza autocommiserazione, di parlare d’amore anche quando l’amore è finito.
E tu, hai mai avuto la sensazione di aver “avuto tutto senza saperlo”? Ti è mai capitato di sognare “qualcosa di grande” per poi scoprire che era già lì, sotto i tuoi occhi? Condividi nei commenti se anche tu hai vissuto quella dolorosa consapevolezza di aver rovinato qualcosa di prezioso “con talento” – siamo curiosi di sapere se anche tu ti riconosci in questa fotografia della generazione che ha smesso di sognare isole lontane!
Il testo di Qualcosa di grande
[Strofa 1]
Dividevamo appartamenti (Mhm-mhm-mhm)
A cena mai in meno di venti
Potevi dirmi che saresti
Partita senza più tornare (Mhm-mhm-mhm)
E sarei sceso a salutare
Avrebbe fatto meno male
[Ritornello]
Noi sognavamo qualcosa di grande
O solo d’andarcene via
E non è vero che non sei importante
È solo che non sei mia
E chiedo scusa se parlo d’amore quando parlo di te
E non è mai solo una canzone
E non è mai solo per te
[Strofa 2]
Ovunque vado vorrei essere in un altro posto
Diec’anni che parlo di me, nemmеno mi conosco (Mhm-mhm-mhm)
Pensavo di fare del bеne, ma ho fatto l’opposto
Capisci che un amico è vero quando hai il conto in rosso
Ci hanno fermato alla dogana
E noi che sognavamo un’isola lontana (Mhm-mhm-mhm)
Ma il mare è sporco e il lavoro chiama
Noi che siamo felici un giorno a settimana
[Ritornello]
Noi sognavamo qualcosa di grande
O solo d’andarcene via
E non è vero che non sei importante
È solo che non sei mia
E chiedo scusa se parlo d’amore quando parlo di te
E non è mai solo una canzone
E non è mai solo per te
[Bridge]
Ci vuole talento per rovinarsi, una cena (Mhm-mhm-mhm)
Avevamo tutto, ma, in fondo, nessuno dei due lo sapeva
[Ritornello]
Noi sognavamo qualcosa di grande
O solo d’andarcene via
E non è vero che non sei importante
È solo che non sei mia
E chiedo scusa se parlo d’amore quando parlo di te
E non è mai solo una canzone
E non è mai solo per te